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La Sebastiani Rieti raggiunse per la prima volta la serie A nel 1973. E fu delirio totale. Dal quale non si salvarono nemmeno I Sopravvissuti, band che da un giorno all’altro passò dai più arditi esperimenti psichedelici a un inno nazionalpopolare come “Forza Brina”.

Se nel calcio la tradizione è ben consolidata, nel basket si fa un po’ più fatica a ricordare club che si sono dotati di un inno ufficiale. Di materiale in catalogo ne abbiamo anche noi, certo, ma è roba più che altro carbonara, mentre dalle parti della pedata è tutta un’altra cosa. Quelli lì non hanno mai badato a spese, negli anni c’è stata una corsa per accaparrarsi i cavalli migliori, leggasi Paolo Belli, Dario Baldan Bembo, I Camaleonti, Andrea Mingardi (che un contributo lo ha dato anche alla palla a spicchi), addirittura Mike Bongiorno. Mica paglia! Una tradizione portata avanti, in tempi più recenti, da Elio e le Storie Tese, dai Sikitikis e i Sud Sound System, quest’ultimi autori di “Giallurussu”, pezzo magnifico ma inviso ai tifosi del Lecce: sembra porti scalogna.
A casa nostra, invece, gli inni bisogna cercarli col lanternino. Anni fa, nel 2007, ci provò la Sutor, o meglio, l’allora giunta comunale di Montegranaro. Qualcuno se lo ricorda? “Sutor alè”, del maestro Stefano Seghedoni, non era niente male. Unico ma decisivo limite, la mancanza di quel tocco trash/nazionalpopolare (testo a parte…) che avrebbe consentito un deciso salto di qualità. Non era una canzonetta ma una cosa seria, da orchestra sinfonica: il popolo gialloblù rispose rimuovendo in fretta. Anche perché aveva un minimo comun denominatore con la già citata “Giallurussu”. Indovinate quale. E poi il tifoso, quello che gronda sudore e sangue dalla curva o si rivolge inferocito all’arbitro facendogli notare che “erano passi”, quello convinto che la sua squadra sia la più forte del globo terracqueo ama il ritornello di facile presa, la rima a tutti i costi, la retorica a buon mercato. Già, come dargli torto?
Qualità che I Sopravvissuti usarono a piene mani per festeggiare l’approdo in serie A della Sebastiani Rieti. Era il 1973, il basket tricolore attraversava uno dei suoi momenti più belli, mentre la musica pop era invasa da un’orda di cantautori politicizzati e vampate di prog. Ma andiamo con ordine. Rieti, allora sponsorizzata dall’azienda di surgelati Brina (marchio successivamente acquisito dall’Arena) fece il suo ingresso nel basket che conta la sera del 29 giugno di 42 anni fa, dopo un leggendario spareggio all’Hangar di Pesaro con l’Ivlas Vigevano, guidata in panchina da un giovane Mario De Sisti. Finì 55-44 (punteggio che la dice lunga sullo spettacolo offerto dai due quintetti…) e col trionfo degli uomini dell’allenatore-giocatore Gianfranco “Dado” Lombardi, uno dei monumenti della nostra pallacanestro.

Gianfranco "Dado" Lombardi

Gianfranco “Dado” Lombardi

Fu allora che I Sopravvissuti decisero di uscire dalla fetida cantina per partecipare attivamente al delirio di una città impazzita. La band reatina – salvata da un ingiusto oblio da “Terzo grado”, libro altamente consigliato, scritto da Alessio Marino e Massimiliano Bruno per la Tsumani Edizioni – amava le sperimentazioni di matrice psichedelica ma un bel giorno la Sebastiani prese il posto di Syd Barrett nei cuori i nei pensieri della line-up. Ecco allora “Forza Brina”, l’inno perfetto, quello con il ritornello di facile presa, la rima a tutti i costi, la retorica a buon mercato.

Diciamolo: è un pezzo orrendo, peraltro lontano mille miglia dal background del gruppo. Ma come resistere a frasi quali “C’è un’unica voce in tutta la Sabina, forza Brina, forza Brina”, “Sono dieci leoni che hanno un cuore d’oro e ci copriranno di gloria e d’alloro”, “Per le strade e per le piazze echeggia un solo canto: forza vecchio cuore celeste-amaranto”?
La Sebastiani, da quel lontano giorno di inizio estate del ’73, di strada ne percorse parecchia. Fino a inserire in bacheca una coppa Korac, a lottare per lo scudetto, a lanciare giovani come Roberto Brunamonti o Domenico Zampolini e ingaggiare giocatori di qualità eccelsa come Joe Bryant (il papà di Kobe) e i compianti Willie Soujourner e Cleef Meely. I Sopravvissuti, invece, si dispersero chissà in quali direzioni, fino al definitivo ritiro dalle scene. Ma è bello pensare che quei ragazzi figli dell’underground e dediti al culto del rock alternativo persero la testa per una palla a spicchi.
P.S.: chiediamo scusa agli animi più sensibili se abbiamo parlato di tifoserie di Sutor e Sebastiani all’interno di uno stesso pezzo. Così, come se nulla fosse.