“Forse un giorno sarà bello ricordare anche questo”
“L’unico vantaggio dei vinti, è quello di non sperare nella salvezza”
La morte è certa, la vita no. La storia di Klaudio Ndoja
di Michele Pettene, prefazione di Gianmarco Pozecco
Imprimatur edizioni, 16.50 euro
Nel luccichio finto, artefatto, spesso ingannevole di un locale milanese che va per la maggiore tra i giocatori di basket italiani ultimamente, tempo fa abbiamo visto Klaudio Ndoja. Aveva un volto profondamente diverso, dagli altri avventori. Al gran bazar di corpi giovani, che s’offrono alla star sportiva di turno, dove gli abiti succinti, le minigonne estremanente minimali e il trucco servono a mascherare l’anima più che il viso, Klaudio sembrava un pesce fuor d’acqua. Col suo bicchiere in mano, in coda per andare in bagno, fare educato e rispettoso, tradiva nel suo sguardo una sofferenza ancestrale, lontana.
E’ quella stessa sofferenza, sfociata fin poi nella redenzione umana e sportiva, che Miky Pettene, classe 1986- firma ben nota ai lettori di Dailybasket, un corsaro di talento unico nel suo genere, distratto in apparenza, fugace, volitivo, ben memore della lezione che chi sa solo di basket non sa nulla di basket- ha descritto in un libro straordinario, bello, intenso, frutto di anni di lavoro e conversazioni, e parole, e incontri, e seduzioni, e dolorosi rimandi a un passato, quello di Klaudio- professionista che molti ricorderanno a Brindisi, Capo d’Orlando, Verona e attualmente Mantova, in A2, che rassomiglia a un romanzo più che a una vicenda sportiva. La morte è certa, la vita no è il titolo di questo libro, ed anche la sintesi della storia di Klaudio e della sua famiglia, nati e cresciuti in Albania, fuggiti ed emigrati clandestinamente in Italia, dopo un viaggio al cui confronto taluni poemi epici paiono passeggiate senza la minima ombra di disagio. Andiamo a scoprirlo, insieme.
POSSONO, PERCHE’ PENSANO DI POTERE
Il libro di Miky Pettene è un riscatto anche letterario e qualitativo rispetto a certa pubblicistica di basket, curata molto poco o proprio nulla sotto il piano appunto della cura riservata alla scrittura. E invece ogni capitolo s’apre con degli incipit che colpiscono: ‘Le enormi pale degli elicotteri creavano un frastuono insopportabile. Il ronzio costante di quel mastodontico insetto metallico stava mettendo a dura prova i nervi di tutto l’equipaggio. Mentre nell’oscurità quasi completa le onde dell’Adriatico si scontavano e venivano respinte in continuazione dalla carena arrugginita, l’imbarcazione, in precarii equilibrio, si stava scagliando a folle velocità nella notte verso la costa italiana’, si legge nel prologo.
E immeduatamente, a noi, sono venute in mente le parole di Oscar Eleni dedicate a Nando Gentile, che ben s’sattagliano anche alla vicenda di Klaudio: “Il Furibono Serna, il nostro Fuser (Ernesto Che Guevara, ndr), che non abbandonava mai il campo, anche alla fine dell’allenamento, un po’ come il fratellastro Vincenzino Esposito, ci è rimasto nella mente anche quando non era più un giovane principe, ma stava diventando una persona diversa, perché anche i rivoluzionari, se non cadono prima, finiscono per alzare le braccia davanti a chi sostituisce il fucile con il cannone, mentre loro continuano a girare fidandosi soltanto della pistola”.
La determinazione, la forza, la capacità di reagire a una storia difficile- nell’Albania che vive il crepuscolo di una delle forme di dittatura comunista più feroce, crudele ma anche ingenua, nella sua follia tesa ad annichilire l’uomo e la sua dignità; una sorta di Corea del Nord riveduta e corretta, ma nel mezzo dei Balcani e a poca distanza dalle coste italiane- sono d’altro canto quelle di un ragazzo, Klaudio, che assieme alla sua famiglia supera le tempeste d’acciaio della diaspora post comunista negli anni Novanta, arrivando in Italia da clandestini e ritrovando pace, serenità e persino- nel caso di Ndoja- il successo sportivo. Raggiunto per il tramite di un sacerdote, don Marco, amorevolmente descritto nel mezzo della personale redenzione di Klaudio. Il quale risponde al nichilismo dottrinale ed antireligioso, che l’Albania ha diffuso copiosamente per decenni, con l’abbraccio della fede cristiana, che porterà il nostro campione a conoscere papa Francesco e ad essere scelto come testimone, al cospetto di decine di migliaia di persone.
FIN DOVE ARRIVA, LA FORZA DI VOLONTA’
Leggendo le oltre 300 pagine del libro, scandito in capitoli che aiutano a districarsi fra le mille sfaccettature di tutto quanto successo a Klaudio ed ai suoi, dal momento della sua nascita all’approccio al basket, si coglie l’assoluta straordinarietà della forza, indefessa e incrollabile, con cui il protagonista- grazie alla statura, alla passione per la palla a spicchi rabberciata e poi finalmente scoperta nella sua normalità, su un parquet vero e non su di un campo polveroso e precario- risale uno ad uno gli scalini in grado di condurlo sino all’affermazione da atleta. Ci riesce, Klaudio, passando da Desio a Casalpusterlengo, da Sant,Antimo a Capo d’Orlando, dove la traccia lasciata da Ndoja è di quelle difficili da cancellare dalla memoria, come testimonia la prefazione inusualmente bella di Gianmarco Pozzecco, che nelle righe dedicate a Klaudio mette davvero tutto se stesso, la sua smisurata follia ma anche l’intensità con cui vive ogni cosa, dal basket alle relazioni umane. La serie A, che nella prigione dove Ndoja transitò prima di arrivare in Italia era un pensiero inibito non solo dalle sbarre, ma soprattutto dal buio fitto che avvolge ogni speranza, diventa realtà. A Capo, poi a Brindisi. Cose che soltanto un guerriero può ottenere. Ma chi è un guerriero? Un guerriero della luce fa sempre qualcosa fuori del comune. Può ballare per la strada mentre si reca al lavoro, guardare negli occhi uno sconosciuto e parlare di amore al primo incontro, difendere un’idea che può sembrare ridicola. I guerrieri della luce si permettono simili cose.Egli non ha paura di piangere per antiche pene, o di gioire per nuove scoperte. Quando sente che è giunto il momento, lascia tutto e parte per l’avventura tanto sognata. Quando capisce di essere al limite della resistenza, abbandona il combattimento, senza colpevolizzarsi per aver fatto un paio di follie inaspettate. Un guerriero della luce non passa i giorni tentando di rappresentare il ruolo che altri hanno scelto per lui. Paolo Coelho
COME BOSCIA
L’accostamento al dramma e all’epos cinematografico genera quella che, a parere di chi scrive, è una delle parti più belle e intense del libro: quella in cui Miky Pettene rievoca uno dei più grandi film western di sempre, Pat Garrett e Billy the Kid, in particolare la morte in cui lo scerffo viene colpito a morte e si congeda dal mondo, e dalla sua amata, sulle rive del fiume, mentre Bob Dylan canta e invita a bussare alle porte del paradiso. E la vita di Klaudio Ndoja, appunto, è come quelle narrate nei film. Ed è sucessa per davvero. Su un campo di basket. Con la palla a spicchi. Secondo voi, diteci pure, è successo per caso?
“Boscia non era un uomo: era un romanzo. D’amore, rabbia e avventura. Innamorato della luna, nelle notti fredde, limpide e serene. Boscia guardava i fuochi nella notte di Milano, non erano i falò accesi per scacciare i lupi in una vigilia rivoluzionaria, ma soltanto cupi segnali d’improvvisati mercati dove si vendono e si comprano corpi avariati, non certo l’anima delle cose e della gente, come sognava Tanjevic. Boscia deve aver patito tristezze metropolitane. Avara. Per uno zingaro tenero e crudele, che amava bere il fuoco liquido e sognare l’Utopia e la Città del Sole’ Werther Pedrazzi