Dailybasket incontra Federico Buffa. Niente altro da aggiungere. C’è solo da leggere…

Di Fabrizio Provera, con la collaborazione di Marco Bogoni (special thanks to Virginio Bernardi e Giamma Vacirca) – Foto tratte dal blog basketkitchen.com

 

“Oltre le dolcezze dell’Harry’s Bar e le tenerezze di Zanzibar c’era questra strada…/

Oltre le illusioni di Timbuctù, e le gambe lunghe di Babalù, c’era questa strada…/

Questa strada zitta che vola via, come una farfalla, una nostalgia/

Nostalgia al gusto di Curaçao.. Forse un giorno meglio mi spiegherò…”

Federico a Mauro Bevacqua

Federico e Mauro Bevacqua

MONZA – E allora,  Monsieur Federico Buffa, ça va?… The Human Higlight Storyteller è di fianco a noi, al ristorante A come Alice, pienamente calato nel godimento umano che trae dal calarsi nel mondo assieme alla sua crew. Ci sono i Tranquillo, i Mamoli, i Vacirca, i Bevacqua, il nostro Miky Pettene che scruta, ci sono i Canaglia, c’è Dante Gurioli, ci sono i senatori, da Eleni a Cappellari.

E c’è lui, monsù Virginio Bernardi, che infonde un magico refolo di vento terrone e conviviale nel profondo e uggioso nord di febbraio, nella Brianza più profonda (siamo a Monza), che non è quella caricaturale, bolsa e grigia descritta da Paolo Virzì, ma piuttosto quella decrittata molto meglio da Giovanni Testori, che infatti credeva in Dio- e nell’Uomo- molto più del distratto Virzì.

Federico Buffa è la sublimazione del ‘jazz’, si offre al nostro microfono e alla nostra umana ammirazione, ancora non prostrate dal Timorasso e dal Sangiovese (entrambi ottimi) che abbiamo appena sorseggiato, in moderata quantità (…).

Mara Invernizzi e le tshirts benefiche

Mara Invernizzi e le tshirts benefiche

Federico Buffa è esattamente come uno penserebbe che sia: uno che viene da lontano, in termini di affabilità, cortesia, disponibilità. Epperò, i talenti ricevuti in dono pesano. A qualcuno, come successo ad Arvydas Sabonis, procurano il tarlo che ti rode, ti mangia, ti svuota. Ad altri, come a lui, consentono di esorcizzare e dribblare la noia declinando il suo epos narrativo. Deliziandoci. E ricacciando le tentazioni della  noia attingendo al suo enorme bagaglio di memorabilia cestistiche, aperte in esclusiva per noi di Dailybasket.

Che dire.. “In realtà è solo la musica a darci una spiegazione (una non spiegazione) di quello che accade: è una musica dove si sente quanto Conte (o Buffa, nda) abbia studiato la tecnica ipnotico-musicale di Ravel, il suo crescere a spirale fino ad inghiottire il tempo e il senso… questo è Max e il suo mistero, ma “la facilità non semplifica” e il mistero della vita, della morte, dell’amore “non si spiega”… ed è la musica che si ripete ossessivamente a portarci via, ad ammaliarci in un altrove assoluto, ed infatti cadute in fretta le parole, la musica della canzone potrebbe non finire mai”

Capito?

Buona lettura…

 

Vacirca on the air, al centro

Vacirca on the air, al centro

Federico, grazie di essere qui, anzitutto. Valerio Bianchini, mesi fa, disse testualmente che “il basket deve recuperare la sua capacità di narrazione”.  A noi sei venuto in mente tu… Di primo acchito, cosa ne pensi?

R. Aiutami tu… Cosa pensi volesse dire?

Penso intenda dire che mancano l’epos e il racconto. Che manchi l’uomo, in ultima analisi… Ne parlava (anche) in riferimento a Gianmarco Pozzecco, criticando i suoi  ‘critici’.

R. Argomento piuttosto ampio. E’ indubbio che la pallacanestro ha sempre avuto, in Italia, degli atleti che dagli anni Sessanta in poi avevano caratteristiche particolari. Alcuni erano evocativi. C’è gente di 50 anni che si ricorda benissimo i giocatori degli anni Settanta, mentre se chiedi agli stessi di ricordare qualche giocatore di oggi, succede che ci devono pensare un bel po’.

Quali erano i tuoi, diciamo così, ‘preferiti’?

R. Quando sono cresciuto, il giocatore che mi ha fatto soffrire di più era Pino Brumatti. Le volte in cui giocava contro la mia squadra, che era la Pallacanestro Milano, mi metteva ansia. Puntualmente. Creava punti senza bisogno di niente, era in grado di segnare con una estrema semplicità.

Ci sono altri giocatori che ti hanno segnato, intendiamo prima del tuo esordio sul Superbasket e Aldo Giordani, alla fine degli anni  Settanta?

R. Claudio Malagoli. Mi spiace citare uomini che non ci sono più, ma per l’epoca Malagoli giocava un basket irripetibile, atipico. Penso anche a Domenico Zampolini: in Italia non abbiamo mai più avuto un’ala del genere , capace di aprire il campo così facilmente, con pochissimo bisogno di tempo per tirare. Mi spiace che gli appassionati non possano veder giocare qualcuno come Jim McDaniels (che vestì la cassa di Udine dal 1974 al 1975, nda). Potevi vedere giocatori dalla tecnica individuale impensabile, e che soprattutto molto più personaggi rispetto a oggi.

Quindi Bianchini ha fondamentalmente ragione…

R. Certo. Spiace, parecchio, se non siamo stati in grado di produrre a distanza di tempo giocatori così attraenti.

Virginio Bernardi ci ha detto: ‘Il mio amico Federico Buffa darebbe una grande mano al basket, se raccontasse Nando Gentile, Boscia Tanjevic e tanti altri’. E’ una cosa impossibile, oppure che non escludi di fare?

R. Gentile, la famiglia Gentile.. Che cosa straordinaria. No, penso che i miei anni di pallacanestro siano terminati. L’Nba è il campionato che seguo di più, tra tutti. Ma i miei anni narrativi a qualsiasi livello del basket non ci saranno, pur rimanendo la parte più eccitante della mia vita professionale, specie perché molti di quegli anni li ho passati alla destra di una persona come Flavio Tranquillo. Anzi scusa, alla sinistra..

E allora parliamo dei tuoi anni a fianco di Flavio. Senti,  ma questo Diotallevi – radiocronista pesarese che arrivò assieme a un numero brasiliano di colleghi al Palazz one di Milano, nei primi anni Ottanta, e di cui parli in Altro tiro, altro giro, altro regalo-che tu dirottasti su Flavio Tranquillo, esiste davvero? E tu pensasti davvero  ‘Aqui naceu o fenomeno’, in  riferimento a Flavio?

R. (sorride) Sì, perché se pensi che i brasiliani ai tempi dei Mondiali 1950 avevano già 4 o 5 radio, mentre noi eravamo appena usciti dall’Eiar.. Quel giorno, a Milano, i pesaresi al seguito avevano varie radio, mentre di solito gli ospiti ne avevano solo una. Arrivati alla fine della partita, tutte le radio volevano un’opinione milanese. Allora segnalai a Diotallevi, che esiste veramente, di intervistare Flavio. Quando finì l’intervista, i suoi occhi dicevano ‘ma che meteorite mi è passato, sulla testa’… A quel punto pensai ‘Aqui naceu o fenomeno’, che è la scritta incisa  sui muri di campetto di periferia a Rio De Janeiro, riferita a Ronaldo.

Cos’è che il calcio ha, a livello narrativo, e che la pallacanestro invece non ha?

R. Il calcio ha il vantaggio di essere l’esperanto del mondo, ossia una lingua parlata ovunque. Coniugata diversamente, ma la lingua è la medesima. Questo ti permette di avere un intero secolo di calcio, dal quale tu puoi attingere liberamente.

Monsù Bernardi e il Poz

Monsù Bernardi e il Poz

In questo momento ci troviamo al Pranzo del Basket, organizzato da Virginio Bernardi e Gianmaria Vacirca. Che cosa rappresentano, per te?

R. Virginio Bernardi mi ha insegnato una marea di cose. Gianmaria Vacirca è una delle menti più brillanti che abbia mai conosciuto.

…appunto: può,  il basket italiano di oggi,  fare a meno di gente come Vacirca?

R. Eh.. Gianmaria è un inquieto per natura, difficilmente lo puoi tenere in un luogo per molto tempo.

Perché un ragazzo di 20 anni, oggi, dovrebbe rileggere Aldo Giordani – cosa a nostro avviso determinante – anche se il Jordan è morto da oltre 20 anni?

Tranquillo e il principe Luca Chiabotti

Tranquillo e il principe Luca Chiabotti

R. Perché il miglior telecronista italiano di oggi, Flavio Tranquillo, cita ancora decine di frasi imparate proprio da Giordani. Aldo Giordani ha insegnato a Flavio che il gioco ha bisogno di venire divulgato: i tempi sono cambiati, e Flavio credo sia andato a parlare di basket per centinaia di sere proprio per il piacere fisico di poter essere ancora un divulgatore, anche se calato nella contemporaneità.

Il basket si occuperà sempre di te, Federico.

R. (sorride) E’ veramente una delle principali malattie del pianeta, se contrai quel morbo non esiste antidoto. Puoi cambiare dal punto di vista professionale, ma non da quello umano.

Quindi tu, in realtà, dal basket non te ne sei mai andato…

R. Ci mancherebbe. E mai me ne andrò.