Una squadra, i suoi tifosi, il futuro di un malato: il basket italiano

Esultanza degli Eagles (foto R. Caruso)

CANTU’ – Fabio Riva e Simone Galvani erano due tifosi canturini appartenenti agli Eagles, la componente più accesa della curva del Pianella, un gruppo fondato nel 1990. Scomparsi prematuramente, non sono mai stati dimenticati da chi continua a sostenere la realtà più piccola e al contempo gloriosa della pallacanestro italiana: Cantucky, cittadina di neppure 40mila abitanti in provincia di Como, una delle tante capitali della fu Lombardia dal primato economico e produttivo oggi appannato, la più piccola città in Europa a vincere per due volte l’allora Coppa dei Campioni, antenato dell’Eurolega odierna.

Domani sera, mercoledì 12 alle 19.45 (ingresso unico a 5 euro), si gioca al Pianella di Cucciago la quarta edizione del trofeo intitolato ai due Eagles: per la quarta volta sulla panchina di Cantucky ci sarà Andrea Trinchieri, per la quarta vola sul parquet ci sarà il capitano Nicolas Mazzarino, mentre sul piazzale del glorioso e acciaccato palasport di Cucciago- le cui vetuste mura sono impregnate di storia del cesto come poche altre in Italia- si svolgerà l’ottava festa degli Eagles, che ogni sera- nel fine settimana anche a pranzo- propongono feste ed eventi. Domani sera, ad esempio, si potrà cenare in compagnia della squadra.

Gli Eagles, del resto, sono una delle ragioni che ha convinto l’Eurolega, mica un Comitato provinciale periferico qualsiasi, ad affidare a Cantù l’organizzazione del girone eliminatorio di Eurolega: chi può dimenticare l’entusiasmo contagioso della curva al Paladesio, che ha coinvolto tutti i 6200 spettatori che hanno fatto quasi sempre registrare il tutto esaurito la scorsa stagione? Chi può dimenticare il clima arroventato, per certi versi unico, che si è creato durante quegli incontri contro l’aristrocrazia del basket europeo, dal Barcellona allo Zalgiris passando per il Maccabi?

L’avversario di domani sera è la Vanoli Cremona, che abbiamo appena ammirato al trofeo Lombardia e che è reduce dalla clamorosa vittoria contro il Cska Mosca. Nonostante la sconfitta di misura contro la Cimberio Varese, nella finale di domenica, i ragazzi di Attilio Caja hanno destato ottime impressioni. Johnson, Harris, Jackson, Stipanovic e Porzingis hanno dimostrato di essere già ben assemblati, e nonostante il budget non faraonico della società cremonese (un bell’esempio di passione e serietà, merce rara coi tempi che corrono) daranno filo da torcere a molte compagini della Lega A.

Cantù accoglie oggi ufficialmente Aradori e Cusin, reduci dalla gloriosa cavalcata azzurra, e aspetta l’imminente arrivo di Tyus e Markoishvili per completare finalmente il suo roster e prepararsi a un fine settembre di fuoco: la Supercoppa italiana contro la Mps di sabato 22 e soprattutto il girone eliminatorio di Eurolega, che- notizia fresca di giornata- sarà trasmesso da Sportitalia, in attesa che Sky ufficializzi o meno la decisione di riprendersi la massima competizione europea.

Perché il trofeo Fabio e Simo assume per noi una valenza simbolica, che va oltre il dato agonistico? Perché nel panorama di un basket malato e in crisi di risorse, talvolta anche di idee, crediamo che una delle basi da cui ripartire (non certo l’unica) è la (ri)costruzione di un legame forte tra le squadre e i propri territori, le proprie città: usando un parolone caro ai sociologi, diremmo con la propria ‘identità territoriale e locale’.

L’Italia, paese dei mille campanili, terra di Strapaese, ha costruito le sue fortune cestistiche basandosi sulle passioni nate in provincia: Pesaro, la compianta Treviso, la stessa Siena che non arriva neppure a 100mila residenti. Assieme alle storiche e altrettanto gloriose epopee di Milano, Bologna e Roma, il basket italiano è vissuto e si è nutrito di passione. Quindi ben vengano Biella, Cremona, Montegranaro. Ben venga quel basket capace di ammaliare in modo sano famiglie ed adolescenti, quindi di catturare anche l’interesse degli sponsor e l’attenzione dei media. Il malato, ossia il basket italiano, necessita di cure intensive e multi farmaco. Non c’è una sola ricetta o una taumaturgica (e solitaria) via d’uscita dalla crisi. Ma se domani verrete al Pianella, dove noi ci saremo e vi racconteremo quello che succederà sul campo e sugli spalti, forse vi convincerete delle nostre ragioni. O almeno di qualcuna di esse. Perché il basket può ripartire da posti come Cantucky, e dall’entusiasmo di ragazzi come gli Eagles. Fabio e Simo, sempre con noi.