Il Prof. Maurizio Mondoni

LE TRE “C” NEL MINIBASKET: capacita’, competenze, conoscenze

 

Premessa

Esiste una grande letteratura su queste tre parole, esiste anche una questione antropologica importante che ha accompagnato la filosofia da Parmenide ed Aristotele fino a Heiddeger, Fromm e Marcel: quella riguardante la distinzione tra ESSERE E AVERE.

 

L’essere

Dire l’essere di noi o di qualcuno, vuol dire riferirsi a ciò che di noi e di qualcuno non cambia, soggiace ad ogni nostra o altrui attuale e possibile futura modificazione (un tempo era definita sostanza o essenza).

Io sono io a tre come a 54 anni, in America come a casa mia, cambiano le condizioni e le circostanze in cui mi trovo o mi posso trovare, ma io sono sempre io.

 

L’avere

Avere non indica un nostro stato sostanziale, ma significa uno stato contingente del nostro essere, qualcosa che di noi e degli altri che cambia e può cambiare, modificabile nel tempo e nello spazio, che può
scomparire ed essere sostituito, senza per questo compromettermi come “io”.

Dire, per esempio “io ho” o “possiedo” o “acquisto” qualsiasi cosa (una qualità, un modo di fare, una cosa), significa che quanto si ha e si possiede si è avuto, tuttavia si può anche perdere, senza per questo pregiudicare l’essere sostanziale che siamo.

Ciò è chiaro nei significati che derivano dal latino e dal greco:

 

–          “habitus” (modo di comportarsi, contegno di un certo tipo, da cui la nostra abitudine);

–          “habilis” (abile, perito, usare bene qualcosa, fare bene qualcosa);

–           “habitare” (stare, risiedere in un luogo piuttosto che in un altro).

–          “èchein” (comportamento).

 

Ciascuno non è quello che è, perché cambia abitudini, residenza, lavoro, gusti; insomma non è certo uguale a prima, ma non è un altro, non si deve rinnegare, né sminuirsi, è lui ancora.

Questa distinzione tra ESSERE E AVERE è feconda, anche per mettere ordine in molti concetti utilizzati nella didattica dell’insegnamento.

In questa prospettiva, si può affermare che appartengano all‘essere del bambino e o dell’Istruttore Minibasket, le capacità e le competenze, mentre si riferiscono al loro avere le conoscenze e le abilità.

Tanto si è capaci e competenti, quanto si hanno conoscenze (Iper Uranio di Aristotele o il Mondo 3 di Popper) e abilità (di comunicare, di trasmettere, possedere carisma, leaderschip); viceversa non si hanno capacità e competenze, né si è conoscenze e abilità.

Vediamo di rendere comprensibile e giustificare maggiormente queste differenze e, soprattutto, di considerare in che modo impiegarle ai fini di una migliore progettazione ed attuazione dell’insegnamento del Minibasket.

 

CAPACITA’

 Nessuno di noi è capace di volare. Ci si può allenare, ma non è possibile raggiungere questo risultato. Volare non fa parte del nostro essere (attuale e potenziale), non è una nostra capacità interna o propensione.

Noi abbiamo la capacità di pensare e di costruire artefatti che ci permettano di librarsi nello spazio, ma perché uomini, non possiamo per niente volare.

Noi siamo chi siamo e chi possiamo diventare (anche in base al nostro DNA).

Posso imparare la matematica, sebbene non la sappia, sono capace di imparare la matematica, ne ho la propensione, però, potrò essere capace di imparare solo la matematica elementare, se sono vissuto in un ambiente familiare che non ha stimolato le mie connessioni neurali in modo adeguato e, quindi, ho perduto le mie capacità interne iniziali e, per cause esterne al mio essere, non potrò mai più accedere alla matematica superiore.

Idem per quanto riguarda il Minibasket.

Come Istruttore potrei imparare a memoria 20-50-100 esercizi di palleggio, tiro, passaggio, di difesa, giochi didattici, propedeutici (Minibasket Elementare), oppure potrei conoscere il concetto e, quindi, inventare 100-1000 esercizi, giochi, gare (Minibasket Superiore).

Tutto ciò dipende dall’ambiente in cui sono cresciuto (famiglia, ambiente in cui vivo, Insegnanti, Allenatori avuti in precedenza), dalle mie esperienze (studi, esperienze di Convegni, Clinic, Seminari) e dal mio DNA.

 

Il problema pedagogico

Se è vero che nessuno di noi può diventare ciò che non è in potenza, l’obiettivo nostro è far sì che ciascuno realizzi al meglio possibile se stesso, ovvero che sviluppi e metta in atto tutte le capacità interne che costituiscono il suo essere potenziale, cercando di incontrare il meno possibile forze ed ostacoli sociali, ambientali, culturali, che lo limitino e lo deformino.

Per diventare un buon Istruttore di Minibasket, competente, comunicativo, capace di individuare le potenzialità di ogni bambino/a (creare “bambini/e pensanti” ad ogni livello) e di trasformarle (in relazione alle differenti potenzialità), è bene conoscere a fondo la differenza tra l’essere e l’avere di ognuno.

Non sarebbe difficile risolvere questo problema, se le Scienze dell’Educazione (filosofia, pedagogia, psicologia, antropologia, sociologia, medicina, biologia, etc.), potessero dirci con certezza quali siano le capacità potenziali di ciascun bambino e quali cause efficienti e/o materiali, le possano comprimere, fino al punto di impedirne la futura concretizzazione.

Lo stesso dicasi per l’Istruttore Minibasket che lavora in un Centro Minibasket.

Non può essere considerato un buon Istruttore colui che non ha le capacità potenziali per esserlo, non può essere un buon Istruttore colui che conosce solamente gli esercizi, ma non sa insegnarli, colui che non sa comunicare con i bambini, che non sa utilizzare i feedback, che non sa correggere, che non sa pensare da bambino, che non sa mettersi in ginocchio e guardare i bambini negli occhi (mettersi alla loro altezza).

Per troppo tempo abbiamo guardato i bambini dall’alto in basso.

Noi Istruttori Minibasket conosciamo veramente “a fondo” i bambini dei nostri Centri Minibasket?

Conosciamo il perché proponiamo un gioco o un esercizio, sappiamo quando deve essere presentato, come deve essere eseguito in relazione alle diverse età?

L’unica strada da perseguire nell’insegnamento, è quella di attribuire ad ogni bambino, perché soggetto unico ed esclusivo, tutte le capacità che qualificano in genere gli esseri umani, cioè il pensare teoreticamente, in sostanza e tecnicamente.

Sarà poi compito dell’intervento pedagogico concreto e particolare che si deve instaurare con ciascun soggetto, impiegare strumentalmente tutte le conoscenze fornite dalle Scienze dell’Educazione, per interrogare e scoprire sempre più e meglio i livelli e le forme delle specifiche capacità di ciascuno, così da favorirne il più alto dispiegamento possibile.

E’ meglio insegnare ad ogni bambino a giocare (capacità di gioco), piuttosto che insegnare analiticamente i fondamentali cestistici e pensare che poi loro li mettano assieme e giochino.

E’ sicuramente più facile insegnare ai bambini a conoscere i movimenti del proprio corpo nello spazio e nel tempo (con o senza palla), piuttosto che insegnare loro, in modo analitico, il palleggio, il passaggio, il tiro o i movimenti senza palla in attacco e i movimenti in difesa.

E’ meglio che un bambino capisca a che cosa serve il palleggio, quando deve essere utilizzato, in che modo, se è meglio scegliere il palleggio piuttosto che il passaggio o il tiro, se è meglio difendere sul possessore di palla piuttosto che su chi non è in possesso di palla (ricordiamoci che la palla possiede una grande valenza ludica).

 

L‘analisi logica ed operativa delle capacità

Per agire pedagogicamente, le capacità si possono e si devono, formulare analiticamente e, quindi, è importante promuovere, nell’educazione di ciascuno, non solo la sua umanità, ma anche la sua capacità logica, critica, motivazionale, espressiva, creativa, operativa, sociale, morale, relazionale, motoria, sportiva, di porre e di risolvere problemi e di elaborare le emozioni.

E’ importante tradurre queste capacità individuali, in comportamenti o in ogni modo in prestazioni osservabili e misurabili, attraverso una corretta didattica d’insegnamento (non didatticismo), identificabile nell’abilità professionale dell’Istruttore!

Questo lavoro di analisi logica ed operativa delle capacità è molto utile, anzi è indispensabile alla progettualità didattica e all’azione educativa.

Così facendo, tuttavia, si possono correre due rischi, che a volte possono diventare pericolosi.

Il primo rischio è la sostanzializzazione delle capacità individuali dei bambini: a forza di analizzarle sul piano logico e di tradurle successivamente in dimensioni operative misurabili ed osservabili, si può giungere a pensare che si stia frantumando e rendendo maneggiabile qualcosa che esista in sé e per sé; come se le capacità fossero una sostanza autonoma e non, invece, come sono, un attributo del nostro essere.

Ogni bambino ha le “sue” specifiche capacità (schemi logici di azione, operazioni, modelli procedurali, metodi di insegnamento, capacità comunicative), le capacità non sono uguali in tutti i bambini (anche quelle motorie).

Le capacità si devono sempre riferire ad un soggetto umano concreto, con le sue specifiche capacità.

Le capacità non esistono in astratto, ma esiste solo un soggetto umano concreto che è capace.

Il secondo rischio è una conseguenza del precedente.

Se si sostanzializzano le capacità, significa che ciascuna è autonoma e autosufficiente e che esiste indipendentemente dalle altre (ad esempio la capacità logica di un individuo è strettamente legata a quella espressiva e ad altre ancora).

Non possono esistere INDICATORI operativi che valutano una capacità, non possiamo agire in un vuoto pneumatico artificiale, che ci permette di semplificare il tutto.

Se le nostre capacità sono NOI e se noi siamo noi (un qualcosa di unitario e integrale), non possiamo analizzarle e frazionarle.

I risultati dei test sono solo valori indicativi, vanno solo trascritti, ma non valutano totalmente le capacità individuali (ognuno ha le sue capacità e può raggiungere valori che sono massimi per lui e non possono essere paragonati a tabelle e percentili generali). Queste sono solo abilità!

I programmi educativi per la promozione solo delle capacità logiche non esistono, si possono scrivere solo sulla carta!