5 febbraio 2017. Un anno e spiccioli fa la Betaland Capo d’Orlando di coach Gennaro Di Carlo volava letteralmente nel nostro campionato. La decima vittoria della sua stagione, che ufficializzò la salvezza e rese l’annata biancazzurra da ricordare, arrivò al PalaRuffini di Torino proprio in quella data. Sotto di 14, Capo seppe rientrare in partita e sugellò la rimonta con la tripla di Vojislav Stojanovic, che per l’occasione fece il gesto di ‘belinelliana’ memoria degli attributi. A distanza di 368 giorni non c’è più nulla di quella squadra: a partire dalle vittorie, precisamente la metà dello scorso anno dopo 18 giornate, con Atsur e compagni mestamente al penultimo posto in classifica con sette ko consecutivi sul groppone. Come spiegarci questa discesa agli inferi della squadra siciliana in quest’annata, che doveva essere quella della storia per la prima campagna europea in Champions League ed invece si sta tramutando in un incubo?

SI TIRA POCO, SI SEGNA MENO – Cominciamo ad analizzare qualche numero che fanno capire il brutto momento che si respira al PalaFantozzi. Le statistiche non vorranno dire tutto della Betaland, ma fanno capire sicuramente molto dei problemi difensivi ed offensivi nati nei meccanismi siciliani. Terza peggior difesa del campionato con quasi 82 punti subiti e peggior attacco con 67,5 ad allacciata di scarpe; già questi unici due dati farebbero capire molto. Ma Capo d’Orlando è una squadra che tira veramente poco: unici in tutto il campionato a non superare la soglia dei 60 tiri dal campo e ultimi nella classifica dei tiri liberi, sia tirati (poco più di 13) che in percentuale (67.3%, in pratica uno ogni tre è sbagliato). Di contro, la squadra di Gennaro Di Carlo concede 63 tiri a gara, il che si traduce con quattro possessi potenziali nelle mani degli avversari. Capo d’Orlando è in pratica schiava delle sue percentuali: nelle cinque vittorie conquistate Kubolka e compagni tirano con quasi il 62% da due ed il 38% da tre punti oltre al 78% dalla linea della carità. Percentuali che nei ko crollano drasticamente al 48,6%, 27% e 63,2% nei 13 ko.

Eric Maynor (Foto Stefano Gandini 2017)

POCA CATTIVERIA? – I dati tecnici potrebbero essere parzialmente giustificati dalle porte girevoli che sono state installate nella cittadina messinese, con coach Di Carlo che aveva in mente ben altra squadra in estate (Talton andato via quasi subito, Inglis non ha convinto, Edwards andato via appena ha ingranato), ma non basta. Un’altra caratteristica che non può risaltare all’occhio è la sinistra tendenza a tirare i remi in barca quando le cose vanno male. Nel solo campionato ben 10 delle 13 sconfitte arrivano con un margine di almeno 15 punti, 8 se apriamo la forbice alle 20 lunghezze. In Champions League le cose sono andate anche in maniera peggiore, con 8 dei 12 ko conclusi con uno scarto di almeno 15 lunghezze, 6 con almeno 20 punti di margine, accennando appena le brutte figure in entrambe le gare con Tenerife ed il Neptunas Klaipeda. Assieme a questo, aggiungete Capo come l’ultima squadra (che novità) sia come falli fatti che come subiti in Italia ed il gioco è fatto. La Betaland non riesce più ad incantare come lo scorso anno, quando coach Di Carlo aveva plasmato incoscienza ed esperienza, fondendoli in un nucleo solido, intelligente e con la voglia di spaccare il mondo in ogni partita. Sicuramente quest’anno mancano le letture che tanto avevano affascinato la palla a spicchi del Bel Paese fino a nemmeno dodici mesi fa, e per farlo si spera nel ritorno in auge del miglior Eric Maynor. Ma in assenza della bellezza, c’è bisogno di essere ruvidi, di sgomitare su ogni pallone. Gli attributi, quelli che mostrò Stojanovic, uno dei pochi rimasti dalla scorsa stagione, sulla tripla della vittoria con Torino; gli attributi che caratterizzarono la scorsa stagione della Betaland. Ora tocca a coach Di Carlo indicare la strada, per far sì che la stagione dello storico ingresso in Europa non diventi un vero e proprio cataclisma.

Alessandro Aita