Vladimir Micov (foto Stefano Gandini 2018)

La march madness della NCAA è alle porte e ce la godremo sul divano con birra e patatine, forse troppo poco per farci dimenticare gli scandali del sottobosco universitario americano – tra mazzette ed intrighi – ma, sufficienti, a inebriarci di  un clima irripetibile: per noi baskettari, marzo è pazzo non per il clima ma per la madness.
Senza andare a ficcare il naso negli affari collegiali (la puzza di marcio sarebbe troppa), ci concentriamo sulla benedetta follia della nostra serie A che, lentamente, va, però. scemando.
Sembra delinearsi una griglia di partenza playoff, salvo clamorosi ribaltoni sul rettilineo finale.
Milano e Venezia hanno alzato il volume della radio ed appaiono le più complete e accreditate a contendersi la prima piazza al termine della regular season, con il finale piccante dello scontro diretto al Taliercio che già fa venire l’acquolina in bocca, soprattutto, pensando al sacco del Forum dell’andata.
Sull’Olimpia, sapete, sono sempre in difficoltà: è uno lotta intestina con me stesso, è la volta buona? Si è ripresa? Ha svoltato? Si è compattata? E’ diventata squadra?
Mio Dio, fermatemi. Domande come se piovesse, roba che nemmeno Marzullo. Ma, forse, la sbrodolata di quesiti descrive al meglio il mio travaglio interiore nel formulare giudizi, o quantomeno commenti, sull’EA7.
Vado, allora, con i piedi di stra-piombo.
In criminologia si dice che due indizi fanno una prova, qui, addirittura, ne avremmo in mano 4: rullata a Sassari, duplice acuto in Europa (contro i resti dell’Efes al Forum e, quello ben più indicativo, di Mosca contro il Khimki, taciamo per indulgenza della partita con il Real, fuori portata) e vittoria molto poco spettacolare ma solida nelle Force Caudine bolognesi.
Quella di domenica è stata un’affermazione prestigiosa per l’avversario, la storica rivale Virtus, e per il modo in cui è venuta.
La squadra di Pianigiani ha regalato meno bollicine in attacco ma si è fatta il mazzo in difesa e, così, l’ha portata a casa, amministrando un finale potenzialmente problematico, dopo un primo tempo anche troppo sorprendentemente agevole.
Il temuto ex (e chissà futro ri-sposo in seconde, si spera meno turbolente, nozze) Gentile è stato rabbonito, acciaccato ricordiamolo, a 8 punti con un misero 3/10 dal campo. Il suo socio Aradori ha fatto poco di più, anch’egli reduce da uno stop, la speranza è che la Virtus si consolidi su alti livelli per agganciare il treno playoff con la prospettiva, più che concreta, di riaffacciarsi all’Europa il prossimo anno, vista la wild card per la Champions sempre più vicina. (Ah, a proposito di coppe, dopo la nuova proposta di calendario elaborata da EuroLeague, cestinata di getto dalla FIBA, è arrivata la prova di forza della federazione con la conferma delle finestre per le nazionali anche nel prossimo anno).
Tutti segnali di una difesa finalmente incisiva e produttiva ai fini del risultato. E, si sa, se serri i ranghi non hai bisogno di segnare l’inverosimile in attacco e puoi permetterti un Goudelock abulico e un tabellino molto più omogeneo.
Ma, a questo punto, lancio una provocazione… E’ un caso che tutto ciò accada senza Theodore? Ai posteri l’ardua sentenza ma il mio è più un candido dubbio che una consapevole malignità.
Non c’è, però, da abbassare la guardia. Venezia spinge forte, anzi fortissimo.
Prestigiosa la vittoria della Reyer sul parquet di Torino, arrivata senza strafare e controllando con autorevolezza sin dalla palla a due.
In attesa di Sosa, De Raffaele si gode il Jenkins, forse, più convincente della stagione e un Daye sempre più inserito negli schemi.
C’è curiosità per capire come verrà amalgamata la squadra con il turbo dell’ex play di Caserta, potenzialmente devastante nel rompere gli equilibri nei playoff.
La panchina è profondissima e ben assortita, la second unit affidabile, le gerarchie delineate, il talento tanto. Insomma ci sono le carte per ripetersi, anche se sbilanciarsi in voli pindarici può essere molto pericoloso.
Intanto la Reyer si candida al ruolo di favorita anche per la Europe Cup, dove potrà permettersi di gestire le rotazioni senza contraccolpi.
Sperando che, finalmente, le nostre facciano la voce grossa anche nelle competizioni continentali.
Chi dall’euforia europea era ripartita, ad inizio anno, era Capo d’Orlando.
Ecco, adesso, di quella magia non è rimasto niente. L’Orlandina si trova nel bel mezzo di un incubo, dal quale non accenna a risvegliarsi.
Nel nostro primo appuntamento vi avevo messo in guardia con il profano paragone calcistico con la Sampdoria di Cavasin: dalla Champions alla B in 12 mesi.

Eric Maynor (Foto Stefano Gandini 2017)

Non l’auguriamo di certo alla Betaland, ma ho il dovere di sottolineare come le prime crepe si intravedevano da mesi: prendere scoppole in serie con scarti siderali in giro per l’Italia e l’Europa non ci sembrava, di certo, un buon presagio.
La composizione della squadra era palesemente inadeguata e, forse, il trionfo sull’Avtodor nel preliminare di Champions ha fuorviato pubblico e dirigenza sul valore del gruppo.
Cambiamenti sono stati apportati affidandosi alla leadership di Maynor che, però, ha deluso e, addirittura, pare destinato già ad altri lidi.
Delas ha fatto armi e bagagli, sostituito da un vecchio combattente come Likhodei, è stato inserito un grintoso come Campani, il più positivo dei nuovi, ma il trend non è cambiato.
Adesso, dunque, la A2 è uno scenario tristemente concreto, soprattutto, dopo il capitombolo nello scontro diretto contro Pesaro di domenica scorsa dove, per lo meno, è stato salvaguardato lo scontro diretto. In tempi di vacche magre è già tanto, giusto per non sentirsi troppo soli sul fondo della classifica.
Auguriamo ad un comandante giovane come Di Carlo di trovare la rotta giusta in questo tornado. Non sarà facile.
Ma se Atene piange, Sparta non ride.
Il sud non vive tempi piacevoli ai piani alti del nostro basket purtroppo.
Chi in A2 ci sono già, la Virtus Roma, autoretrocessasi 3 anni fa, e Napoli, ritornata quest’anno, occupano, rispettivamente, il penultimo e l’ultimo posto in classifica.

Piero Bucchi (2018 © Foto Alessio Brandolini)

Come sono lontani i tempi delle finali scudetto e della gara di Forlì che, nel 2006, metteva in palio la Coppa Italia, poi sollevata dalla Carpisa di Greer. In panchina c’era quel Piero Bucchi chiamato, dal suo vecchio pretoriano Valerio Spinelli, adesso ds dei capitolini, al capezzale della Virtus, già al terzo coach stagionale, e il suo vice d’allora, Bartocci, poco o nulla sta potendo con il Cuore. Come è strana e crudele la vita (sportiva, s’intende).
Roma annaspa nei bassifondi sin da inizio anno, i ribaltoni, per ora, non danno frutti e in società il clima (oramai da anni) non è dei migliori.
Lo sfratto dal centro d’allenamento, il disimpegno conclamato di Toti e le voci di una vendita imminente ad una società di servizi finanziari (la Be), non favoriscono certo un clima sereno, indispensabile vista la classifica.
Adesso si guarda anche al mercato, con Thomas finito sul banco degli imputati.
Se possibili, nonostante la miseria di 3 vittorie raccolte, c’è un pizzico – ma giusto un pizzico – di riguardo in più per Napoli.
L’inadeguatezza del roster allestito con tanti sforzi dal presidente Ruggiero era chiara anche ai sassi. Eppure la dirigenza ci ha provato a correggere il tiro ma, semplicemente, sta pagando lo scotto del noviziato a questi livelli.
Si gioca, come minimo, in 7 (5 più almeno 2 dalla panca) e il povero Turner non può fare le pentole e i coperchi. Sono stati bucati tutti gli stranieri, ad eccezione dell’ex Siena. Nell’ordine: Vujcic, l’egoista Carter, Basabe (con tanto di beghe contrattuali) e anche Thomas pare poca cosa.
Va dato, comunque, merito a Bartocci&co di avere orgoglio e dignità anche nelle innumerevoli sconfitte, come testimonia il k.o., solo al supplementare, contro la capolista Casale.
Peccato, la Napoli cestistica si sarebbe meritata una più duratura permanenza nel secondo campionato per poi, chissà, assestarsi e tornare, nel giro di un paio di stagioni, sul massimo palcoscenico.
Eppure la retrocessione che si profila, salvo miracoli, era quasi attesa. O meglio, non si poteva pretendere di fare chissà cosa senza tanti mezzi e con un inesperto scheletro societario.
Adesso l’augurio è che il tremendo binomio retrocessione-sparizione (più che noto da quelle parti) venga risparmiato ai tantissimi innamorati di pallacanestro napoletani che, da troppo, attendono tempi migliori.

 

Jacopo Romeo


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