Intervista esclusiva di Dailybasket con Vincenzo Esposito.Passato, presente, futuro, cazzimma, Nando e Ale Gentile, Riccardo Sbezzi, la profezia di Bernardi i rimpianti e i ricordi. Parole di uno ‘vero’. E molto di più..

di Fabrizio B. Provera

 

“Sarà forse il vento che non l’accarezza più, sarà il suo cappello che da un po’ non gli sta su, sarà quella ruga di ridente nostalgia, o la confusione tra la vita e la poesia: non assalta treni perché non ne passan mai; non rapina banche, perché i soldi sono i suoi; vive di tramonti e di calcolati oblii e di commoventi, ripetuti lunghi addii struggenti addii..” (Roberto Vecchioni, ‘Il bandolero stanco’)

Ha deposto l’ascia di guerra e acccantonato, in qualche pertugio del campo legionario, elmo e scudo.

Eppure Vincenzo Esposito, che vedi avvicinarti col sorriso inconfondibile, la tuta nera della Juve Caserta e un fisico neppure minimamente imbolsito, tiene riposto in un angolo degli occhi lo spirito battagliero. Arde ancora, il fuoco del Diablo, ma nascostamente.

Mi sono assunto, com’è mio costume, la causa generale dei disgraziati, disse Catilina. E il Diablo occhieggia, dall’alto di una serenità evidentemente frutto degli anni, del tempo, degli errori, ma soprattutto dell’impeto con cui questo esplosivo ed irripetibile talento, classe 1969, ha attraversato una carriera inequivocabilmente segnata da due elementi: la classe, unica, e la furibonda forza cazzimmara.

Che splendore, per noi romantici e per tutti i non cinici, il suo canto guerriero lanciato ai microfoni della Rai, quanto nel 1991 la Caserta di Nandokan e Marcelletti batte Milano e conquista lo scudetto, il ginocchio del Diablo fa crack ma lui resta in barella a bordo campo, ‘non me ne frega un cazzo del dolore e voglio stare a fianco dei miei compagni’, urla ai microfoni Rai di Franco Lauro. Che splendore l’affronto al palazzo di Pesaro, dove incita un pubblico recalcitrante e-infilata l’ennesima tripla- si prende per mano i pantaloncini, mettendo in pratica un’espressione tanto caro a Spanoulis (‘nei miei coglioni’) e sfidando tutti. Che brividi quando in maglia Fortitudo, società emblematica per i gloriosi ricercatori di epica della sconfitta, buca la retina della Virtus irridendo Sua Maestà Danilovic e gli impotenti difensori della parte più aristocratica e borghese della Dotta.

Enzino Esposito da Caserta nasce due soli anni dopo la morte che coglie Ernesto Guevara de la Serna in Bolivia, mentre il Che- dismessi gli abiti da Ministro- reindossa la mimetica e cerca la morte mentre tenta di importare la sua idea di rivoluzione, ma se l’avesse conosciuto il Che l’avrebbe certamente voluto a fianco, uno come il Diablo. A fargli da attendente, e poi da incursore.

Perché anche i rivoluzionari, se non cadono prima,come disse magistralmente Oscar Eleni, finiscono per alzare le braccia davanti a chi sostituisce il fucile con il cannone, mentre loro continuano a girare fidandosi soltanto della pistola. Loro sono Nandokan Gentile ed Enzino, ovviamente supportati dagli speroni e del cavallo di Riccardo Sbezzi, guai a chi glieli tocca i suoi due fratelli minori, quelli per cui ucciderebbe, quelli che difenderebbe conto chiunque, da chiunque, in qualunque momento.

Enzino Esposito, da Boscia Tanjevic, ha succhiato in giovinezza il midollo della verità cestistica. Enzino, direbbe il nostro venerato maestro Werther Pedrazzi, è un romanzo di rabbia, amore e avventura. Uno che ha sempre guardato i fuochi “che non erano i falò accesi per scacciare i lupi in una vigilia rivoluzionaria, ma soltanto cupi segnali d’improvvisati mercati dove si vendono e si comprano corpi avariati, non certo l’anima delle cose e della gente”.

Enzino Esposito ha sempre sbeffeggiato e irriso le convenzioni: dal palaMaggiò al Madison, da Pesaro al Garden, dove nell’anno Nba- 1995/96- si mise a zittire un tifoso che lo irrideva, mentre lui intanto ne metteva uno dopo l’altro.

Enzino ha sempre vissuto come in uno stato di affollata solitudine. Da zingaro festoso del Sud che conosce i tempi e i modi della baldoria, da giocatore ormai adulto che si carica un bambino di nove anni sul Mercedes e si mette a lanciare petardi ai malcapitati benzinai di Udine (il bimbo si chiamava Alessandro Gentile): forse non ci sono due popoli più diversi come i casertani e gli udinesi.. Ma è così, doveva essere così, perché solo nel coraggio della solitudine si trova la forza per combattere la propria guerra, per gridare al mondo ‘io sono diverso, io sono così, incorreggibile e non inquadrabile’. E non è un caso che, nel suo continuo peregrinare da un lato all’altro del mondo cestistico, tra Italia, Usa e Spagna, Enzino Esposito si sia accasato con reciproco godimento a Imola, terra di anarchici, gente senza limite di velocità e follia, cantanti e adoratori della vita oltre il giorno. Enzino Esposito, adesso, vive una parentesi felice nonostante le contingenze. Chi lo conosce bene, come il suo agente Riccardo Sbezzi, ha visto lontano e individuato nel Diablo le stimmate dell’allenatore. Adesso si presenta sul campo in jeans e camicia bianca, che gradualmente esce dal pantalone. Scarpe da tennis fichissime, durante i time out sfoggia un inglese perfetto e ha il timbro di voce maestoso, spesso e tonitruante. Conosce a menadito le espressioni di gioia e di dolore dei suoi ragazzi in campo, e se Marco Mordente torna in panca dopo minuti nei quali ha fatto schifo, Enzino lo carezza e non proferisce verbo, ma si capisce esattamente cosa pensa (“sei un mio soldato, dammi maglia e pantaloncini che entro in campo e annichilisco a suon di triple e urla guerriere quanti hanno osato sfidare il mio esercito”).

Il Diablo, insomma, ha fatto pace. Almeno in apparenza. Ma alla bisogna, e se il corno dovesse suonare ancora una volta nel fosso della contesa, e gli amici di una vita richiamarlo in battaglia, lui smetterebbe camicia e jeans e si farebbe trovare pronto, tuta e divisa scintillanti. E proferirebbe una sola parola: “Presente”.

Nel frattempo, Enzino Esposito ha cominciato la sua nuova vita di tecnico come il Bandolero di Roberto Vecchioni, che vaga per la Pampa in sella al suo cavallo, alla costante ricerca di tramonti dove potersi struggere ed emozionare. Ancora una volta.

Questo è il suo ritratto, e di seguito il contenuto dell’intervista realizzata un sabato sera, nella hall dell’hotel Canturio di Cantù. Dove il Diablo si è adagiato al modo degli antichi comandanti legionari. 

“Have you got no fuckin homes on your own? For eight undred years we’ve fought you without fear, and we’ll fight you for eight hundred more, So fuck your union jack, we want our country back” (Go on home british soldiers)

 

 Enzo, si soffre di più in panchina o in campo?

Nettamente di più in panchina, per il fatto che non puoi rilasciare lo stress come vorresti. Inoltre di mio ho già una testa complicata da gestire, figurati 10 o 12..

Ogni tanto sembra tu abbia la voglia fisica di entrare in campo..

No, è ovvio che essendo un allenatore fisicamente ‘atipico’, più atletico della media, tendo a seguire l’azione facendomi coinvolgere. Ma non è per contestare o altro.

Quando giocavi in Emilia, anni fa, dicesti che ti sarebbe piaciuto fare il general manager. Perché, invece, la carriera di allenatore?

Anzitutto perché è cambiata molto la pallacanestro. Inoltre fu Riccardo Sbezzi a dirmi che avevo le caratteristiche adatte per diventare un buon allenatore. A diventare Gm siamo sempre in tempo.. Adesso, al di là delle difficoltà, so benissimo che se cominci a fare l’allenatore puoi attraversare momenti bui. Ma si tratta di una cosa bellissima.

Vincenzo Esposito (sportcasertano.it)

Vincenzo Esposito (sportcasertano.it)

Facciamo un passo indietro, diciamo di 30 anni. Qual è il tuo primo ricordo di Boscia Tanjevic?

Quello di una persona molto dura, con le idee ben chiare, col coraggio di prendersi dei rischi. Aveva la capacità, come disse una volta Oscar Schmidt, di convincerti che un divano- dopo aver parlato 15 minuti con lui- era un elefante.. E poi riusciva a scorgere prima degli altri il talento. Della persona, prima che del giocatore.

Spesso si usa la parola ‘prendersi’, parlando del rapporto tra allenatore e giocatore. Tu ti prendesti, con Boscia?

Con Boscia mi dovevo prendere per forza, altrimenti mi prendeva per le orecchie, ero un ragazzino.. Però io lo ascoltavo sempre, a ogni livello, ed ero una spugna. E poter carpire segreti di un mostro sacro era il massimo.

E a 15 anni cosa significava, per te, potersi allenare con una leggenda come Oscar?

Anzitutto Oscar era un esempio straordinario di concentrazione, di voglia d’allenarsi. Lì capii che se vuoi fare canestro, devi allenarti tanto.

Cos’ha di irripetibile quella Caserta degli anni Ottanta?

Tanto. Oggi non esistono più i settori giovanili. Esistono giocatori di talento, che spesso riusciamo a rovinare. Per colpe loro e nostre, intendo società e tecnici. Non c’è più qualità manageriale all’interno delle società, come accadeva a Milano, Cantù, Caserta, Bologna.. Nonostante ci siano molte persone dall’interessante potenzialità.

Chi è stata la prima persona ad accorgersi che Enzo Esposito aveva talento da vendere e cazzimma a quintali?

Virginio Bernardi. Ricordo una sua telefonata a mio padre, avevo 10 o 11 anni, e mio padre chiese a Virginio ‘dai un’occhiata a Enzo’. E lui disse ‘questo è un fenomeno’.

A proposito, cos’è la cazzimma secondo te?

Una cosa che impari passando ore per strada, coi tuoi coetanei, con persone più grandi. Cose oggi molto difficili, impossibili.

Tra le 10 partite più belle del basket europeo di sempre c’è la famosa finale di Coppa Coppe tra Caserta e Real, 1989. Petrovic 62 punti.. Nando una volta ci ha detto che erano certi che Drazen ne avrebbe fatti 30, ma non 62..Tu cosa ricordi?

Quella partita giocai pochi minuti,provammo a marcarlo con giocatori più alti, ma non servì a nulla. Più che di bellezza tecnica, fu una finale dallo spettacolo balistico straordinario nel senso della sfida tra Drazen e Oscar. Qualcosa di irripetibile.

Cosa rappresenta per te Franco Marcelletti?

Tantissimo, per quello che mi dato tecnicamente e caratterialmente.

Tu e lo scudetto del 1991, l’infortunio e l’intervista alla Rai.. Che effetto faceva essere a bordo campo mentre i tuoi compagni vincevano il campionato?

Fu tutto vero, la spontaneità di quell’Esposito è la stessa di oggi, nonostante un grado di maturazione più alto. Il dolore non era fisico, dipendeva dal non poter essere parte di un sogno che rincorrevo da bambino.

Ma l’hai sempre sentito anche tuo, quello scudetto..

Certo: avevo dedicato 12 anni della mia vita a quel sogno. La cicatrice resta, non sul ginocchio ma nell’anima.

In quella squadra giocava Charles Shackleford, uno dei talenti più immensi mai visti in Italia..

Credo che il capolavoro di Shack cominciò fuori dal campo, col capolavoro di Giancarlo Sarti e Marcelletti. Era un personaggio non facile e a rischio, l’impresa fu gestirlo e farlo integrare, e il fatto che io, Gentile e Dell’Agnello lo facemmo sentire parte di una famiglia.

L’hai rivisto, dopo il 1991?

Vedo spesso Tellis Frank (il secondo americano di Caserta dello scudetto 1991, ndr), e finalmente sembra essere maturato.. Pare che alla soglia dei 50 anni sia maturato pure Shack. Pare una barzelletta, ma è così. C’è speranza per tutti..

Nando una volta mi disse che in un ritiro in Valtellina, Shack una sera scese nella hall dell’albergo con catene d’oro e abiti improbabili, pronto ad andare in discoteca. Ma non c’erano discoteche..

Nei libri miei e di Nando di cose simili ce ne sono a bizzeffe. Certo che se pensiamo alla Valtellina prima di mezzanotte, è chiaro che le discoteche non abbondassero..

Quand’è che hai visto giocare per la prima volta Alessandro e Stefano Gentile?

Li vidi sin da piccoli. In Stefano cazzimma e talento s’intravidero da subito, in Alessandro meno. Dopo i 15 anni ha avuto questa esplosione fisica e di determinazione, in 6-7 anni ci ritroviamo un giocatore assolutamente straordinario.

Cos’è che rende Alessandro simile a Nando e cosa lo rende differente?

Com’è scritto nel suo recente libro (‘Gentile secondo Ale’), Alessandro è una miscela esplosiva ed unica. Il Dna è quello dei Gentile: vincente, sfrontato, col desiderio di arrivare a tutti i costi. E poi quella follia mista a talento, e di cazzimma, tipico dei prodotti di Caserta.

Nel libro si racconta di quando nel 2001, tu 32 anni e lui 9, andavate in giro per Udine a tirare petardi ai benzinai.. Ma non è che s’incazzavano, questi poveri benzinai?

Sì, tenendo presente che erano di Udine poi, figurati.. Anche lì si dimostrano la mia buona follia e il fatto che Alessandro si legò a un personaggio come me, un po’ naif, anziché andare all’epoca da ragazzi come Mian,

Riccardo Sbezzi dice sempre ‘ci sono i giocatori falsi e quelli veri’, come te e come i Gentile. Ma quanto costa essere ‘veri’?

Più che giocatori siamo persone vere, noi e Riccardo. Siamo cresciuti con determinati valori ed un’educazione molto solidi, indipendentemente dalla vena di follia. Ci sono basi concrete che ti portano a crescere con educazione e rispetto. Ed è questa la grossa forza che abbiamo.

E’ il momento giusto perché Alessandro spicchi il volo verso l’Nba?

Assolutamente sì, l’avrei fatto anche l’anno scorso. Una stagione in più da noi tuttavia gli ha fatto bene, potrà arrivarci con una maggiore esperienza.

Le sue doti fisiche e tecniche sono adeguate, a tuo parere? Anche pensando alla tua esperienza del 1995..

Sono momenti non paragonabili. Le qualità sono interessanti, bisognerà vedere dove e come verrà utilizzato, quale squadra sceglierà, chi lo allenerà.. Però le doti ci sono eccome, inoltre l’età lo aiuta perché ancora in grado di modellarsi e crescere. In Nba conta molto anche la fortuna.

Vincenzo Esposito_(Foto R.Caruso 2015)

Vincenzo Esposito_(Foto R.Caruso 2015)

Senti, ma oggi come oggi- ad uno contro uno- vincerebbe Nando Gentile oppure Enzo Esposito?

Sono nettamente più forte io (e ride, ndr..), l’anno scorso quasi ‘ventellavo’ ancora in Lega Gold, lui non gioca da tempo.

Ma pensi che lui ti farebbe vincere??

Assolutamente no! Dovrei giocare sul perimetro, se m’avvicino a canestro mi tira una randellata, questo è sicuro.. Però sono ancora più fresco io..

Sasha Danilovic, spietato e vincente.. Lo senti vicino?

E’ un amico ed un vincente, premessa necessaria. Un vincente nella testa, prima che tecnicamente. Ho visto molti talenti come il suo, persino qualcuno superiore, ma nessuno vincente come lui. Djordjevic, ai tempi della Fortitudo, mi disse una volta ‘sei il primo italiano con la sua voglia e la sua vena di follia’.

E invece chi ricordi come un grande talento ma non compiutamente espresso?

Tanti giocatori. Molti talenti che vidi sono rimasti nell’anonimato, o quasi. Di primo acchito penso ad Arijan Komazec (croato, classe 1970, giocò a Varese e Bologna, ndr), che fu un ottimo giocatore ma che non arrivò ai livelli di Sasha, Djordjevic, Bodiroga..E ne aveva tutte le possibilità. Sono molti i fattori che subentrano, in quei casi.

Il tuo è un palmares straordinario. Ma qualche rimpianto rimane?

A livello individuale ho raccolto tantissimo, a livello di squadra meno e lo so, altrimenti sarei forse diventato tra i più grandi in Europa. Forse avrei barattato qualche titolo di capocannoniere o Mvp con qualche successo di squadra. Ma la persona Esposito non si può cambiare, va ricordato per quello che è stato.

C’è qualche giocatore di oggi nel quale ti rivedi?

No, e l’ho già detto. Non c’è un Esposito e probabilmente se ci fosse gli si tarperebbero le ali. Oggi vengono prima molte cose rispetto al lancio di un giocatore fuori dalle righe. Quindi un Esposito del XXI secolo ancora non lo vedo.

Come ti vedi a 50 anni?

Su una panchina, spero di buon livello, come un allenatore migliorato e cresciuto.

Sei sempre stato uno ‘in guerra’, come si dice. Adesso sembri più un operatore di pace.. Come la vivi, questa nuova fase? Fa parte della vita di ciascuno, cambiare così tanto?

Credo di essere stato fortunato quando Riccardo Sbezzi mi ha consigliato di avviare gradualmente la carriera di allenatore. Direi che ci stiamo arrivando, e dico grazie a Riccardo per aver vegliato sulla mia nuova carriera.

Da grande cosa farai?

L’allenatore di pallacanestro sicuramente. Ma la cosa più importante, per me, è essere un buon padre ed una persona serena. E al momento lo sono.

 

Eh sì, il Diablo ha fatto proprio pace.

Epperò..

“Dorme sul cavallo che non lo sopporta più,
e si è fatto un mazzo per la pampa su e giù/
Ogni notte passa
e getta un fiore a qualche porta/
rosso come il sangue
del suo cuore di una volta/
poi galoppa via fino all’inganno dell’aurora,
dove qualche gaucho/
giura di sentirlo ancora,
cantare ancora…”