Pino Sacripanti (foto Stefano Gandini 2018)

Sidigas Avellino voto 5: Doveva essere l’anno buono per la squadra di Pino Sacripanti, ma è arrivata un’altra cocente eliminazione quando l’atmosfera ha cominciato a riscaldarsi. Eppure la prima parte di stagione faceva presagire a qualcosa di meglio per la squadra irpina, che come negli ultimi anni ha investito molto sotto la supervisione di Alberani per imporsi come una delle grandi del campionato. La squadra ha girato puntuale come un orologio nei primi mesi stagionali, con Jason Rich trascinatore ed una batteria di giocatori di talento; ma qualcosa è andato storto da gennaio in poi, dopo aver conseguito il primo posto dopo le prime quindici giotnate. Le due sconfitte con Reggio Emilia e Brescia hanno evidenziato un paio di limiti caratteriali della squadra, che ha iniziato a non saper più gestire la pressione nei finali punto a punto; come se non bastasse l’infortunio di Ndiaye ha tolto a Sacripanti l’unico lungo che faceva della verticalità e della protezione del ferro le sue maggiori qualità, lasciando così il pitturato senza il suo miglior difensore, vuoto che un Lawal a nemmeno mezzo servizio non può coprire. Girone di ritorno mediocre, da otto vittorie e sette sconfitte, ed il PalaDelMauro che piano piano ha smesso di diventare un fattore, fino al pesante ko in gara 1 con Trento che ha di fatto indirizzato la serie. Non basta nemmeno aver sfiorato il primo trionfo europeo della propria storia per risollevare la stagione, fra le quattro eliminate ai quarti di finale, i biancoverdi sono gli unici a ricevere un’insufficienza. I motivi vi sembrano sufficienti?

Stan Okoye (foto Stefano Gandini 2018)

Openjobmetis Varese Voto 8 – Una stagione memorabile, come non ne vivevano da più di un lustro dalla parti di Masnago. Una stagione in cui Attilio Caja si è tolto più di un sassolino dalle scarpe rivalutandosi come allenatore ma soprattutto come guida di un gruppo che si è cementato nel corso delle giornate, passando da una partenza da incubo, combattendo le critiche e le contestazioni di una piazza esigente (a volte becera e vigliacca, vedi l’aggressione a Coldebella, a cui tanti dovrebbero chiedere scusa), fino a conquistare un playoff da sesta in classifica, un piazzamento che neanche il più ottimista dei tifosi biancorossi avrebbe pronosticato ad inizio anno. Ancora di più il 14 gennaio quando la rocambolesca sconfitta interna con Torino (quinta consecutiva) faceva chiudere alla Openjobmetis all’ultimo posto il girone di andata. Quella che sembrava la partita del crollo definitivo (una settimana prima c’era stata la brutta aggressione a Coldebella) è invece stata quella della svolta. Da lì in poi Varese non si è più fermata, infilando 4 vittorie consecutive (con Venezia, Milano, Cantù e Brescia) e poi 8 delle ultime 9, chiudendo in testa il girone di ritorno, con 24 punti. A Caja, oltre che il merito di aver plasmato una squadra che si divertiva a giocare e faceva divertire il pubblico, anche quello di aver scommesso su giocatori come Tambone e Avramovic, saputo valorizzare il talento di Okoye e tirato fuori il meglio da Cain. E forse, senza l’infortunio di Wells, anche una serie pazza come quella con Brescia avrebbe potuto regalare qualcosa di più dei meritati applausi del PalaA2A.

Culpepper (foto R.Caruso 2018)

Culpepper (foto R.Caruso 2018)

Red October Cantù Voto 8 – Probabilmente qualcuno scriverà un libro sulla stagione della Pallacanestro Cantù e sinceramente anche un film non sarebbe male. C’è tutto dell’epos dei film sportivi americani: l’indifferenza generale iniziale, il crac dietro l’angolo, l’anti-eroe che spiega la vita prima del basket ai suoi giocatori e poi la riscossa di squadra e società con l’indifferenza iniziale che diventa partecipazione ed esaltazione, fino all’epilogo, non vincente nella forma ma nella sostanza. La Red October è stato tutto questo, partendo dalla chiusura del Pianella ed il trasferimento al PalaDesio, con lo sciopero del tifo per la questione abbonamenti ed il pubblico che risponde freddamente, fino alla gara-3 playoff con quasi 6300 spettatori (record di sempre in Serie A) a tributare una meritata standing-ovation ad una squadra di cui è stato fin troppo semplice innamorarsi. Ed il tutto sublimato nel weekend di Firenze con la dura lezione impartita a Milano ai quarti ed una semifinale giocata con metà squadra rotta e quasi portata a casa. E’ stato il miracolo di Sodini, condottiero-filosofo, di Culpepper e di capitan Chappell, ma anche e soprattutto di italiani come Parrillo e Burns, probabilmente visto il contesto in cui si è mosso vero MVP della stagione. Adesso il futuro è meno cupo, la società sta cercando di ripartire da quello che è stato costruito negli ultimi 7 mesi, con all’orizzonte un nuovo palazzo ed anche la pazza idea di riaffacciarsi all’Europa. Anche questo ci starebbe bene in un film americano.

(foto Stefano Gandini 2018)

Vanoli Cremona (voto 7): Dalla retrocessione ai playoff in un solo anno. La Vanoli è riuscita a ribaltare le proprie prospettive in 365 giorni, ridando così fiducia ad una piazza che ne aveva bisogno dopo la brutta stagione 2016/2017. Prima del ripescaggio si era già partiti da un punto cardine per la rinascita: Meo Sacchetti ed il suo gioco offensivo spumeggiante. Non è stato complicato, nonostante il mese e più di ritardo sul mercato, costruire un roster a misura della filosofia del coach della Nazionale, fatta di ritmi alti in attacco e di tiro da tre punti. La scelta di puntare, fra gli altri, sui cugini Drake (in bocca al lupo per la tua carriera di allenatore) e Travis Diener è proprio improntata sull’avere dei pretoriani che già conoscessero il ‘sistema’. E in questo sistema ci ha sguazzato a meraviglia Darius Johnson-Odom, diventato un’iradiddio dopo essere stato considerato nelle sue vecchie esperienze italiane un ‘giocatore scomodo’; con lui ha fatto furore fra gli esterni Kelvin Martin, che dopo l’esperienza con Agrigento in A2 ha dimostrato di poter essere un giocatore di livello anche in massima serie, e si è visto anche qualcosa di buono anche da Simone Fontecchio, che si è tolto della ruggine dopo l’anno e mezzo di panchina a Milano. Squadra votata all’attacco, partite sempre divertenti e playoff strappati con l’ottavo posto. Il ko senza appello con Venezia non toglie meriti alla Vanoli, capace di tornare subito fra le posizioni nobili della nostra serie A.

Alessandro Aita, Fabrizio Quattrini