(Foto Claudio Devizzi Grassi 2014)

Fabrizio Frates (Foto Claudio Devizzi Grassi 2014)

Un anno fa, proprio di questi tempi, Varese era culla di un sogno sportivo che coinvolgeva una citta intera. Si giocavano i quarti dei playoff contro Venezia dopo una stagione regolare inaspettatamente dominata; nel mirino c’era un tricolore che non sarebbe poi arrivato, per la paletta alzata in un’epica semifinale da una compagine di nobiltà acquisita ed in procinto di decadere; nel cuore dei tifosi albergavano emozioni spesso intese come uno “ius soli” cestistico per rango e tradizione , ma che – cruda realtà – non venivano gustate da quasi quindici anni. Dalle stelle alle stalle, verrebbe da scrivere voltandosi a guardare l’annata sportiva appena conclusa, se non fosse che stalle può essere facilmente sostituito con il termine normalità. Quella di chi sbaglia a sparare tutte le cartucce di mercato a disposizione del proprio fucile, potendo oltretutto contare su di un budget provvisto di ben marcati confini.

Cosa non ha funzionato: se le scelte fatte nell’estate 2012 si sono rivelate, alla prova del campo, felici e brillanti, quelle dell’anno successivo sono state sventurate ed ampiamente bocciate dal rettangolo stesso. Da Green a Clark, da Banks a Coleman, da Dunston ad Hassell, da Vitucci a Frates (in rigoroso ordine di orrore), il passo da gambero è da record. Che play e centro, dopo le rispettive folgoranti stagioni, andassero a monetizzare altrove era inevitabile: Green dispensatore di sagacia cestistica in Russia, e Dunston miglior pivot di Eurolega, sono solo la conferma del tocco magico avuto da Vescovi e Giofrè nel sceglierli. Magia non ripetuta nell’inchiostro versato per la firma di Clark, l’origine di tutti i mali tecnici della squadra. L’ex Venezia ha purtroppo rivelato in pieno i limiti fisici, di personalità ma soprattutto di regia che da molti gli venivano ascritti, portandosi dietro una scia di fenomeni tecnicamente sventurati: tutti i compagni prima esaltati dalle doti di Green (Polonara, Ere e Sakota) hanno risentito della concreta incapacità di Clark nel gestire i ritmi dell’attacco e nella povertà delle sue idee nello sviluppo de gioco. Tralasciando l’inconsistenza difensiva, anch’essa riverberatasi su tutta la compagine. Non solo: Hassell – giocatore dagli evidenti limiti atletici, ma più che discreto tecnicamente e con margini di miglioramento – è diventato arma inutilizzabile, pagando col taglio colpe non solo proporzionali al suo rendimento. Clark è stato un tiro micidiale e nient’altro: sulla roccia dei rimpianti non c’è scolpita solo la sua scelta, ma anche la sua tardiva sostituzione. Optare per Aubrey Coleman come compagno di reparto ha addensato la frittata: l’ex Biella ha messo in mostra capacità balistiche inadeguate ad un campionato di vertice, condite anche da forti dubbi sulla sua professionalità, culminati con la transazione di dicembre. Male anche l’avvicendamento Talts-Scekic: il serbo si è rivelato troppo compromesso dall’età e dal degrado atletico post-infortunio, con un fisico non più all’altezza dell’indiscusse capacità da professore dell’area colorata. Da matita blu anche il rendimento di due tra i reduci più fulgidi dell’annata precedente: Sakota, da arma tattica devastante a mediocre comprimario senza guizzi, ed Ere, capitano sovraccaricato da un contratto pesante e da qualche chilo di troppo, non hanno ripetuto le gesta passate. Discorso a parte merita Frates, personaggio caratterialmente difficile da amare, improvvido in talune uscite che gli hanno messo la piazza contro, ma per lunghi tratti parafulmine dell’inadeguatezza della sua squadra. Il suo esonero è stato peraltro sacrosanto ed anch’esso tardivo: con Bizzozi si è potuto quantomeno apprezzare un altro clima.

Adrian Banks (Foto Claudio Devizzi Grassi 2014)

Adrian Banks (Foto Claudio Devizzi Grassi 2014)

Cosa ha funzionato: Banks, Banks ed ancora Banks. Il ritorno del figliol prodigo ha generato gli unici sorrisi: si è ritrovato lui, mediocre nella parentesi israeliana, si è (in parte) ritrovata anche la Cimberio, che ha potuto per lo meno rigodere dell’estetica del suo arresto e tiro, della sua leadership e della sua carica umana. L’Adrian 2.0 è apparso addirittura migliorato rispetto alla prima versione, nelle cifre e nella capacità di farsi carico della squadra in modo intelligente. Di fatto, le vittorie vanno ascritte alla sua mano: non osiamo immaginare come sarebbe potuta finire senza di lui.
Da salvare anche il cammino di Polonara e De Nicolao. I due virgulti in piena rampa di lancio hanno inevitabilmente patito la non linearità di una stagione così tribolata, ma sono in linea di massima sopravvissuti. L’ala di Ancona ha migliorato in punti, percentuale da due, liberi, assist e valutazione, le cifre del 2013. L’assenza di un vero playmaker ha ampiamente limitato le sue scorribande sopra il ferro, costringendolo spesso ad abusare del tiro da fuori: un peccato per un giocatore con mezzi atletici devastanti. Achille è in mezzo ad un bivio: universalmente si reclama una sua transizione da “4” a “3”. In un basket dai ruoli sempre meno definiti, l’ex Teramo deve semplicemente non perdere alcuna delle proprie tipicità, che si tratti di portare lontano da canestro ali forti più statiche o di sfruttare l’altezza contro le ali piccole avversarie. Ingabbiarlo in schemi predefiniti non avrebbe senso. Il play di Padova si è trovato ad essere l’unica forma di vita sul parquet che assomigliasse ad un regista. Un conto, però, è fare il backup di un califfo come Green; un altro è doversi assumere responsabilità più grandi di quelle sopportabili da un ragazzo di 22 anni per evidente inadeguatezza del titolare. Nelle ultime partite gli sono state affidate le chiavi della squadra ed Andrea ha risposto presente pur con inevitabili passaggi a vuoto. Puntare su di lui come titolare per la stagione a venire potrebbe non essere un azzardo spropositato (soprattutto con pochi soldi da spendere) a patto che venga affiancato da una riserva più esperta.

Il futuro: il nome di Pozzecco scalda l’ambiente e promette di riportare quell’entusiasmo che dovrebbe essere endemico per una piazza come Varese. Ma in una scala temporale e di valori, vengono prima altri nodi da affrontare (contando anche che il papabile coach è ancora impegnato nei playoff della sua Orlandina). Vescovi è a fine mandato come presidente e non si ricandiderà: il suo sostituto verrà scelto a giugno. Contemporaneamente c’è da definire il budget a disposizione, da valutare anche alla luce delle decisioni di Renzo Cimberio, vociferato in procinto di ridimensionare il suo impegno economico. Solo sciolti questi due nodi si metterà nero su bianco la firma con il nuovo allenatore e si procederà con il mercato. La “tabula rasa” dei giocatori dovrebbe risparmiare, nelle intenzioni della società, solo Banks, Polonara e De Nicolao. Alla guardia Usa è stato proposto un biennale a cifre che comunque difficilmente competeranno con le potenziali offerte che potrebbero piovere sul suo agente, dopo la brillante stagione: Varese può contare su un’offerta ambientale impagabile e sull’amore dell’atleta, ma ogni previsione è prematura. I due italiani hanno già un contratto in essere per la prossima stagione: entrambi, però, possono far valere una clausola d’uscita a loro favore entro il 30 giugno.