“Torneranno tutti strisciando ai tuoi piedi. Lodate il Signore con un nuovo inno, giacché Egli ha fatto cose meravigliose. Salmo 98.

Tu mi hai mentito, e forse io sono l’unico che se le è bevute tutte!

Lo so che ora stai male, ma col tempo capirai cosa hai costruito. Ma non capisci proprio? Il successo del gruppo non era importante. Tu hai alzato il livello delle loro aspettative, gli hai allargato gli orizzonti. Certo, avremmo potuto incidere dischi e vendere milioni di copie. Così, invece, è poesia”

The Commitments, di Alan Parker – 1991

 

CUSAGO (Milano, Italia) – “Proveremo sicuramente la tartare di ombrina con la mozzarella di bufala. Molto interessante. Intrigante”. Nei calici scorre il Metodo Classico della famiglia Coppo, barberisti di vaglia, che col tipico vezzo piemontese vogliono dimostrare al mondo che come le trattano loro, le uve da Pinot Nero destinate alla spumantizzazione…

Trinchieri 2 B&W

E’ attivamente sereno il Poeta Guerriero, al secolo Andrea Trinchieri, seduto tra i tavoli di Brindo, l’elegante bistrot di Flavio Bordin, che assieme ai fratelli e alla famiglia dispensa gioie  per il palato da quasi 30 anni,  alle porte di Milano e a un tiro di schioppo dalla Tangenziale Ovest, prima con lo stellato Orlando ed ora con questo ricercato, piccolo antro di delizie. C’incontriamo per la consueta, ormai immancabile intervista annuale. Un divertente ‘must’, ormai. Un esercizio di stile, ideato per mischiare quello che piace maggiormente ai trinchieriani di rito antico e accettato come noi: un’effervescente mixology che condensa cibo, vino, politica estera, ethos, sprezzante sfida al conformismo del cestisticamente corretto. E basket, ovviamente. Ma ‘his own way’. E’ questo che ci piace, del Poeta Guerriero che a Bamberg, avvolto da foreste incantate, fabbriche di birra e tycoon visionari, sta ritrovando la pace. Ha smesso, o sta smettendo, di essere a disagio con la propria intelligenza, come c’insegnò una notte di febbraio coach Stefano Michelini, nel mezzo dei Navigli, Gin Tonic nella mano, gli occhi fissi su natiche femminili che solo le ragazze milanesi sanno portare cotanto aggraziate, castigate in cappotti leggeri che fanno intravedere le proprie beltà. Ammettendo i propri errori ed eccessi, e quasi irridendoli, ha smussato angoli e incanalato energie, sputando le tossine dell’agonismo spinto ad eccessi nocivi. Ha codificato ‘un’idea diversa del basket’, e di vivere il basket al più alto dei livelli (o quasi).

Uno sforzo tutt’altro che da poco, per un uomo cui la vita ha dato tanto: talento, intelligenza particolarmente spiccata, possibilità, curiosità intellettuale. Ed alla fine è cresciuto, il ragazzo classe 1968 figlio d’un diplomatico laureato ad Harvard; il ragazzo che rifiutò Harvard per finire a 30 anni, mentre i suoi coetanei usciti dalla fucina delle èlite nel Massacchusetts già svernavano in qualche sede diplomatica (quello che avrebbe fatto lui, con ogni probabilità), a sgolarsi sui campi della Promozione, tra Marcallo con Casone, Boffalora sopra Ticino, Magenta e Bresso. Alla stessa età  gli allenatori delle maggiorenti d’Eurolega erano già al caldo di panche prestigiose. Obradovic comincia a 31 anni, Messina ne ha poco più di 30 quando incrocia nella Dotta un ‘Dio serbo e tatuato’, Sergio Scariolo batte l’Olimpia in finale scudetto a 29 anni. Trinchieri no: Trinchieri ha introiettato l’idea stessa di gavetta spingendola sino agli estremi. San Pio X (ve l’immaginate cos’avranno pensato i suoi? Potevi essere ad Harvard, invece alleni il San Pio X…), Toni Cappellari che vede lontano e lo porta a Milano, lui che ci rimane anni, salvo poi andarsene e ripartire dalle province più remote dell’Impero.

Coach Mattia Ferrari

Coach Mattia Ferrari

Poi venne la fulminea visione di Secondo Triboldi, la saga cremonese, la corrispondenza d’amorosi sensi con Cantù, Anna Cremascoli e Brunito Arrigoni. Kazan, la finale d’Eurocup, l’Europeo da head coach con la Grecia e infine Bamberg, contro ogni previsione forse. Andrea Trinchieri e quello che un suo ‘allievo’, Mattia Ferrari da Legnano, ha lucidamente decrittato come “un basket che può piacere o meno, ma che è perfettamente riconoscibile. Le squadre di Trinchieri sono riconoscibili, hanno un’identità”. Due anni, due titoli da Deutscher Meister, conditi da un’Eurolega da sogno e l’irrisione di alcune delle più grandi superpotenze continentali del cesto. Perché Trinchieri non vince e basta, Trinchieri fa poesia (guerriera): tre playmaker in campo contro il Barca in un match torrido d’Eurolega, negli ultimi 90 secondi, come profetizzato al caldo d’un cratere a Cremona, nell’agosto 2015, col Metodo Classico di Alessandro Ferrari e Michele Gerevini a far da propellente. E adesso? “Chissà, magari giocherò con 5 playmaker…”. E domani? Domani il più effervescente e mentalmente inquieto, situazionista coach europeo, assistito magistralmente dall’Henry Kissinger che sussurra alle panchine, il suo agente don Virginio Bernardi, spezzerà l’ultima e vacillante barriera che lo separa dai traguardi più alti. Dove non sappiamo, ma come ne siamo certi: scartando di lato, dispensando pillole di saggezza dialettica alle quali c’eravamo (dis)abituati dopo la Summa del Vate Valerio Bianchini. Perché provate a pensarci: le contese dialettiche leggendarie tra Milano e Roma degli anni Ottanta hanno una trasposizione temporale diretta (e all’altezza) nell’epica disfida (dialettica) di Trinchieri e Cantù contro Sassari, playoff 2013, l’ultimo ballo (e l’ultimo capolavoro) del Poeta Guerriero a Cantucky: “Sassari dovrebbe ricordarsi che la Pallacanestro Cantù esiste dal 1936, ed ha vinto anche due Coppe dei Campioni, che tengo sulla mia scrivania e saltuariamente uso come portapenne”.

Valerio Bianchini

Valerio Bianchini

E ora, da ultimo forse, Andrea Trinchieri è in piena e matura corsa persino oltre quello che sarebbe legittimo attendersi. Oltre Oceano. A infiammare il più luccicante e meravigliosamente artefatto dei mondi sportivi, con iniezioni da cavallo di poesia guerriera. Perché noi trinchieriani lo sappiamo bene. Il successo del gruppo  non era importante. L’importante è sempre stato (e sarà sempre) allargare gli orizzonti. E adesso, cinture allacciate e schienale reclinato, se volete. Prendetevela comoda. Versatevi qualcosa di buono, nel bicchiere. E se siete astemi, finitela pure qui.

Come hai passato l’estate, coach?

E’ stato un periodo rigenerante e riposante, con viaggi di basket in Turchia e Argentina, invitato dalle federazioni locali a tenere dei clinic. Tranquilla, insomma… Per quello che il mio carattere mi permette.

Non ami la tranquillità.

Non saprei come gestirla.

E quale clinic, da uditore, ricordi con maggiore piacere?

Tutti quelli con Ettore (Messina, nda), ne avrò visti 7 o 8, persino uno a Las Vegas nel 2015.

Ettore Messina, 55 anni, ai tempi del CSKA (Usa Today Sports)

Ettore Messina

Cos’ha Messina che altri non hanno?

Dice la verità, che è sempre rivoluzionaria. Non ti fa sù in un tappeto, molti allenatori vivono ancora la Guerra Fredda e “non dicono tutto quello che fanno”.

Quindi essere un grande allenatore non è solo teoria…

Gli schemi sono pratica, la teoria è filosofia, una cosa antecedente. Tu hai gli ingredienti sul tavolo, tipo Master Chef, e devi fare la ricetta. Decidi come far giocare, poi subentrano le variabili…

E il risultato sportivo non te lo assicura nessuno.

Ho passato un’eccellente estate, pur col dispiacere del Preolimpico. Ma non per il risultato: per quello che s’è detto dopo, in sede di commento.

Ti aspettavi la non qualificazione?

Assolutamente no. La Federazione ha combattuto e lottato per avere il torneo in uno scenario eccellente, in un bellissimo palazzetto dove ho giocato due finali di coppa Italia; hanno preso l’unica persona a cui nessuno può dire nulla, perché è sopra tutti. Poi perdiamo contro una squadra sfavorita, che è la cosa più facile del mondo. Io potevo essere l’allenatore di quella squadra, sono arrivati con nulla da perdere e molto talento. Il problema di quella squadra è che non si è mai messa insieme nelle grandi occasioni. Poi si perde: che peccato, che incazzatura, doveva portare questo o quello… Ma perché non ci liberiamo del fardello calcistico? E ancora: ma la gente che  si riempie la bocca o i polpastrelli di polemica, sa cosa significa la durezza della contesa sportiva? La Nazionale ha perso al cospetto di 15mila persone, ma mica erano contenti. E io sono davvero stufo del ‘se vinci sei un eroe, se perdi sei un coglione. Un non adeguato che ruba lo stipendio.

Che effetto fa leggere Ettore Messina che chiede pubblicamente scusa, alla vigilia delle  Olimpiadi?

Mi ha inizialmente stupito, poi ho capito esattamente che sapeva di aver avuto una grande occasione e di aver fatto tutto quanto era in suo potere.

Quindi niente recriminazioni o rimpianti?

Quelli ci sono sempre.. Tutti possono criticare, a patto di non trascendere. Ho imparato che in un mondo nel quale tutto è social, commentato e giudicato, parla chi ne sa ma anche chi NON ne sa una fava. E allora conta COME dici le cose.

Teo Musso fa la birra ed ha la terza media, prima di comprare un’azienda di pasta a Gragnano ha studiato per due anni, salvo poi dire “adesso posso parlare di pasta. Prima non ne capivo un cazzo”. Forse, una buona lezione per il basket.

Non per il basket, per la vita.

Negli anni italiani, certe critiche ti hanno fatto male..

Non male, mi hanno dato fastidio.. Sai, si va verso l’estremizzazione di tutto. Io capisco che a volte ti fai un culo così per portare a casa 1000 euro ogni mese e dar da mangiare a due figli, vedi uno in pantaloncini che ne guadagna 20 o 30 volte in più e ti senti legittimato ad urlare, ad offendere. Questo non lo accetto ma lo capisco. Il problema è quando vai oltre e neghi a te stesso la possibilità di capire quanto sia difficile fare la vita dell’atleta. Ora: io non faccio né il pediatra in Congo o l’oncologo, ma anche lo sportivo fa dei sacrifici, non fa week end per 20 anni, posto che la qualità della vita è 5 stelle lusso, in ogni frangente. Ma quanti sono quelli che hanno provato a fare i professionisti e poi non ci sono riusciti?

Gallinari esulta dopo il suo "game winner" all'overtime contro Minnesota (Foto: Usa Today)

Danilo Gallinari si è chiesto cosa sarebbe stato, della sua carriera, senza i 7 gravi infortuni che ha avuto.. Secondo te cosa sarebbe diventato? Il giocatore italiano più forte di sempre?

Inorridisco ogni volta che si agita lo spettro del giocatore più forte o della squadra più forte. Io vedo 3 partite di basket ogni giorno, circa 1000 partite ogni anno, per diletto e lavoro, e se oggi mi chiedi chi è per me il giocatore più forte di sempre ti rispondo Drazen Petrovic. Ma non ha niente di logico, ce l’ho dentro perché sono cresciuto con lui, perché l’Nba non lo accettò e lui si fece accettare. Poi vedi Lebron, Curry..  E si entra in una dialettica da bar sport, ‘i più grandi sono quelli che hanno vinto’. E’ uno sport di squadra.. L’autentica verità è quella che non conosciamo.

Però Danilo ci ha fatto vedere cose sublimi..

L’ho visto giocare a Bologna, cestisticamente onnipotente e con una eccezionale cura del suo corpo, ha delle attenzioni molto particolari.

E’ tanto bravo quanto intelligente?

Ha degli istinti di gioco ineguagliabili: per taglia, è come se fosse un 180 cm, e non solo.

Conta essere stato figlio di Vittorio Gallinari?

Nell’avviamento, poi potrebbe essere nato a Reggio Calabria da un produttore di nduja.

Come ci ha detto Toni Cappellari, che ci sta leggendo e salutiamo, la famiglia conta molto per un giocatore.

Moltissimo, è come uno zaino che ti porti per la vita.

Schiacciata di Melli (foto A. Bignami 2013)

A giugno 2015 dicesti “noi prenderemo Niccolò Melli”. Luca Dalmonte me ne ha parlato come di uno dei ragazzi più intelligente che ha mai conosciuto. Eri convintissimo…

Io cercai di prendere Melli nel 2011, però Milano non voleva dare un giocatore a Cantù. A volte bisogna sacrificare qualcosa sull’altare della crescita di un atleta. Niccolò è uno che sa giocare a basket, che migliora i compagni, che nell’ambiente corretto diventa giocatore franchigia in una settimana.

E tu lo sapevi.

Io lo speravo. Non mi faccio mai grosse aspettative, perché fino a quando non ce l’hai in palestra, puoi aver fatto scouting di un giocatore con la Nasa o l’Nsa, ma non conta un cazzo. Sapevo che poteva diventare un grandissimo agonista, ma poi ci sono le sliding doors. Dopo 5 minuti del primo allenamento mise in fila tutta la squadra, e rientrando da una transizione difensiva Zisis – che è la mia prosecuzione in campo – disse “non pensavo fosse così forte, coach. Ne hai azzeccato un  altro”.

Beh, detto dal futuro Primo Ministro della Grecia.. Però ti ho teso un tranello: Niccolò è figlio di un ex giocatore e di una medaglia d’argento olimpica..

Se dovessi dirti una cosa di  botto, certe persone sono come Achille o Obelix: vengono impregnate sin da bambini dalla passione per il gioco. La succhiano. Melli e Zisis sono compagni di stanza, e credo parlino di basket 20 ore al giorno. Niccolò è una persona di estrema intelligenza, abbiamo un rapporto eccellente, possiamo mandarci a cagare e ridere il time out successivo.

Ci sono ancora gli allenamenti in cui Trinchieri dà.. “il meglio di se stesso”..

Sempre meno, sto invecchiando o forse i miei giocatori migliorano. Onestamente sono proprio felice per Niccolò, abbiamo fatto 40 vittorie e 3 sconfitte in campionato, con uno scarto medio di 20 punti.

Ci sono ancora margini di crescita per lui? Parliamo dei suoi difetti..

Può crescere ancora, se vorrà. E’ un uomo che prende troppo sul serio i suoi errori, molto severo con se stesso, che non sempre riesce a capire- come capita a me-che siamo quelli che siamo. E il primo modo di crescere è accettare i propri limiti, dando la giusta priorità a ogni cosa. Niccolò avrà giocato brutte partite a Milano, con me ha giocato 3 match altrettanto brutti, il fatto è capire il perché. Credo che quando tu cambi un giocatore perché sbaglia un libero importante, che ti costa un parziale o la sconfitta, ho imparato che è sbagliato cambiarlo. Perché non puoi controllare tutto.

Stai imparando a depenalizzare l’errore come Meo Sacchetti?

No, non ho ancora raggiunto quel kharma, ma so dare di più il giusto peso alle cose, aiutato da chi mi sta accanto. Io m’incazzavo tantissimo e a sproposito, il problema è perché. Io sono partito allenando la Promozione, vincendo o perdendo.

A Marcallo ti incazzasti parecchio..

Sì, e a Bresso perdevo sempre. Poi ho allenato in serie B, perciò arrivato ad alto livello ero  come ‘compresso’. Oggi lo sono sempre meno.

In estate il tuo nome è stato accostato a Tel Aviv: città bella, affascinante, la sede del Mossad…

Credo, in questo momento, che sia la città meno pericolosa d’Europa.

Shimon Mizrahi, la Sfinge (foto Paolella)

Shimon Mizrahi, la Sfinge (foto Paolella)

Fa piacere l’attenzione di grandi club come Maccabi, Barcellona?

Un’altra cosa che ho perso con gli anni è il narcisismo. Ho fatto un percorso, come un buon vino: cerco di affinarmi. Penso di avere una buona materia di base, le persone che mi stanno attorno sono come la botte di rovere eccellente: mi affinano. Ci vuole tempo, dedizione. Quindi questo narcisismo calato mi fa essere più disincantato. Ogni estate succedono cose oppure si parla di cose che non succedono mai.  Accostarsi ai grandi club fa parte del gioco, prima o poi succederà anche qualcosa, io so soltanto che dopo tanti anni ho passato un’estate serena, senza ansia e nessuna richiesta. Il mio club, di altissimo livello e popolato di persone top, mi ha detto che pur avendo un contratto con loro avrebbero ascoltato. Nel momento in cui non si è concretizzato nulla, il mio eccezionale club mi ha regalato la conferma del 90% dei giocatori per l’anno prossimo.

La gioia di una vittoria non deve durare molto, dicesti lo scorso anno. Quant’è durata la gioia del secondo titolo tedesco?

Beh, siamo ancora ai lavori in corso. Abbiamo vinto dominando, col rischio di considerarla erroneamente un pro forma. I nostri avversari – in finale di Bundesliga – non hanno neppure visto la targa, hanno scorto una macchina sfrecciare in terza corsia.

Però erano sfavoriti, e come dici tu…

E questo  ci è costato vincere una gara 2 al supplementare, dopo un match molto tirato.

Hai sempre saputo che avresti vinto quella partita, anche prima dell’overtime?

Avevo il regalo che mi ha fatto Niccolò: a un certo punto perdiamo di 30 a Vitoria, dove ci prendono a ceffoni dal riscaldamento. Anche la mattina, durante la sessione di tiro, erano passati due baschi a prenderci a sberle. Quella sera, essendo senza energie, vedo la luce e anziché andare in conferenza stampa ad analizzare le 1755 cagate che avevo ed avevamo fatto, dissi ‘mi sento di stare vicino ai miei giocatori. Io sto con loro’. Nei giorni successivi, Niccolò mi prese da parte e disse: “Coach, con questi ragazzi, questa gente e questa squadra non hai nulla da temere. Nulla, stai tranquillo. Nella mia carriera non ho mai visto una cosa del genere. Mai”.

Parliamo troppo poco di Daniele Baiesi, il tuo e vostro general manager.

A lui non piace che si parli di Baiesi.. Lui è con noi dal dicembre del 2014, subentrò a stagione in corso. Lo conosco da molti anni, e c’è molto di suo anche nei miei cambiamenti.

Cos’ha di tanto speciale, Daniele Baiesi?

Semplicemente? E’ un genio.

Per questo è lontano dall’Italia, come te?

E’ una persona pensante, che in una disputa da condominio – quanto rimane in Italia – danno fastidio. Ti danno sempre la spiegazione di quello che sbagli e di come dovresti fare le cose. Lui è una parte fondamentale dei nostri traguardi. Prima che lui arrivasse ho fatto da Gm per un breve periodo, facendo un sacco di puttanate: è impossibile fare l’allenatore e il Gm contemporaneamente. L’allenatore ha la visione di un istante, un Gm di 5 anni. Il compito di Daniele è prendere giocatori che posso allenare.

Qual è il giocatore che non puoi allenare?

Chi dice “ho sempre fatto il mio e non mi interessa migliorare”. In allenamento ho un livello di richiesta molto alto, anche se non li ammazzo. Chi non vuole migliorare non può essere allenato da Trinchieri

Quando e perché si rompe il rapporto tra un coach e la sua società?

C’è una legge fissa con delle variabili: quando il coach pensa alle sue esigenze personali e non alla squadra, quando i coach diventano pesanti e drenano i giocatori. Io potrei essere così e sto cercando di rimediare: grazie a Baiesi, al ‘Baio’, abbiamo messo la persona al centro, creando le condizioni perché ciascuno desse il meglio. Se io dico ‘facciamo l’Eurolega e proviamo a competere’, ma sono tra gli ultimi budget di Eurolega e poi vado a Mosca, ne prendo 25 ed insulto tutti in spogliatoio, non sono credibile.

E se perdi di 25 a Mosca, cosa devi fare allora?

Sei incazzato a devi capire che se gli avversari erano più grossi di noi e ci hanno massacrati, la domenica successiva bisogna andare a Roncobilaccio e fare lo stesso.

E adesso che hai vinto 40 partite su 43 in campionato e fatto un’Eurolega straordinaria, come ti approcci alla nuova stagione considerando quello che hai appena realizzato?

(Foto Savino PAOLELLA 2015)

(Foto Savino PAOLELLA 2015)

Ci si ripropone. Ti ricordi MacGyver? Quello che da un coltellino svizzero e uno yogurt realizzava una bomba atomica. Devi prendere spunto da quello che hai intorno. Se vado in palestra e ripropongo lo stesso cliché, farò schifo. E’ una possibilità, ora ci sono 16 squadre, il livello si è alzato e non siamo più una sorpresa per nessuno, sanno cosa significa giocare a Bamberg. Allora devi capire la nuova Eurolega ed alzare ancora il livello.

Si può fare?

Sarebbe triste se non si potesse.

E che Bamberg sarà, quello 2016-17?

Sapevamo che avremmo perso Wanamaker.

Tu sapevi potesse diventare un top player?

Wanamaker nel 2014 era l’unico giocatore ad aver firmato due pre contratti, uno con Kazan e uno con Bamberg. Avrebbe giocato con me, insomma. Via lui abbiamo deciso di NON sostituirlo, perché non potevamo, e abbiamo preso un giocatore diverso (Fabien Caseur, nda). Abbiamo deciso di alzare il QI cestistico, di alzare il livello delle letture e di avere ancora più tiro da fuori. Abbiamo una rosa lunga.

Che ti tranquillizza, ti rassicura?

Non devo essere né l’uno né l’altro, perché il mio amico che era tranquillo è morto.. Penso di avere una squadra estremamente duttile: il backcourt Zisis-Strelnieks-Caseur-Miller mi fa dormire molto sereno. Ora abbiamo un’Eurolega nuova, da 30 partite. E io giocherò su quello, sulla novità. Basterà? Non lo so, è tutto nuovo.

L’anno scorso, ad agosto, Ambrogio Bignami disse “coach, abbiamo troppi esterni”, e tu dicesti “tranquillo, giocherò con 3 playmaker in campo”, e Geri De Rosa contro il Barca disse “ecco, ora Trinchieri ha 3 playmaker in campo”. Sergio Tavcar, che ti intervistò a Lubiana, dice sempre “gli jugoslavi non giocano solo per battere l’avversario. Gli jugoslavi giocano per irridere l’avversario, per canzonarlo”. E nelle tue vene scorre il sangue jugoslavo-croato di tua madre…

Sergio Tavčar

Sergio Tavčar

E’ quella la direzione verso cui voglio andare, quest’anno proverò a giocare con 4 o 5 playmaker…  Ma è una forzatura dialettica: io divido i giocatori in due categorie senza ruoli tradizionali, ossia i creatori di gioco e i giocatori da lato debole. Del resto, un giocatore come Miller che ruolo ha? Zisis cos’è? Un play perché ha la palla in mano? L’anno scorso Baiesi, durante una di quelle trasferte da 7 giorni, al terzo scalo aereo mi disse “volevo dirti che hai sancito la morte del ruolo del playmaker”.

Quindi si può lasciare un segno senza vincere, come in Eurolega la scorsa stagione..

Noi vendiamo anche uno spettacolo, a Bamberg gli spettatori pagano tutti e vengono in 7500 alla volta. Conta non solo vincere, ma come lo fai. In un momento nel quale il basket è sempre più globale, un campionato europeo è tre volte più difficile di una Olimpiade. Con la globalizzazione in atto, a me chiedono di fare della squadra un brand, perché Bamberg raccoglie 5 milioni di euro ogni anno dagli sponsor. Perciò devo essere riconoscibile, devo essere diverso. Non ho detto migliore. Se tu vai a Cantù ti dicono che devi vincere: vero, ragionevolissimo. A Bamberg il mio proprietario, che è un grande tycoon, dice che gli interessa come lo facciamo.

Una lezione per l’Italia.

No, l’Italia non vuole lezioni.

Chi gioca, in Europa, una pallacanestro che ti ha intrigato, affascinato?

Mosca aveva delle guardie eccezionali e un gioco moderno, solido. Nel gioco di Itoudis c’è tutto quello che ha appreso da Zelimir Obradovic.

E come si comunica bene il brand di una squadra, come di solito fai tu?

Beh, io odio annoiare. Potrei parlare 20 ore di fila di basket, senza annoiarmi. Chi viene a farlo con te deve farlo con lo stesso piacere, e i giornalisti come Aldo Giordani- che ha inventato la comunicazione cestistica- non ci sono più. Viviamo la più grande crisi del giornalismo, il cartaceo sta scomparendo, resta un prodotto web spesso molto standardizzato. Negli anni Ottanta e Novanta fare il giornalista di basket era il mestiere più bello del mondo. Questo ha portato ad un prodotto precotto e senza picchi, che non porta nuove persone. Spesso allora,  nelle interviste, dico “faccio io”…

Werther Pedrazzi (foto S.Paolella)

Werther Pedrazzi (foto S.Paolella)

In effetti, il tempo di cantori magnifici come Oscar Eleni e  Werther Pedrazzi, che si portava Sabonis al Palalido sulla sua Renault Fuego, non tornerà più…

No.

E coi tedeschi privi di fantasia, come fai?

Divento trasversale, come Giulio Andreotti.

Però un grande Andreotti, nello scontro Fiba-Eurolega, ci voleva…

E’ una questione meramente e prettamente politica. E poi c’è la parola denaro: l’Eurolega ha creato un eccellente prodotto e attirato interessi anche economici, Fiba ora si vuole riprendere la competizione ma è un po’ più debole rispetto a prima. Fondamentalmente, o trovano un accordo o trovano un accordo, altrimenti ci saranno ancora più morti e feriti di ora. E non date colpe a Petrucci: lui ha fatto solo l’interesse della Federazione. La querelle Fiba Eurolega ha impoverito il campionato italiano e sbaragliato il campo delle contendenti di Milano, perché certi stranieri non vengono dove NON si giocane le coppe. Le due società additate come modello del 2016 erano Trento e Reggio Emilia: morte sul selciato, hanno avuto enormi difficoltà a fare mercato. Perché così hanno tolto due contendenti a Milano.

E come vedi Milano? Hickman e Raduljca le danno una dimensione diversa.

Sicuro. La vedo come sempre, dominante in Italia e credo nelle prime 8 d’Europa, perché se con questo roster non vi rientra.. Però non so, bisognerebbe chiedere a chi va a palazzo ogni domenica a Milano se si diverte.

Ci sono giovani che sottrarrresti al campionato italiano? Carlo Della Valle ci sta leggendo, e io ho sempre pensato che Amedeo fosse un giocatore adatto a Bamberg.

A distanza, col telecomando, è tutto più facile. Flaccadori, Della Valle, mi è piaciuto Cournooh… Però devo anche dire con grande onestà cos’hanno aggiunto, e come aggiungeranno consistenza al logo bagaglio senza coppe? Adesso tutti parlano di Melli, ma sanno com’è la sua giornata?

Diciamolo…

Allenamento col preparatore alle 9.30, lavoro individualizzato, sessione tecnica, lavoro individuale nel pomeriggio e allenamento con la squadra. Quindi fino alle 12 e dalle 16 alle 19.30. Niccolò è rispettato e temuto perché mette tutto per diventare un grande giocatore, e ne vive i benefici. Dico che Amedeo ha istinto e talento di gioco assolutamente unici, giocatore che mi entusiasma perché fa cose che non si insegnano, e non è neanche una questione di sistema. Lasciandolo anche a briglie sciolte, se fa sei tiri da metà campo magari con me forse non farebbe il settimo e neppure il secondo, però lui deve giocare di sensazioni. Ora però deve crescere fisicamente, per alzare il livello. E vale lo stesso discorso per Flaccadori, ottimo giocatore, che vorrei però crescesse.

Amedeo Della Valle tira da 3 punti (Foto M. Marengo)

Amedeo Della Valle tira da 3 punti (Foto M. Marengo)

Cantù c’è un russo effervescente, e  mesi fa Gildo Broggi disse che forse, magari, probabilmente, sarebbe potuto succedere che.. Cos’era, una seduzione intellettuale?

Un esercizio di stile.

Conosci bene Spanoulis. Altra grande crescita quella di Daniel Hackett: è migliorato così tanto anche per la sua vicinanza?

Daniel Hackett era già un grandissimo giocatore. Lo prenderei subito.

Con limiti di carattere oppure no?

E’ un ragazzo vero, che non vuole essere coglionato, bisogna dirgli la verità e lui ti dirà la verità.

E’ uno che muore per il suo coach?

E’ uno che muore per quella palla lì, e a me basterebbe. Muore per fermare l’avversario. Dove è cresciuto? E’ un po’ triste vedere questi giocatori rinascere come un fiore secco innaffiato in così poco tempo, questo dà la percezione oscurantista del movimento italiano, e questo mi spiace molto. Non voglio attaccare nessuno perché non ne ho il diritto, e ho tutto da guadagnare dalla crescita del basket italiano. Ma se basta emigrare…

Nel 2015 dicesti ‘oggi non ho più giocatori come Ken Barlow, che a 23 anni era un professore di basket’, due mesi fa Phil Jackson ha detto una cosa simile: non ci sono più giocatori adatti al mio attacco a triangolo, c’è troppa fisicità. Quindi gli allenatori, oggi, contano più o meno?

Prima regola di un coach: non fare danni. E fai già molto. Se sei bravo li fai rendere di più. In questo momento, i coach sono importanti come prima. Un allenatore, che pensa di avere il monopolio della sofferenza e dell’importanza perché vive di solitudini, ha un ruolo che incide per il 10, il 20% sul destino della sua squadra.. Non penso vada oltre. Il problema è che ci sono tante cose che puoi fare bene o male, quello che dici o come lo dici, ma quanto realmente incide l’allenatore non lo sa nessuno.

Ma Jackson ha ragione quando dice che è cambiato il panorama tecnico dei giocatori?

Assolutamente sì, è cambiata la velocità ed e i tempi di esecuzione.

Però Scottie Pippen dice: “Chicago 1996 contro Golden State 2016, vinciamo noi la serie playoff 4-0”.

Non lo so, sono spesso boutade, fatte per i giornali soprattutto, ma onestamente non saprei. Non so chi marca Mj, però Chicago deve andare con Pippen da 4, ma i Bulls avevano Orazio.. Magari finisce tanti a pochi, magari no.

E cosa ti resta della finale NBA?

Che tifavo Golden State, perché fanno una cosa diversa e la fanno bene, anche se sbagliano come tutti, si sono attorcigliati psicologicamente, arbitraggio playoff con tavanate galattiche, in Europa avremmo avuto linciaggi in sala mensa. Credo abbiano perso la gioia del loro gioco, che capita e succede, specie il secondo anno. Nessuna squadra è capace di vincere due competizioni in 1 anno. Loro hanno giocato per il record di stagione regolare, ma non è bastato per l’Anello.

Noi nostalgici vediamo le Final Four di Eurolega e diciamo che quello è il basket migliore, ma in realtà quelli europeo ed Nba restano due giochi diversi?

Rimangono due  basket diversi, in questo momento lo spread si è di nuovo allargato, l’Oceano si è allargato. Nei primi anni Duemila forse era diverso, ma ormai quelli forti li hanno presi tutti.. Noi avevamo Ginobili, Bodiroga, Navarro, Spanoulis e Diamantidis giovani.. Adesso non resta più nessuno. Giocano con regole diverse, a mio avviso per livello di fisicità, atletismo e uno contro uno siamo lontani anni luce. Poi c’è anche chi gioca un basket come San Antonio, ma c’è anche un’Australia che alle Olimpiadi gioca con coesione e durezza e fino alla fine sta alla pari con gli Usa. L’allenatore australiano non fece un plissé, facendo giocare tutti i giocatori, perché sapeva di perdere, ma hanno fatto una grandissima figura.

Popovich verso team USA, Messina verso San Antonio, Andrea Trinchieri.. 3 è il numero perfetto. L’America si avvicina , per te?

Penso di sì, senza ossessioni. Quelle sono riposte in un armadio da dieci anni. Il passaggio in America è una cosa che valuto, so esattamente di non poter aspirare a un posto da capo allenatore, però...

Coach Gregg Popovich

Coach Gregg Popovich

Assistente a San Antonio…

Comincio a dire assistente in NBA, è una cosa che non dipende da me. E’ un’esperienza che mi piacerebbe fare. Vediamo…

ll grande Sun Tzu dice “se conosci te stesso e il tuo nemico vincerai ogni battaglia, se non conosci te stesso né il nemico le perderai tutte”. A che punto sei, nella tua vita di allenatore?

Cerco di conoscere me stesso e di insegnare ai giocatori ad accettare i propri limiti. Certi hanno repulsione nel fare quello che non riescono a fare. Quando sei marcato da giocatori fisici, e sei soverchiato, diventi ectoplasmatico.

Spariranno i talenti dal basket?

A me piace il basket fisico, ma dentro le regole. Se diventa gioco sporco, e per bloccare un talento fai a botte, quella è una cosa che va punita.

E succede ancora ad alto livello, in Europa?

Tantissimo, a me è successo più volte  di venire “impacchettato”.

Non salviamo vite umane, ma facciamo scendere in campo ragazzoni con maglietta e mutandoni, dicesti nel 2015.. E per farlo al meglio, cosa occorre?

Gli americani dicono love for the game, io dico passione, dedizione, amare quello che fai e te stesso, non aver paura di averla.

E nel futuro di Trinchieri cosa c’è? Un altro anno di contratto a Bamberg, sappiamo..

Un altro anno FELICE di contratto a Bamberg, giocare con delle nuove idee, provare a fare qualcosa di più anche se è molto difficile, allora non voglio ripetere ma raggiungere altri livelli. E poi… migliorare.

E avverrà tutto lontano dall’Italia?

Ogni anno che passa, l’Italia diventa sempre di più un bellissimo posto per passare le vacanze. Però siamo abbandonati a  noi stessi, non c’è unione d’intenti.

Finito. Una ultima cosa: sapete qual è, nel basket, la differenza fra i NON trinchieriani e i trinchieriani? Che i primi, davanti a una distesa di sabbia, vedono solo il deserto. I secondi, al modo di Bugsy Siegel, intravedono Las Vegas…

 

 

“Quando il mondo classico sarà esaurito, quando saranno morti tutti i contadini e tutti gli artigiani, quando l’industria avrà reso inarrestabile il ciclo della produzione, allora la nostra storia sarà finita”

Pier Paolo Pasolini