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Angelo Baiguera, attuale consigliere delegato del Palermo Calcio, ha attraversato varie vite. Tra le più importanti, quelle di giocatore di basket dal talento puro e di cantautore di belle speranze che piaceva a Fabrizio De Andrè e a pochi altri.

Ognuno di noi è figlio della propria era. Con tutti gli annessi e connessi del caso. Gli anni ’70, per esempio: se eri ragazzo in quel decennio lì, prima o poi dovevi scegliere se stare di qua o di là. Certo, potevi pur sempre infilarti in un pertugio nel mezzo, volendo persino startene sulle tue e fregartene alla stragrande, ma non sarebbe stata la stessa cosa. E poi non ti saresti divertito, diciamolo. Angelo Baiguera era un figlio degli anni ’70 e a lui il mondo piaceva mancino. Gli indiani metropolitani di Parco Lambro, Julian Beck, Fabrizio De Andrè, Franco Basaglia, Moni Ovadia i suoi esempi, quelli da seguire, senz’altro più influenti di Pierluigi Marzorati o Pete Maravich, per dire. Già, Baiguera, classe 1955, giocava a basket. Un playmaker di quelli forti, una promessa pronta a spaccare il mondo con il solo aiuto di un talento cristallino.

"Angelo Baiguera", disco del 1981

“Angelo Baiguera”, disco del 1981

Ma sul parquet non sempre va come deve andare. Le prime avvisaglie quando il nostro compie 16 anni e Cantù gli punta gli occhi addosso: tre mesi di mal di pancia e poi via, verso nuove avventure. La prima a Cremona, da dove se ne esce come miglior marcatore della serie B. Poi la Pintinox Brescia e l’incontro fatale con Yelverton. Baiguera alla chitarra, Charlie al sax, ovvero De Andrè contro John Coltrane: risultati a parte, una stagione da incorniciare. Come quelle che arriveranno da lì a poco. La Ginnastica Triestina, targata Hurlingham, è appena tornata in serie A, Trieste vive il rapporto con la palla a spicchi sulla spinta di una passione viscerale e Baiguera è adorato come un semidio. Ma una volta timbrato il cartellino, l’idolo delle masse se ne scappa all’Opp, l’ospedale psichiatrico, dove passa il resto della giornata e dorme. È uno “strano”, ormai lo hanno inquadrato. I dirigenti e la piazza sopportano a fatica, lui intanto scrive articoli non proprio tranquilli sui giornali locali e butta giù canzoni. Incide un disco, “York nome di Cane”, esce solo a Trieste e vende qualcosa come 10.000 copie, fa tappa a Milano, dove suona spesso e comincia a farsi conoscere, scrive per Pierangelo Bertoli e Charles Aznavour. I problemi si acuiscono, il rendimento sul campo si fa altalenante, l’autoritarismo dei suoi allenatori chiude il cerchio. Nel 1981, a soli 26 anni, mentre il vate Valerio Bianchini lo insegue per portarlo a Roma, Baiguera si ritira: basta con la pallacanestro, la Ricordi lo mette sotto contratto, nel 1983 esce “Blu notte”. Un disco che piace anche a De Andrè – già, uno dei suoi fari – che lo chiama e gli propone di aprire i suoi concerti, quelli del tour di “Creuza de ma”. Potrebbe essere la svolta, tant’è che arrivano altri vinili, ma il successo è di nicchia. Il problema vero, però, è l’industria discografica: le solite insofferenze, la solita esigenza di sentirsi libero. Baiguera dice addio anche alla musica, tornerà a occuparsi di basket nel ruolo di manager della Stefanel Trieste per poi ritrovarsi con lo stesso ruolo nel Palermo Calcio di Maurizio Zamparini, dove tuttora lavora (e resiste…).

Angelo Baiguera, nel suo passato da cantautore, non ha quasi mai affrontato il tema della palla a spicchi. L’eccezione è rappresentata “È proprio lui”, del 1981, una sorta di autobiografia di quegli anni divisi tra l’agonismo del parquet e la ricerca di una esistenza alternativa alla massificazione. La canzone rappresenta la parabola del giocatore che da mito (“Guardatelo che faccia, che tenebroso… guardatelo dal vero, per un suo bacio, un solo sguardo chissà cosa darei”), si trasforma in mela marcia (“Secondo me è proprio spompato, chissà magari è anche malato, attenzione, non ce la fa più. Fa una vita sregolata, mangia, beve e dorme con chi proprio non si sa… È brutto, sembra frocio, altro che soldi per giocare, tante legnate gli darei”). Poco più di tre minuti per condannare un mondo all’interno del quale il giocatore che pensa è senz’altro un sovversivo e, di conseguenza, un pericolo per lo status quo. E se “È proprio lui” è invecchiata dal punto di vista musicale, si può esprimere lo stesso giudizio sulle liriche che la accompagnano? Pensiamoci, se domani tornasse un Baiguera come verrebbe accolto?