Tifosi veneziani in festa ( Foto Alessandro Montanari 2016 )

Prima giocatore, poi capitano trascinatore verso lo storico ritorno in Legadue nel biennio 2006-2008. Prima nello staff dirigenziale e dal 2013 Team Manager e Responsabile Scouting. A Venezia Mauro Sartori non è uno dei tanti e la sua appartenenza ai colori orogranata si avverte spesso e volentieri durante l’intervista soprattutto quando si parla della necessità di agire sempre avendo in mente i valori della società, i vari progetti a sostegno dei giovani e l’esempio da dare sul campo ai più piccoli.

Se l’avventura in Coppa Italia è andata male, in campionato la corsa è ancora lunga e Venezia è pur sempre nelle prime posizioni.Su un percorso come quello verso Firenze possono pesare molte variabili, ma sono stati soprattutto gli infortuni a metterci troppe volte il bastone tra le ruote. Il doppio impegno tra campionato e Champions chiaramente toglie molto. E non si tratta solamente dei match, ma anche delle trasferte, dei lunghi e viaggi e del necessario impegno mentale. Avere una squadra lunga non è più un’opzione, ma diventa una vera e propria necessità”.

Austin Daye alla seconda esperienza italiana, dopo aver vestito la maglia di Pesaro (Foto Alessandro Montanari 2016 )

Uno dei momenti più complicati della stagione è sicuramente coinciso con l’infortunio di Orelik. Un collante in difesa e in attacco, 15 punti a partita e spesso e volentieri decisivo anche nei finali punto a punto.Perdere Orelik è stato un bel colpo per noi. Gediminas stava superando anche le aspettative di inizio stagione, diventando sempre più importante per noi sul parquet: la presenza a rimbalzo, i miglioramenti atletici, ma soprattutto si è riscoperto decisivo anche come leadership nei momenti chiave dei match, spesso in Champions League”. E per sostituirlo Venezia ha puntato su Austin Daye. “Trovare un giocatore con le caratteristiche di Orelik che avesse anche il passaporto europeo era impossibile. O, comunque, non c’erano giocatori di quel livello disponibili a liberarsi. Ragion per cui si è deciso di puntare su un americano come Daye. Ha dalla sua la conoscenza del nostro campionato, è un 210, ha un’apertura alare notevole ed è un ottimo attaccante. Ovviamente in difesa si deve migliorare, ma con il lavoro quotidiano in palestra si riuscirà ad integrare al meglio negli schemi di De Raffaele e speriamo possa dare il contributo che tutti noi ci aspettiamo”.

A proposito di rendimento, quello di Dominique Johnson è andato un po’ in calando con il passare del tempo.A Dominique ultimamente manca un po’ di continuità, ma non bisogna dimenticarsi come fino a metà della stagione è stato in grado di rendere ben al di sopra delle aspettative. Le sue fiammate ad inizio degli ultimi quarti erano molto importanti per noi. Deve ritrovare un po’ di continuità, ma la fiducia da parte di staff tecnico e società è immutata, tutto l’ambiente e con lui. E lui questo lo sa bene”.

Dominique Johnson (Foto V.V.2017)

Da un americano a un italiano, che succede a Tonut? Su Stefano bisogna fare una premessa: è un pilastro della Venezia attuale e di quella futura. Da parte della società c’è la massima stima, fiducia e voglia di coccolarlo e farlo sentire importante. I tanti infortuni occorsi nell’ultimo biennio non ne hanno favorito la crescita. A livello fisico Stefano è un giocatore da EuroLeague, ma necessita di recuperare un po’ di confidenza. Rientrando da un infortunio come il suo, è normale avere un periodo di alti e bassi: il lavoro quotidiano con coach De Raffaele lo riporterà presto ai suoi livelli”.

 

Il lavoro di un team manager è molto più complicato di quello che sembra. E se si pensa per un attimo a quello che è avvenuto in estate, con la squadra che ha appena vinto lo scudetto quasi del tutto smantellata, è facile rendersene conto.Il lavoro dura tutto l’anno e porta a individuare nel corso della stagione quei giocatori che potrebbero essere utili al progetto. È chiaro che c’è sempre la speranza che si possa arrivare ad un rinnovo del contratto, ma purtroppo non sempre va bene. Sostituire i partenti con giocatori dalle stesse caratteristiche è praticamente impossibile. Si opera in sinergia con lo staff: il parere viene chiesto a tutto per poi individuare i vari profili in modo tale da assemblare un roster che possa essere sempre competitivo.” 

Stefano Tonut non nel miglior momento della sua giovane carriera (Foto Alessandro Montanari 2016 )

Tanti si chiedono come funzioni l’attività di scouting: ogni decisione è condivisa con lo staff tecnico? “È necessario valutare il giocatore sotto ogni aspetto. È chiaro che spesso e volentieri si parte dai video, ma non serve a nulla vedere solamente degli spezzoni (i cosiddetti highlights). Meglio guardare partite intere, sia quelle giocate bene che quelle in cui la prestazione è stata al di sotto delle aspettative. Solo in questo modo si possono cogliere tutte le sfumature anche comportamentali di un giocatore. E poi lo scouting dal vivo è fondamentale. Tornei giovanili, in particolar modo d’estate, ma anche le varie Summer League e Showcase negli Stati Uniti. Ogni occasione è buona per cercare di instaurare relazioni durature e scambiarsi opinioni: una rete sociale affidabile e sicura è fondamentale per ogni team manager che si rispetti. Sono i dettagli poi che fanno la differenza quando c’è da scegliere un giocatore piuttosto che un altro”.

 

G-League, Cina o altro?In Cina spesso e volentieri i giocatori più talentuosi ci finiscono per un mero ritorno economico. Il problema sono le loro condizioni fisiche e atletiche: fino a quando si tratta di play e guardie, il loro livello fisico si mantiene piuttosto inalterato, ma quando poi si parla di lunghi il rischio che siano fuori condizione nel passaggio dal campionato cinese ad uno più competitivo in Europa è sempre molto alto. Dai mercati dell’Est Europa possono arrivare giocatori che sicuramente hanno meno talento, ma sono molto più inquadrati dal punto di vista caratteriale: comportamenti più rispettosi e con un’etica del lavoro più marcata rispetto a tanti giocatori talentuosi che possono sbarcare da oltreoceano. Puntare sulla G-League è sempre un rischio. Prima di tutto perché il buyout è notevole e non sempre vale la pena spendere tutti quei soldi per un giocatore che, in tanti casi, poi in Europa non riesce a dimostrarsi all’altezza. Ultimamente il campionato australiano sta diventando molto interessante, con la possibilità di trovare qualche buon giocatore a costi parecchio contenuti”.

L’importanza dell’attività di scouting, però, comincia ad essere avvertita anche nel mondo della pallacanestro. Proprio voi avete un esempio calcistico importante come l’Udinese a pochi chilometri. L’attività di scouting è molto importante nell’organizzazione e negli obiettivi di tutte le società e ovviamente anche nella nostra. È vitale avere una rete di relazioni sociali che possa permettere di ottenere informazioni di qualità e credibili: un passaggio necessario per poi valutare se acquistare un giocatore piuttosto che un altro”. “Ed è vero, l’Udinese ha probabilmente la rete di scouting migliore d’Italia, ma nel basket è un po’ diverso. Qui i giovani fanno bene un anno e poi difficilmente rimangono in squadra: chiedono la luna per il rinnovo e poi magari finiscono per fare il classico passo più lungo della gamba. E finiscono in NBA piuttosto che in squadre di prima fascia senza essere veramente pronti ancora per giocare a quei livelli. Nel calcio, nell’esempio dell’Udinese, invece, c’è la possibilità spesso e volentieri di far fare ai giovani talenti un percorso di crescita pluriennale, che poi li porta ad essere venduti a cifre notevolmente superiori rispetto a quelle d’acquisto”.

Boscia Tanjevic (foto Trendbasket.com)

Parlando di giovani non si può non fare riferimento agli ultimi Mondiali U19, dove l’Italia ha sfiorato l’oro, contro ogni pronostico. C’è qualche altro talento oltre a Okeke in grado di arrivare ad alti livelli?Complessivamente possiamo dire come non sia semplice puntare sui giovani e sostenerli lanciandoli nella mischia anche a 17 anni. Tanjevic non si faceva scrupoli a farli entrare a 17 anni, ma dava loro comunque una timeline di 3-4 anni per poter raggiungere degli importanti miglioramenti: poi diventavano subito “vecchi”. Contano anche i momenti in cui vengono lanciati nella partita, per evitare che si possano bruciare. E la pressione di fare risultato sempre e comunque si sente. In generale, quello che manca è un movimento di base. Chi insegna ai giovani spesso lo fa come secondo lavoro o, in ogni caso, non viene gratificato a sufficienza: si sente la mancanza dei grandi insegnanti di qualche decennio fa”.

E, a proposito di insegnanti e giovani, non si può nascondere che in Italia crescano pochi “lunghi”. “Il discorso sui lunghi si lega inevitabilmente al problema degli insegnamenti. Spesso e volentieri si tende a settorializzare un giocatore, quando invece dovrebbe essere in grado di fare molte più cose sul campo. Tanjevic costringeva Cantarello (pivot di 214 cm) a palleggiare tra i birilli e a condurre il contropiede. Al tempo stesso manca anche l’attitudine da parte di tanti giovani a fare sacrifici e ad allenarsi: spesso lo considerano come uno spreco di tempo, una volta convocati in prima squadra si sentono arrivati. Purtroppo è un discorso che necessita di ampie e complesse discussioni. Per migliorare, in ogni caso, servirebbe agire sia su una componente (insegnanti) che sull’altra (giocatori giovani).”


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