Flavio Tranquillo con il sindaco di Amandola Adolfo Marinangeli e il vicepresidente di Sports Around The World Giovanni Albanesi

Flavio Tranquillo con il sindaco di Amandola Adolfo Marinangeli e il vicepresidente di Sports Around The World Giovanni Albanesi

Due ore volate via in un attimo. Un bel successo per l’incontro promosso da Basketball For Africa con Flavio Tranquillo, che giovedì pomeriggio alle 17 è arrivato in quel di Amandola, piccolo centro nelle Marche ai piedi dei Monti Sibillini, per parlare di basket a 360°. Il giornalista di Sky è arrivato tra i monti mentre stava scendendo verso la Puglia grazie alle ottime referenze della famiglia Gallinari, già presente lo scorso anno al torneo con Federico, fratello minore di Danilo. Cortese e disponibile con tutti, Tranquillo non si è sottratto a qualsiasi genere di domanda, spaziando dalla Nba all’Europa e all’Italia.

Apertura dedicata, per forza di cose, all’Africa. “Mutombo prendeva delle facciate sulle gomitate di Shaquille O’Neal nelle finals contro i Lakers, allucinanti – ha ricordato Tranquillo – ricordo questi duelli in post basso con Shaq a rinculare e Mutombo che non solo cercava di resistere col braccio, ma andava avanti con la faccia. In 5 partite di finale avrà preso, non so, 100 colpi in faccia. E lui ogni volta non faceva una piega. Oltre al dato fisico, c’è un quarto di nobiltà in più a livello personale, di rispetto degli altri nei giocatori africani”.

Dall’Africa agli italiani d’America con le prospettive per Bargnani e Gallinari. “Andrea ha una pessima pessima immagine – ha continuato – di cui in parte è responsabile il modo in cui ha giocato, in parte è responsabile il suo carattere, in parte è responsabile la gestione dell’immagine che ha fatto lui. Ma fermarsi a questo è sbagliato. Come fermarsi al fatto che non sia uno dei primi 20 difensori della Nba. E non è il massimo dell’intensità. Ma se avesse un’altra immagine pubblica magari guarderemmo il fatto che ogni volta che tira fa canestro, anche se non è il mio giocatore preferito. Non sto a parlare a lungo di Gallinari. Vale la pena seguire la sua storia, da dove è partito, nella periferia di Milano, e dove è arrivato, ad essere sicuramente tra i primi 50, forse tra i 30-40 miglior della Lega. Anche lui ha dei difetti, però non è che se non fa 3 All Star Game e 25 punti di media allora è un bluff”.

Di passaggio, anche a San Antonio, dove con l’arrivo di Messina al fianco di Belinelli si rimpolpa la colonia italiana in Texas. “Ho sentito un minuto Ettore che è a San Antonio per alcuni questioni logistiche di scuola del figlio – ha svelato Tranquillo – lui non è uno molto emotivo, ma ho sentito una voce diversa in lui. Così genuinamente felice non l’ho mai sentito. Non saranno i risultati a sancirlo, ma Messina e gli Spurs sono nati per stare assieme”.

David Blatt, neo coach dei Cavs

David Blatt, neo coach dei Cavs

Da Messina a Blatt, dagli Spurs a Lebron James. “Blatt è un uomo fortunato e capace – ha sottolineato la voce della Nba su Sky – non penso ci sia stato un colloquio ufficiale nel quale Lebron avrà detto “va bene Blatt”, ma sarei ingenuo a pensare che l’abbia letto dai giornali. È evidente che James abbia pensato che questo allenatore possa aiutarlo a trovare il suo posto nella storia della Nba. Come andrà? Boh, vediamo la squadra. Se veramente arriva Love, io non sono convintissimo che lui e Irving siano due giocatori necessariamente così in grado di aiutare Lebron. Quindi vinceranno per i prossimi 8 anni [ride]”.

Gentile pare aver chiuso la porta alla Nba, almeno per ora. “Quel che farà Alessandro sta solo nella sua testa – ha continuato – io credo che non ha avuto tante occasioni per capire cos’è la Nba. Un pochino di pregiudizio temo ce l’abbia. Se è davvero così, fa meglio a non andare. Però, se fossi in lui, una telefonatina a Gallinari, a Bargnani, a Datome, a Belinelli la farei… Mi piacerebbe che potesse decidere dopo una conoscenza diretta, dopo aver fatto una Summer League o qualcosa del genere”.

E poi l’Eurolega. “Io la amo, come penso chiunque ami la pallacanestro – ha affermato – le foto del Forum durante le Final Four non sembrano del Forum! I miei figli sono venuti a vedere le partite in piccionaia, quando sono tornati a casa erano 100 volte più eccitati di quando vanno in prima fila a vedere una partita di Milano in campionato. Non è un problema di livello di gioco, ma di cosa si crea attorno al campo. L’idea di “devotion” è davvero quella di qualsiasi tifoso/appassionato. La questione delle grandi e piccole città? Un falso problema. Forse la squadra con più radicamento nella Nfl sono i Green Bay Packers. Green Bay è una città di 64 mila abitanti. Allo stesso tempo, non c’è una squadra a Los Angeles e sta cercando di portarcene un paio. Nel momento in cui il basket, con una rivoluzione copernicana, diventasse un’attività profittevole ci sarebbe un problema a mettere un problema a Napoli, Palermo o Bari? Ovviamente no. Ma fino a quel momento parlare di questo è tempo perso”.

Quindi il problema della competitività degli italiani. “Ovviamente ho molta simpatia nel vedere giocatori italiani in campo – ha ribadito Tranquillo – ma per me il motivo per cui gli italiani non giocano nel nostro campionato è che non ci sono giocatori italiani. Facciamo un esempio. Un Della Fiori a 18 anni valeva, mettiamo, un milione di euro. Se ho un giocatore che vale quella cifra, lo faccio allenare da un allenatore di un certo tipo. Quando il giocatore non andava più bene per la squadra, lo si vendeva e si faceva cassa. Poi però arrivano la sentenza Bosman e la fine del vincolo. E allora è normale che io presidente, che metto già i soldi in perdita, non investo per un giocatore che se diventa forte perdo a zero o quasi. Invece di impegnarsi su queste crociate politico-ideologiche false, facciamo un’analisi seria. Come vengono fuori i giocatori più forti? Come è venuto fuori Gallinari? C’era un signore che gli ha dato un posto per studiare, dormire, allenarsi. Gli metto vicino una squadra non di fenomeni ma di ottimi giocatori (Aradori, Poletti, ecc…). È la competitività che fa aumentare il livello”.

Daniel Hackett (foto Alessia Bruchi 2014)

Daniel Hackett (foto Alessia Bruchi 2014)

Sarebbe servita la wild card alla Nazionale e al movimento in generale? “Non mi piace l’idea di un meccanismo di qualificazione che non è rappresentativo del valore delle squadre – ha evidenziato – vi ricordate le feste per l’oro europeo del 1999 o per l’argento olimpico 2004? Io sono stato incapace di intendere e di volere per 10 giorni. Ma hanno rivoluzionato davvero il basket italiano? Non c’è un valore così diretto tra la Nazionale e il resto del movimento”.

E poi le stoccate sul caso Hackett. “Quando succede una questione del genere ci si preoccupa troppo di dire: ma è cattivo quel tipo lì? – ha tuonato Tranquillo – prima osserviamo i fatti, poi quando li abbiamo andiamo a vedere se il soggetto in questione è meritevole o no di sanzione. In questo caso, mi sembra totalmente pacifico che quello che ha fatto è meritevole di sanzione. E se la miglior strategia difensiva era il riesame, rigettato per inammissibilità, lasciamo perdere. Chiediamoci se ha senso arrivare al punto in cui uno aveva fatto abbondantemente capire che non voleva andare e viene lo stesso convocato. Poi quando arriva gli si dice che si deve allenare e lui butta la roba in aria. Aggiungiamoci qualche status di Facebook e la valanga è fatta”.

In coda le domande più personali, tipo quella sul canestro di Jordan in gara 6 delle Finals del ’98. “E’ stato un momento per lo meno particolare all’interno di una crescita della Nba davvero incredibile – ha ricordato il giornalista – quel momento, per l’immaginario collettivo, è quello nel quale per tutti l’Nba è diventata da importante a qualcosa di più”.

E poi, i suoi giocatori preferiti. “Se parliamo del mio giocatore preferito di quando ero tifoso, sicuramente Mike D’Antoni. Il primo a farmi pensare “mamma mia, che meraviglia” – ha detto – do altre due risposte alternative. La prima è Arvydas Sabonis. Molti l’hanno visto solo dopo l’infortunio e un rapporto troppo ravvicinato con la vodka. Prima di queste due cose, giocando in Lituania, era qualcosa di inimmaginabile. Era 2,20, correva come una guardia, passava meglio di una guardia, tirare l’avete visto… Sfiga, non è andato subito in Nba. L’altra è Joe Dumars. Tra le mille cose, ho fatto il traduttore ai camp di Salsomaggiore. Vengono le star della Nba, quelle autentiche. Io persi completamente la testa. Li portavo in giro e parlavo con loro. Una roba incredibile. Una volta vado a prendere Dumars, stava finendo di fare colazione parlando con Richie Adubato, coach dei Mavericks all’epoca. Origliando, sentii che gli stava dicendo: “Sa coach, credo che il giocatore veramente altruista non si veda in attacco, non è un fatto di passare la palla, ma in difesa. Quando fai un aiuto a un compagno che si è fatto battere. Fu la prima volta che pensai che la pallacanestro non è solo schiacciate e palleggi di D’Antoni. Comunque, se fra 10 minuti mi rifate la domanda probabilmente mi vengono fuori altri due nomi diversi!”

Chiusura con la fatidica domanda: rivedremo Tranquillo e Buffa insieme? “La domanda dovete farla a Federico e a quelli che decidono le coppie – ha smorzato – se devo dire un’impressione, credo sarà difficile rivederla. Anche se ne sarei molto felice. Sorpreso da Buffa al calcio? Posso capire che chi non lo conoscesse ne sia travolto, sorpreso, stupito. Io faccio fatica a stupirmi invece. Lui era così nel 1983, era avanti non 30, ma 60 o 90 anni. Magari qualcuno pensa che abbia il suggeritore, ma non è così”.