fabio treves dan peterson

Il Puma di Lambrate, ovvero Fabio Treves, e il coach di Evanston, al secolo Dan Peterson. Un giorno le loro strade si incontrarono. Nel nome del blues.

Gli italiani e il blues sono due cose avulse. Diciamolo: chi vive nel Belpaese non ha mai piegato la schiena sui campi di cotone, non sa cosa significhi subire lo schiavismo, di ritmo (quel ritmo) nel sangue nemmeno una traccia. E poi quella pelle color mozzarella o giù di lì… Al massimo, i discendenti degli antichi latini possono suonare la tarantella o darci di brutto col mandolino mentre ingurgitano una pizza e un bicchiere di vino. Bene ma, per favore, evitiamo di recapitare questa scartavetrata di luoghi comuni a Fabio Treves, il Puma di Lambrate. Uno che il blues lo mastica da tempo immemore, uno che condiviso ha la sua armonica a bocca con mostri sacri quali Frank Zappa, Mike Bloomfield, Alexis Corner, Louisiana Red, Willy De Ville e tantissimi altri. Fino a rendere popolari le dodici battute anche nella terra dei cachi. E se non è un’impresa questa! E poi c’è un particolare che ce lo rende particolarmente simpatico: a Treves piace il basket. Un amore nato sin dalla fine dei ’60, quando spesso e volentieri si ritrovava a occupare le gradinate del palaLido di Milano per applaudire le imprese delle Scarpette Rosse. L’Olimpia targata Simmenthal dei Massimo Masini, dei Giulio Jellini e degli Arthur Kenney, quella che l’importante era scannarsi minimo due volte a stagione con l’Ignis Varese. La stessa Olimpia che poi conoscerà un triste declino, fino a ritrovarsi di nuovo vincente nei luminosi anni ’80. Ricordate? I trionfi in Italia e in Europa, la ventiquattresima squadra dell’NBA, Mike D’Antoni, Dino Meneghin, Roberto Premier, Bob McAdoo. E Dan Peterson a dirigere le operazioni dalla panchina. Un gruppo straordinario, del quale Treves si sarebbe innamorato perdutamente. E che lo avrebbe portato a convincere il coach di Evanston a partecipare a uno dei suoi album.

Fabio Treves tra Kenny Barlow e Bob McAdoo (le foto inserite in questo articolo sono state gentilmente concesse da Fabio Treves)

Fabio Treves tra Kenneth Barlow e Bob McAdoo (le foto inserite in questo articolo sono state gentilmente concesse da Fabio Treves)

È il 1988 quando Fabio Treves esce con “Sunday’s blues”. Un disco di ampio respiro, al quale prendono parte personaggi di un certo spessore. Come il tastierista Chuck Leavell, già con la Allman Brothers Band e collaboratore a più riprese dei Rolling Stones e di Eric Clapton, Pick Withers, batterista dei Dire Straits, e poi Franco Mussida, storica chitarra della Premiata Forneria Marconi, l’estroso della sei corde Tolo Marton fino ad arrivare a Dan Peterson, appunto, che nel disco presta la propria voce al coro di “Travellin’ guitar”.
“Non ricordo esattamente come conobbi Dan – racconta a Pick and Rock il Puma di Lambrate –, so solo che quando si presentò mi disse di essere un chitarrista. Mi accorsi sin da subito di avere a che fare con un folk-singer à la Willie Nelson, con un appassionato nonché grande intenditore di musica country: grazie al coach ho potuto scoprire tanti artisti che non avevo mai sentito nominare prima. Avrei voluto coinvolgerlo in un pezzo pre-rap già pronto a metà anni degli anni ’80, quando lui imperversava in tv con lo spot del The Lipton, ma poi non se ne fece nulla. Alcuni anni dopo riuscii a convincerlo a partecipare al coro di un mio pezzo, dal titolo ‘Travellin’ guitar’. In studio di registrazione andò tutto bene, Peterson alla fine rimase molto contento, per lui fu un’esperienza unica. Finimmo anche in televisione, a ‘Record’, un programma sportivo condotto da Cesare Cadeo su Canale 5 (un’esperienza immortalata dalla foto in alto,  nda)”.
La presenza di Dan Peterson all’interno di “Travellin’ guitar” è riconoscibilissima (fatevene una ragione, su youtube il brano non c’è, in compenso “Sunday’s blues” in giro si trova ancora): basta un attimo per captare quella timbrica un po’ nasale al quale gli appassionati della spicchia, e non solo loro, sono abituati. Al di là di tutto, la sua è una presenza nel mezzo del coro è discreta, mai sopra le righe. Strano, se solo si pensa al comportamento sanguigno che ha sempre accompagnato l’ex tecnico dell’Olimpia Milano (e della Virtus Bologna) in campo e non solo. Chi non ricorda le sue sfuriate con gli arbitri, i confronti di fuoco con i giornalisti, le stilettate lanciate (e ricevute) in direzione del collega Valerio Bianchini? Già, solo il potere taumaturgico del blues è riuscito a tranquillizzare il coach di Evanston. Anche se solo per una manciata di minuti…