Perché Buffa, the Human Highlight Storyteller, NON deve abbandonare il basket. E scongiurare il rischio ‘deviazionista’.

 

No, Federico, io non ci sto. E sono certo di non essere il solo. Nel profluvio di commenti, esortazioni, delusioni, incitamenti a perseguire il tuo New Deal.. Non mi ci ritrovo. Rispetto, ovviamente, qualsiasi opinione ‘altra’ dalla mia. Ma non la condivido, affatto e per niente.

Fatti non fummo, noi baskettari romantici, per viver come bruti calciofili, ma per seguire virtute e conoscenza. E palla a spicchi. Ci sta tutto: l’ambizione, i brividi carezzevoli dell’Icona, la contaminazione con un pubblico numericamente molto più ampio, specie in Italia. La legittimità di nuovi obiettivi, di nuove emozioni sportive.

Ma tu, Federico Buffa, NON sei uno qualsiasi. Tu, per ciascuno di noi, sei the Human Highlight Storyteller. Sei come il James Brown  che indica la strada, e mostra la luce, a Jake ed Elwood. Sei l’Instrumentum Regni mandato sulla terra, direttamente dagli Dei del Basket, passando dall’ufficio di Aldo Giordani- per assaporarne la leggenda iconica- un pomeriggio del 1979, backing from Ucla.

Ci stanno, i cedimenti. Ci stanno pure le tentazioni. Il situazionismo, in puro stile Guy Debord, di un figlio degli Anni Sessanta, quelli che hanno cresciuto i giovani di allora- come te- a pane ed utopia. Che hanno pompato, nelle vene di quelli come te, il sangue irrequieto del rivoluzionario. Della generazione che ha subito la più sonora e colossale fregatura esistenziale: v’avevano cullato nell’idea di poter cambiare il mondo, di scendere nelle strade e nelle piazze, a demolire- pasoliniamente-la figura del Padre, a sovvertire il principio dell’Auctoritas. E tu ci sguazzavi, tra l’entrata al Madison di uno zoppicante Willis Reed, un funambolico cinquantello di Chamberlain, la leggenda del Dottore, i prodromi dello scontro tra Magic e Larry, l’ascesa di Stern al trono dorato dell’Nba.. Hai condito la magnificenza del cesto lavorando, con la destrezza di uno Stenmark, all’edificazione di una figura epica. La tua. Tra un Iverson generato da un rapporto non completo tra un gangster e una minorenne (e noi c’abbiamo creduto, ci crederemo sempre); tra gli occhi imbambolati dei profani che ti sentono narrare l’epopea hippy dell’Olanda, nel 1974; tra l’orecchio cadenzato dal tango triste, mentre sullo schermo scorrono le immagini del Pibe de Oro; tra il tuo volontariato da raccoglitore di pop corn a un oscuro festival del cinema Indiano, da qualche parte remota nell’Idaho o nel Montana, fa niente se non abbiamo mai capito se si siano davvero svolti o meno.

Ma non importa. Dopo che Drazen è stato richiamato dagli Dei del Basket, ed il cielo sopra Zagabria è diventato perennemente plumbeo, non possiamo permetterci il tuo ‘divorzio’ dal basket. Non possiamo pensare di rimanere SenzaBuffa, dopo aver sopportato a fatica la nostra condizione di SenzaBrera.

Perché va bene Platini, come neppure lui si sarebbe raccontato. Va bene l’idea di assurgere a illuminato cantastorie itinerante, dagli Usa all’Italia, passando per l’Africa e chissà quale altro posto.

buffa

Va bene tutto, Federico, ma non l’abuso della libertà. Il talento che hai ricevuto in dono, un diamante grezzo diventato negli anni una fonte di ammaliante lucentezza, non tollera sospensioni espressive.

Ci sono mari, ed oceani, e millanta storie da raccontare- che tutta notte canta- nel mondo del basket. C’è Boscia Tanjevic che sconfigge 1, 2, 3 tumori, e sbatte in faccia al suo medico curante l’urlo di battaglia: Boscia più forte, anche della morte. C’è Mirza Delibasic. C’è la Croazia sospesa nel dramma, da raccontare sulla tomba di Drazen. C’è Werther Pedrazzi, che esalta i suoi giovani giocatori irradiando le note del Bolero di Ravel nello spogliatoio. C’è il glorioso hangar, il Pianella, a pochi chilometri da dove abiti. C’è Max Boccio, che irrompe a Forlì su una Bmw (in leasing??), scende a fianco di Mirela Chirisi, sfida Armani e vuole quotarsi in Borsa: un gigante, contro tutti i parrucconi del cestisticamente corretto. C’è Abdul Jeelani, il Kadir, che passa dal buio della strada alla vita grazie alla bontà di un bambino che sgranava gli occhi guardandolo evoluire, e che da imprenditore ha fatto tornare la luce nella sua esistenza. C’è un tatuaggio di Danilovic  tutto da spiegare,  ispirato a una  Legione guerriera, rievocando la notte in cui rischiò di essere ucciso a coltellate da un amico. C’è questo, e molto altro. Certo, c’è anche Fabrizio De Andrè:

E adesso ridi e ti versi un cucchiaio di mimosa/nell’imbuto di un polsino slacciato

Meglio esserci lasciati, che non esserci mai incontrati. Ma non ci basta, Federico. Io non ci sto. Il ‘vero basket’ non ci sta. Have mercy on us, our legendary Human Highlight Storyteller..