SASSARI – Un roster stellare che avrebbe fatto pensare ad una stagione da primo posto in classifica: nella realtà l’avventura di Sassari nel suo quarto anno di serie A è iniziato in maniera un po’ diversa. Attenzione però a non cadere nei clichè del mondo della palla a spicchi: fortunatamente la Dinamo ha un presidente vulcanico ed energico come Stefano Sardara che fin dal precampionato ha tenuto i piedi per terra ed ha insistito perchè tutto il mondo biancoblù lo facesse. Partiti con un’idea di squadra ben diversa dal risultato finale, con l’acquisizione del blocco Green-Thomas-Johnson e l’aggiunta di C.Green al solido gruppo di italiani e del soldatino Drake Diener, le carte sono state cambiate quando è stato annunciato il contratto fino al 2017 di Travis Diener. Il genietto di Fond du Lac, ormai dato per lidi lontani, alla fine ha scelto Sassari ed è stato l’ultima pedina aggiunta alla corte di Meo Sacchetti. Un arrivo (o un ritorno?) che ha scombussolato i piani del team sassarese: una scelta che ha profondamente modificato gli assetti umani e sportivi della squadra così come era stata ideata dallo staff tecnico ad inizio estate. Fin dalle prime uscite è emerso subito che la componente da aggiungere quest’anno sarebbe stata la chimica: feeling tutto da costruire e amalgamare all’interno della squadra, formato inevitabilmente da due macro gruppi. Dopo il girone di andata concluso al sesto posto a quattro punti dalla vetta e la storica qualificazione alle last 32 di EuroCup è palese che la compagine sassarese abbia fatto diversi passi avanti.

La Dinamo ha perso sulla strada Linton Johnson, apparso da subito il gemello affaticato di quel centro dominante del pitturato impresso nella memoria del pubblico del PalaSerradimigni, e riportato in maglia biancoblù Drew Gordon, già protagonista della breve parentesi playoff della scorsa stagione. In uscita invece i giovani Fernandez rientrato in Argentina  e Eisben Reinholt volato in prestito in Spagna a farsi le ossa. Pochissimi minuti per loro sul parquet, a testimonianza della difficile elasticità di Meo Sacchetti nelle rotazioni. Nonostante i visibili miglioramenti in questo senso, consapevole dall’anno scorso del peso che il minutaggio ha nel doppio impegno tra campionato e coppa, Meo non è riuscito a ritagliare spazio per i giovani. La spiegazione l’ha data lui stesso: al numero uno delle priorità c’era il far “girare” la squadra, accendendo quel feeling che può nascere solo sul parquet. Ma la vera spina nel fianco di questo prima parte di stagione è stato l’infortunio di Travis Diener proprio nel momento in cui sembrava aver smaltito le scorie trascinate dall’impegno con la Nazionale: una microlesione al piede che avrebbe imposto un riposo forse più lungo di quello che il biondo del Wisconsin ha sopportato. Chi lo conosce lo sa: per fermare TD12 bisogna abbatterlo. E forse il prolungarsi dell’infortunio ha avuto una importante componente mentale dovuta alla lontananza dal parquet e dalla crescente leadership di Marques Green. Il vero paradosso per i sardi è stato ritrovarsi sguarniti nel reparto play/guardie al momento dell’infortunio di Travis: proprio là dove ad inizio stagione c’era surplus. Da qui la necessità di riportare in maglia biancoblù Massimo Chessa, play sassarese classe ’88, che nel 2009 aveva lasciato la Sardegna per fare decollare la sua carriera in serie A, un anno prima della promozione della Dinamo. Ad unirsi a questo quadro anche qualche prestazione umana (non si può parlare di sottotono) di Drake Diener: orfano del cugino, con il quale la sinergia sul parquet è totale, gli hanno giocato un brutto scherzo difese molto aggressive su di lui, incapace di recitare sul parquet per farsi fischiare i falli e qualche giornata no al tiro,  condizionandone diverse partite. Ultima preoccupazione in casa Dinamo è l’infortunio di Drew Gordon rimediato a Gravelines: nulla di rotto e la volontà di riportarlo sul parquet quanto prima ma ora Sassari si ritrova a dover cercare soluzioni alternative sotto canestro.

La strada di crescita e miglioramento per i sardi è ancora lunga, lo dimostrano i risultati e i diversi punti segnati nel taccuino del coach biancoblù: la necessità di essere più cinici e riuscire a tenere negli ultimi minuti quella cattiveria ed intensità che spesso è mancata finora. Nel taccuino del presidente Sardara invece c’è un punto irremovibile, alfa e omega della sua società: ricordarsi sempre da dove si è partiti. Tenere a mente i sacrifici che sono stati fatti per conquistare la massima serie e quelli che vengono fatti quotidianamente per poterci rimanere a lungo. Testa china e duro lavoro, sono gli unici ingredienti dei quali non può fare a meno: senza manie di protagonismo o smania di grandezza. D’altronde la filosofia di Sacchetti, in barba al cambio di serie e di “peso” nel campionato, non è certo mutata negli anni: una partita per volta, ognuna come se fosse una finale. Win or go home, dentro o fuori. E poi avanti la prossima. A chi si chiede cosa sia stato sbagliato la risposta può essere una sola: i calcoli sui tempi di maturazione di questo gruppo. Ma nulla che non possa essere risolto continuando a lavorare  con un unico intento comune.

La strada degli isolani sembra essere ancora molto, molto lunga…