Il basket, Cantucky, il Coni, il Politecnico: vita dell’icona di un modo tutto speciale di vivere e intendere la pallacanestro

 

“La leggenda dell’ingegnere Volante. Al basket per caso, al Coni per scelta”

di Alberto Figliolia, Alessio Figliolia e Mattia Guastafierro

edizioni Acar, 18 euro

 

 “Marzorati Pierluigi.  Giocatore di pallacanestro italiano (Figino Serenza, 1952); con la squadra di Cantù ha vinto 2 titoli italiani, 10 coppe europee e 2 coppe intercontinentali. Vanta 278 presenze nella squadra nazionale italiana, con cui ha vinto il titolo europeo (1983) e la medaglia d’argento ai giochi olimpici di Mosca (1980)”

Alberto Figliolia

Alberto Figliolia

Col freddo rigore che le è proprio, così l’Enciclopedia Treccani descrive la vita di Pierluigi Marzorati, che si porta sulle spalle il fardello di vivere ancora mentre è già entrato- da tempo- nella leggenda. Ma non una leggenda altisonante, da grandi spazi o ispirata all’epica di scrittori alla Kerouac o alla Simenon. L’epica di chi ha vissuto tutta la vita tra Figino Serenza, Cantù e Milano, le basi da cui ovviamente è partito per conquistare Italia, Europa e resto del mondo con due sole casacche indosso: quella della Pallacanestro Cantù e quella della Nazionale italiana di basket, vivendo di entrambe la Golden Age. Alberto Figliolia, fine dicitore che oscilla tra passione per il cesto, la poesia e la scrittura, uno di quelli che la ciurma di Dailybasket considera maggiormente vicino a sé, ha scritto per i tipi dell’Acar edizioni di Lainate, assieme ad Alessio Figliolia e Mattia Guastafierro,  una bio del Pierlo che tutti i veri romantici old timers dovrebbero tenere, e gelosamente compulare: ‘La leggenda dell’ingegnere volante. Al basket per caso, al Coni per scelta’. Il libro, di oltre 340 pagine, corredato di decine d’immagini  passate, col bianco e nero dell’anima, ci è piaciuto davvero un casino. E la licenza poetica complica la lettura per tutti quelli che non condividono, assieme a noi, la passione divorante e bruciante per un basket- e un’idea dell’Uomo- che non c’è più.

Perché  un mondo nel quale- e ci mancherebbe altro- i ragazzi più giovani danno in escandescenza per Lebron, Iverson, Metta, Durant e altri (Kobe no, Kobe è da old timers), quelli  come noi- l’età  avanzata o meno non conta, andiamo in solluchero quando vibrano i nomi di Aldo Giordani, Manuel Raga, Bob Morse, Antonello Riva, Drazen Petrovic e Arvydas Sabonis- lo considerano molto, troppo distante.

Drazen, o del Vero basket

Drazen, o del Vero basket

Non si tratta di fare un elogio del passatismo, di un passato che ricordato oggi  viene depurato- mentalmente e fisiologicamente- dalle cose meno buone o cattive, per rinchiuderlo spesso in un’aura leggendaria (e menzognera). Si tratta, molto semplicemente, del fatto che Aldo Giordani era ontologicamente diverso da quelli che oggi tentano di succedergli. Che Antonello Riva era diverso. Che Aldo Allievi, Gianluigi Porelli erano diversi dai presidenti di oggi. Che Toni Cappellari era diverso da molti dei dirigenti di oggi. Che l’epica di Cantucky, che Marzorati ha vissuto per millanta stagioni, ritirandosi alla soglia dei 40 anni, è unica e irripetibile. Per spiegarvi perché, e financo per come, dovete passare dai tanti capitoli che scandiscono il libro. Dalla storia del proverbiale talento giovanile di Marzorati; dal legame specialissimo con gli Allievi, al punto che il Pierlo impalmerà la figlia del sciur Aldo; dalla ‘cantera’, che si può solo rimpiangere, che consentì a Cantucky di dominare il basket  ai più alti livelli portando sul parquet i giovani di un vivaio mistico, irripetuto e irripetibile, per la particolare conformazione ‘umana’ dei suoi protagonisti, dal più importante al più umile. Leggerete di nomi quali Sandro Gamba, Bobby Knight, Dino Meneghin, Michael Jordan, Toto Bulgheroni, Nandokan Gentile, John Wooden, Art Kenney…

Leggeranno gradevolissime chiose tecnico tattiche, come quelle sui dioscuri dell’asse play pivot (indovinate a chi ci riferiamo..), soprattutto- e siamo arsi dalla speranza che ciò avvenga- il decalogo del playmaker che ogni ragazzo, ogni giocatore di 14, 16, 17 o 18 anni che interpreta o reinterpreta oggi questo fondamentale ruolo  dovrebbe leggere.

C’è la saga strapaesana di Cantù, luogo assolutamente fuori da ogni schema del successo e della gloria sportiva, dove i valori del lavoro, del senso dell’onore e della proverbiale discrezione di una ‘gens’ canturina, taciturna ma orgogliosa, ha rappresentato e rappresenta il luogo dove Marzorati ha scelto di continuare a vivere con la sua famiglia, improntata a quegli stessi valori, allevata in quello stesso ‘brodo di coltura’.

C’è l’applicazione di un giovane che, mentre faceva incetta di titoli e vittorie, trovò persino il tempo di laurearsi in Ingegneria, negli anni in cui Vittorio Gallinari si laureava in Economia alla Bocconi. Davvero, altri tempi. Altro basket. Altri uomini.

C’è la seconda vita professionale di Pierlo Marzorati, oggi assiso ai vertici del C0ni lombardo, sbocco naturale e predetto da chi lo conosceva, e ne conosceva le innate doti di leadership, l’intelligenza fine e l’etica del lavoro plasmata dalle radici familiari, dalla conoscenza diretta del ‘modello Allievi’. Un Pierlo che, a fine libro, rivive nelle parole e nelle descrizioni di tanti testimoni illustri: Bill Russell, Carlo Recalcati, Meo Sacchetti, Gianni Corsolini, Charlie Caglieris.

Quando il basket ERA il Jordan

Quando il basket ERA il Jordan

Ma come lo descrivono, in definitiva, gli autori? “Un ragazzo perfetto? No, semplicemente onesto e di buona educazione, di sana cultura popolare, abituato a non chiedere, a non sprecare. Tutto andava conquistato con il sudore del corpo e della mente. Il piacere più forte della fatica. Un messaggio da trasmettere. Un orizzonte sempre da esplorare. Così nasce una leggenda, così deve vivere un uomo”.

Game, set and match. Oppure, com’è solito dire un noto telecronista (presto su questi schermi..) ‘altro tiro, altro giro, altro regalo’. Questo di Alberto Figliolia, fidatevi, è davvero bello e prezioso.