Dailybasket incontra l’autore di Something Different, lo splendido racconto- umano, prima che sportivo- dell’ultima stagione della Mens Sana Siena. I playoff, gara 6, il tiro di Janning, le scarpe bucate, i caffè con Boscia Tanjevic, l’Sms di Gentile a Livio Proli.. Alla scoperta del Marco Crespi più intimo e vero, e di una caratura- umana, appunto- che supera, forse sublimandola, quella tecnica.

Di Fabrizio Provera, con la preziosa collaborazione di Nicola Martinelli

“Something different”- di Marco Crespi. Prefazione di Flavio Tranquillo, postazione di Boscia Tanjevic

Edizioni Il Leccio, 13 euro

librocrespi

 

L’eroe guerriero giapponese sa da sempre che per quante battaglie possa vincere e per quanti riconoscimenti possa ricevere, il destino ultimo che lo attende è un destino tragico, non per errori commessi o incapacità di sopportazione o malasorte, ma perché è il destino dell’uomo che abbraccia un destino arduo. È essenziale che l’eroe sia preparato a questo fine sublime così che, quando giunge il momento, sappia esattamente come agire e non si lasci fuorviare dall’istinto di sopravvivenza o da altre debolezze umane. Battersi strenuamente in una situazione disperata, superare se stesso quando tutto è perduto significa convalidare gli sforzi e i sacrifici compiuti precedentemente“.

Ivan Morris  descrisse così, la cosiddetta  “nobiltà della sconfitta”. Perfetto contraltare ‘spazio temporale’ rispetto alla frase di Meheret, la figlia adottiva di Marco Crespi, in apertura dello straordinario, luccicante, sofferente racconto scritto dall’ex coach di Siena. Il leggendario coach delle giovanili Olimpia, dove arriva nel 1983; il vice di Boscia Tanjevic nello scudetto del 1996, sempre a Milano; sulla panchina della Nazionale che vinse l’oro europeo del 1999, passato da  Siviglia, Pesaro, Virtus, Casale Monferrato, breve parentesi nei Paesi Baschi..   E c’è molto altro ancora nella vita di quest’uomo, nato a giugno del  1962 nel cuore della Lombardia più opulenta, poi cresciuto a Busto Arsizio, dove il padre e il fratello esercitano quella stessa professione- avvocato- cui Crespi rinunciò per amore del basket. Meheret, dicevamo, scolpisce come fosse un’epigrafe: ‘Noi due guerrieri etiopi. Abbiamo già vinto incontrandoci’.

E’ un uomo contemporaneamente fuori e dentro il tempo, Marco Crespi. Dentro perché si tratta di un allenatore dallo spessore tecnico e professionale indiscusso, rigoroso e meticoloso come solo i lombardi sanno essere, epperò di apertura mentale capace di superare gli angusti anfratti che ti legano alla tua origine.

Uomo di mondo, Marco Crespi, che Boscia Tanjevic  prese sotto la sua ala fin da giovanissimo, trasformandolo in qualcosa di molto simile al più grande zingaro del  basket continentale: “Boscia non era un uomo: era un romanzo. D’amore, rabbia e avventura. Innamorato della luna, nelle notti fredde, limpide e serene. Boscia guardava i fuochi nella notte di Milano, non erano i falò accesi per scacciare i lupi in una vigilia rivoluzionaria, ma soltanto cupi segnali d’improvvisati mercati dove si vendono e si comprano corpi avariati, non certo l’anima delle cose e della gente, come sognava Tanjevic. Boscia deve aver patito tristezze metropolitane. Avara. Per uno zingaro tenero e crudele, che amava bere il fuoco liquido e sognare l’Utopia e la Città del Sole’.

Basta leggere Werther Pedrazzi, e la sua mirabile descrizione di Boscia, per capire sino in fondo chi è davvero Marco Crespi. Infatti noi ce ne siamo resi conto, e adesso ci stiamo chiedendo ‘ma perché diamine dovremmo continuare a scrivere altro, prima dell’intervista a Crespi?’.

Boscia Tanjevic agli Europei 2013 (foto A.Bignami)

Boscia Tanjevic agli Europei 2013 (foto A.Bignami)

Infatti non c’è più un cazzo da scrivere, dopo Werther. C’è solo da raccomandarvi, seria(l)mente, la lettura di questo libro. Che noi abbiamo ricevuto e divorato in meno di 4 ore. Un libro fatto di carne, passione, sangue, dolore, vittoria e sconfitta. Un libro che scandisce, per capitoli, la  vicenda sportiva (e umana..) della Mens Sana 2013-2014. Quella che, tra scandali, arresti, un’onda che s’ingrossa pronta a travolgere la più inarrestabile macchina vincente del basket italiano nell’ultimo decennio, è arrivata a un secondo- a un tiro- dal prevalere contro i Patrizi epuloni di Milano, in una finale scudetto che forse, un giorno, debitamente sceneggiata diverrà un film.

Ne siamo certi. Il titolo, noi, l’avremmo già pronto. E non è ‘Something different’. Adesso leggete, ne vale la pena. Perché se l’allenatore solletica le nostra fantasie di appassionati, l’Uomo incide nella carne viva dell’Anima. Che si ribella al  banale e all’effimero. Soprattutto se lo ami, il basket. E la vita.

 

 Marco Crespi, la prima cosa che mi sono chiesto leggendo il libro è cosa fosse esattamente.. Ho pensato a tre cose: l’omaggio postumo a una vicenda sportiva, una celebrazione o una sorta di seduta di analisi cestistica.. E’ una di  queste tre cose,  oppure altro ancora?

-Penso che l’ultima sia la fotografia più vicina alla realtà. Penso che questo libro sia una storia di vita, di pensieri e di come vivere la pallacanestro, perché quando da sono ragazzo vivo la pallacanestro come vita e come professione. Quindi è una storia di vita.

Il ‘something different’, alla luce di quanto dici, è stato coerente col tuo percorso di uomo e allenatore?

Sì, something different è sempre stato un mio modo di vedere la vita e il basket, perché odio frasi come ‘è difficile cambiare le cose’. Something different significa poter andare avanti, senza preconcetti o pregiudizi.

Ma oltre a ‘something different’, l’ultima stagione di Siena è stata anche something ‘extraordinary’?

-Different era l’hashtag di inizio stagione, quello che è successo dopo non  ce lo saremmo mai potuti nemmeno immaginare..

Se pensi all’1 settembre 2013, e poi di getto a fine giugno 2014, come definiresti quanto è successo dopo?

-Mah, forse un sogno.. A settembre sentivamo il piacere di essere un gruppo che desiderava lavorare insieme. I risultati arrivano se c’è affinità professionale fra tutti gli interpreti. Il post gara 7, o meglio vivere quei playoff, è stato come vivere un sogno condiviso da tante persone. Una sensazione bellissima, unica.

Luca Banchi (Foto Savino Paolella 2013)

Luca Banchi (Foto Savino Paolella 2013)

Ci sono molte camminate, in questo libro. Come quella con Luca Banchi, che  nell’estate 2013 ti propone di seguirlo a Milano. Perché, invece, la scelta di rimanere a Siena?

-Di primo acchito, perché c’era la possibilità di guidare un percorso. Oggi, con tutti i rischi del caso, mi sento più adatto al ruolo di capo allenatore. Una scelta che rifarei mille volte, non solo col senno di poi

Su Ferdinando Minucci è giusto che si esprima la Magistratura. Parliamo invece  del Minucci dirigente sportivo, perché penso sia riduttivo associare la storia recente di Siena a  concetti quali ladrocinio o esercizio truffaldino, sotto il piano sportivo intendo..

-Penso che le qualità del lavoro tecnico e di  ‘basket operation’ di Siena non siano state aiutate da quello su cui la Magistratura sta indagando. Anzi, forse ha nuociuto in termini di antipatia. Cosa voglio dire? Che Siena è stato un esempio non solo di società che poteva spendere di più, ma anche una società che sapeva scegliere le persone giuste, facendole crescere.

Negli anni che  hai vissuto a Siena, penso che un tifoso di basket si chieda molto semplicemente ‘si aveva percezione di essere parte di un sistema che non funzionava, sotto il profilo delle regole’?

-Il discorso è molto ampio. Ricordo che l’inchiesta nata a Siena in ambito sportivo è partita da quella, ben più grande, legata al Monte dei Paschi di Siena. E mi fermo qui.

Ferdinando Minucci (foto S. Paolella)

Ferdinando Minucci (foto S. Paolella)

Cito a proposito Toni Cappellari, persona che ben conosci, il quale nel 2013- prima che quindi il caso Siena deflagrasse- disse a Dailybasket  ‘farei molta attenzione a fare il moralizzatore, considerando quanto accaduto nel basket italiano negli ultimi tre decenni’. Cosa ne pensi?

-Guarda, in tutta sincerità penso si tratti di un discorso legato alla cultura sportiva. Penso che Siena abbia vinto tutti gli anni sul campo e con merito, poi si è resa antipatica per un certo tipo di arroganza, e successivamente oggetto/soggetto di inchieste.  Sono due ambiti del tutto scissi.

Quindi ti senti pienamente parte di quella storia, con orgoglio intendo dire..

-Quando delle persone mi hanno detto o scritto “di aver capito Siena nel profondo, e di essere un vero senese”, penso abbiano espresso il più grande dei complimenti.

Nel libro ci sono storie di giocatori che si riducono lo stipendio, che scelgono di rimanere su una barca che affonda.. Storie da libro Cuore, che sembrano contraddire l’immagine stereotipata del giocatore mercenario. Eppure è successo davvero..

-Sì, in due momenti: all’inizio tutti i giocatori avevano la possibilità di andare da un’altra parte, anche per 1 euro in più. Chi rimase lo fece per il fascino di Siena, per l’Eurolega, magari per il fatto di avere un allenatore che ti valorizza facendoti crescere come giocatore, e quanto ad ingaggio l’anno successivo..

Parliamo di Boscia Tanjevic, tuo mentore e tuo maestro. Cosa ha rappresentato, per te?

-Eh.. Tanto. Un maestro di vita, prima che di basket. Il caffè bevuto con Boscia, come lui lo intende, dice tutto. Quando nell’estate 1994- all’inizio della gestione di Bepi Stefanel a Milano- eravamo a Folgaria, ricordo che  marciavamo ogni giorno insieme. Boscia mi raccontava del conflitto jugoslavo e di tante altre cose. Era affascinante, stimolante, arricchente.  E descrisse i bosniaci come persone che amano bere un caffè, rimanendo in silenzio, come segno di perfetta intesa. Ecco, io e lui siamo arrivati a quel livello di intesa.

Il fatto che il Bosna Sarajavo sia sparito,  dopo che Boscia fece diventare quella squadra una leggenda, però è molto triste..

-Penso che i pezzi di storia e leggenda siano sempre belli, purtroppo oggi ci sono anche grandi aziende che scompaiono. Fa parte della nostra vita, di questa società. E sì, ovviamente è molto triste.

Ci sono tantissime cose straordinarie che Werther Pedrazzi ci ha raccontato di Boscia.. Ricordo che, quando il suo dottore gli diagnosticò una delle  malattie gravi che lo hanno colpito,  disse  sostanzialmente ‘Boscia, preparati all’idea di morire’. E lui rispose, sostanzialmente, ‘dottore, Boscia più forte. Anche della morte’..

-Mi sembra una frase di sfida, che forse non gli appartiene. Mi sarei aspettato qualcosa tipo ‘dottore, io vivo nella vita come nella  morte..’

C’è anche la volta, splendida, in cui Bepi Stefanel lo chiama nella notte- avendo saputo della malattia- e gli confida ‘Boscia, non ti ho mai detto quanto ti voglio bene’. E mette giù il telefono..

-Boscia.. Boscia ha una sensibilità straordinaria, e le persone sensibili di fronte a lui diventano splendide.

Torniamo alla gara 6 di finale tra Milano e Siena, che fu qualcosa di tragicamente epico..

-Ci sono tante modalità di ricordo: di primo acchito vorrei tornare a giocare, perché i primi 7-8 minuti potevamo  giocare meglio sotto il piano mentale.  Nel finale ricordo due o tre palle perse che ancora rimpiango, quando Milano era alle corde. E ovviamente il tiro di Janning, preso dopo tre passaggi, in modo perfetto: meritava di entrare, invece è uscito.

(Foto Savino Paolella 2014)

(Foto Savino Paolella 2014)

L’agente di Alessandro Gentile , Riccardo Sbezzi, ci ha narrato di quando Gentile scrisse a Proli, nella notte tra gara 5 e gara 6, ‘Presidente noi vinceremo a Siena, perdiamo solo se mi prendono l’anima’. Forse, questo rende ancora più leggendaria quella partita, e quella sera..

-E’ una cosa che non sapevo, ed è bellissima. Rendo onore a Gentile, che oltre a doti tecniche incredibili dimostra di far seguire alle parole i fatti, e che me lo fa amare ancora di più come giocatore.

Del resto il legame che ci fu tra Boscia e Nando Gentile non fu affatto casuale..

-Certo. Penso che Alessandro Gentile abbia un grande futuro

In Nba?

-Se lo vorrà. Bodiroga non volle mai andare in Nba, quindi dipenderà dalla volontà del giocatore.

Nell’ambito di un basket italiano malato, la finale 2014 ha fatto molto bene a tutto il movimento. Mettiti nei panni del dottore:come si guarisce il basket malato?

-Anzitutto convincendoci che non è malato, ossia che è figlio dei tempi che viviamo. La vita di ciascuno è diversa da quella di prima, lo stesso avviene nella pallacanestro. Faccio l’esempio della Lega tedesca, che sta crescendo enormemente ma senza giocatori necessariamente di grido: cresce perché tutti la vivono con passione. Il basket non può prescindere dalla vita, casomai cerchiamo di avere nuove idee, nuove prospettive. Senza mettere la polvere sotto il tappeto, per dirla all’italiana…

Capitolo italiani e stranieri:  Obradovic spariglia e  dice, alla Gazzetta, ‘deve giocare chi merita, chi si fa un mazzo tanto in palestra’. Sei d’accordo?

-Assolutamente sì. Le cosiddette ‘quote protette’ creano soltanto livelli salariali più alti per alcuni, e soprattutto non danno la  possibilità di migliorarsi e di competere.  Un’idea piccolissima: su 12 giocatori, scendendo nel concreto,  è chiaro che  nel campionato italiano debbano esserci degli italiani, diciamo 6, ma gli altri devono essere scelti con la massima libertà..

Per allenatori e presidenti, dice però qualcuno, è facile attingere al grande mercato ‘discount’ dei giocatori sottocosto..

-Su questo non sono del tutto d’accordo, e mi spiego. Hickman venne a Casale Monferrato, dalla Finlandia, per un contratto di 2.000 dollari al mese.. Oggi, al Maccabi, guadagna 1.300.000 euro a stagione. Quindi è questione di idee, poi oggi il basket non si identifica con lo scegliere un americano giusto a basso costo. No: si deve allenare,  lavorando  sul campo con ogni giocatore per migliorarsi, facendo sentire tutti partecipi e protagonisti di un progetto. E’ un discorso che riguarda tutti, allenatori,  dirigenti e società. Non basta mettere un giocatore nelle mani di un coach e dirgli ‘ok, adesso fallo giocare’.

Tu hai vissuto la stagione di Milano dei grandi dirigenti, delle personalità di elevato spessore. Si ravvisa o meno, oggi, la carenza di uomini di spessore, di uomini dall’elevata  qualità, di vertici  societari di alto profilo?

-Credo che i club sono guidati dai proprietari, i quali fanno le scelte. Se c’è un grandissimo general manager, occorre che qualcuno lo chiami. Ci sono i proprietari e le istituzioni. Ma qui torniamo alla questione di prima: fammi i nomi di grandi personalità del mondo politico e sociale…. Viviamo un  mondo che non si pone il problema della classe dirigente, un mondo nel quale prevale purtroppo l’ansia di perdere la prossima partita, senza porsi il problema della qualità di chi ci guida.

siena vs milano gara6 25 giu 2014 (21)

Cosa farà da grande Marco Crespi? Non nel senso di ‘quale squadra allenerà’, nel futuro prossimo..Quali sono i tuoi obiettivi,  in senso più ampio

-Sono una persona  che vuole crescere se stessa e aiutare a crescere chi gli sta attorno: giocatori, staff, gruppo. Ho scelto di fare l’allenatore perché sognavo un lavoro di gruppo per sognare, tutti insieme. Penso che l’obiettivo rimanga questo, in Italia o all’estero non cambia nulla..

E allora in bocca al lupo, coach..

-Grazie!

“Nella Via del Samurai […] basta essere pronti a morire. […] Un uomo coraggioso non pensa alla vittoria o alla sconfitta, ma va incontro alla morte furiosamente come un pazzo. In questo modo si risveglia dal sonno dell’illusione.”

 bushido