Antonello Riva, alias “Nembo Kid”, è stato un giocatore eccezionale: solido, sicuro di sé e un gran tiratore. La Coppa Intercontinentale del 1982 e l’oro di Nantes del 1983 lo hanno consacrato come uno dei più grandi giocatori italiani di tutti i tempi, e i suoi 14.397 punti in serie A sono un record tutt’ora imbattuto.

  • Antonello Riva (Foto Alessio Brandolini 2013)

    Antonello Riva (Foto Alessio Brandolini 2013)

    Com’è nato l’amore per la pallacanestro?

È nato per caso. In quinta elementare c’erano i giochi della gioventù e si dovevano scegliere tre sport, dato che ero il più alto feci anche basket e da lì, con altri coetanei, si passavano le giornate intere al campetto dell’oratorio.

  • A 16 anni in serie A, che emozioni ricorda quando il coach la chiamò?

Un emozione particolare, pazzesca perché non ero abituato agli spettatori, mi sentivo osservato e quando il coach mi chiamò per giocare ero frastornato; in effetti giocai pochi minuti e non sapevo quello che stavo facendo, mi dicono che addirittura avevo preso la palla lontanissimo e avevo anche tirato, un disastro.

  • Dall’oratorio a 14.397 punti, quanti sacrifici?

In realtà, non ho mai considerato l’obiettivo che mi ero prefissato come un sacrificio. All’epoca frequentavo un college a Cantù e mentre i miei compagni festeggiavano le vacanze in montagna, io avevo gli allenamenti ogni giorno più la partita e, nonostante tutto, era un piacere sapere che avrei affrontato una gara e contento di dover giocare. Se hai un obiettivo forte, il sacrificio diventa veramente un piacere; non ne senti il peso ma solo la voglia di arrivare sempre più in alto. Lo sport è crudelissimo perché non ci sono scorciatoie e nessuno ti regala niente, se entri in campo e non dai il tuo allora giocherai un minuto e il coach ti toglierà subito; è un esame continuo, se tu non hai lavorato bene durante la settimana, in partita si scopre tutto ed è per questo che devi continuare a lavorare.

  • La più bella vittoria di sempre?

Negli anni ‘70 Cantù aveva vinto tutte le coppe tranne la Coppa dei Campioni e, nell’82, quando vincemmo contro il Maccabi Tel Aviv fu l’apoteosi della felicità perché avevamo iniziato l’anno con il raggiungere quell’obiettivo. Entrammo in quel palazzo in Germania, a Colonia, contro il Maccabi e per loro il basket è una religione non è la squadra di una città ma la squadra-nazione, il palazzo era tutto giallo e quando siamo scesi in campo pensammo che non ce n’era per nessuno e che avremmo perso, invece fu una vittoria sentita e che abbiamo vissuto per tutto l’arco dell’anno.

  • Los Angeles 1984, Italia quinta e Riva inserito nel miglior quintetto assieme a Michael Jordan…

Fu bellissimo. Quando vai alle Olimpiadi ti trovi ad abitare in questi villaggi assieme agli atleti delle altre discipline e vivi delle emozioni indescrivibili. Quello fu un campionato tosto, io giocai veramente bene e quel riconoscimento fu gratificante per la mia carriera e globalmente fu un’esperienza indescrivibile e Jordan un mito.

  • Dopo la sua incredibile prestazione alle Olimpiadi venne chiamato in Nba dai Golden State Warriors…

Sì, ma purtroppo nel febbraio dell’85 ebbi un infortunio al ginocchio e l’estate successiva non tornai a posto fisicamente. Nonostante ciò, l’anno dopo ebbi ancora una proposta ma era difficoltoso accettare perché noi eravamo dilettanti e se tu andavi tra i professionisti non potevi più giocare in nazionale (e in quegli anni solo i dilettanti entravano in nazionale). Se fossi andato in America e poi ritornato in Italia, sarei stato considerato un giocatore straniero.

  • A 20 anni la prima Nazionale, un onore più grande rispetto ad oggi?

Probabilmente. In quegli anni indossare la maglia azzurra era una cosa particolarissima: quando entravi in serie A, l’obiettivo successivo era andare in nazionale a rappresentare la tua nazione e giocare contro i migliori.

  • Cosa ne pensa della situazione “stranieri” nel basket italiano?

Fino al ’91, gli stranieri per squadra erano due. In Russia, in ogni momento, due giocatori russi devono stare in campo. La situazione in Italia è abbastanza difficile e particolare, ma finché non si prenderà una decisione drastica, andrà sempre peggio.

  • E la situazione giovani? L’errore parte dalle alte dirigenze o dal basso, cioè il minibasket e la poca fiducia che gli si dà?

Prima di tutto i costi: organizzare un settore giovanile costa molto di più che prendere qualche straniero da fuori. È questo il problema principale: non si lavora più sui giovani e neanche le squadre più organizzate lo fanno. Mi ricordo che, da quattordicenne, passavo le estati con il preparatore e l’allenatore ad allenarmi, adesso a giugno quando finiscono i campionati nessun giovane resta in palestra: finiti i campionati finisce tutto, per poi riprendere a settembre.

  • Riva premia Manuel Carrizo alle finali LNP (Foto: C. Devizzi Grassi)

    Riva premia Manuel Carrizo alle finali LNP (Foto: C. Devizzi Grassi)

    Che tipo di pallacanestro si gioca oggi rispetto a prima? Anche per l’Italia è diventata più importante la spettacolarità e l’invenzione del canestro piuttosto che l’intelligenza cestistica?

La regola dei 24 secondi ha velocizzato e reso più spettacolare il gioco, ma ha impoverito il resto. La maggior parte delle squadre gioca il pick’n’roll e poi aspetta di vedere cosa accade. Prima ci si basava sugli schemi, adesso si gioca di più sul talento del singolo.

  • A parte la dirigenza, ci sarà mai un futuro da coach Riva magari nelle giovanili?

Negli ultimi anni non mi piaceva più quello che stavo facendo, perché proprio negli ultimi tre anni spendevo la mia immagine per tener buona una situazione dove il budget predisposto all’inizio dell’anno non veniva rispettato, ma soprattutto con la prospettiva di non vedere un miglioramento. Parlando con colleghi e amici, ho scoperto che la situazione, da quando sono via, è peggiorata. È sparita Veroli, Forlì ecc. la situazione è diventata difficile non solo per i soldi e gli stipendi, ma soprattutto per la qualità del lavoro. Non c’è più una garanzia e non puoi stimolare un ragazzo ai playoff nonostante siano 4 mesi che non prende lo stipendio.

  • Il giocatore che ammirava di più? e un giocatore che ammira oggi?

Quando ho iniziato, Marzorati e Meneghin erano i due emblemi del nostro movimento, inoltre Marzorati era a Cantù ed averlo seguito ed imitato mi ha aiutato moltissimo. Sono due persone molto diverse tra loro ma entrambi avevano una serietà di comportamento che difficile da vedere. Anche adesso abbiamo validi giocatori, i quattro dell’NBA e tanti buoni atleti tra cui Gentile, Hackett e Cinciarini. Spero che si riesca a recuperare le posizioni perse perché l’Italia, al momento, è al 36° posto del ranking Fiba ed è scesa di 15 posizioni.

  • Come vede la Nazionale Italiana agli Europei?

Se ci saranno tutti e quattro i giocatori NBA potremo sperare in qualcosa di buono anche se, a livello tecnico, non è facile trovare i giusti equilibri con ruoli precisi, siamo atipici ma esserlo ci può aiutare perché gli avversari dovrebbero creare proprio un gioco su di noi. Un problema è che ci manca un po’ di peso sotto canestro, ma speriamo bene.

  • Metta World Peace a Cantù…

Avevo delle perplessità all’inizio, ma mi rendo conto che è stata una mossa mediatica geniale che ha portato tanto pubblico, però sappiamo tutti che inserire un giocatore a così poco dalla fine può portare svantaggi al livello tecnico. Il giocatore in sé non si discute, inserirlo adesso non è positivo ma a livello mediatico è stata una gran mossa.

Caterina Caparello