La recenti drammatiche scomparse del calciatore Piermario Morosini e della pallavolista Veronica Gomez ha riacceso i riflettori sulle morti improvvise in ambito sportivo, casi che si ripetono purtroppo durante questa ultima stagione. Per aiutarci a comprendere meglio i problemi legati alla diagnostica, alla cause ed all’impatto anche sul nostro basket abbiamo interpellato il Prof. Bruno Carù. Cardiologo di fama internazionale, sino allo scorso anno responsabile dello staff medico dell’Olimpia Milano, che ora collabora con il Policlinico di Monza e che ringraziamo per la cortesia e la proverbiale disponibilità.

Il Prof. Bruno Carù

DB: Prof. Carù oggi si parla sempre più spesso dopo questi casi dell’importanza della diagnostica, quanto può essere decisiva anche in un caso come quello di Morosini?

CARU‘: “La diagnostica certamente è un passo fondamentale per riuscire a stabilire con grandi efficacia i margini di intervento e verificare lo stato reale dell’apparato cardiovascolare. Non è però affatto semplice, anche attraverso una serie severa di esami, comprendere e trovare eventuali anomalie. Anche il caso di Morosini per esempio entra purtroppo in questa casistica, dalle prime analisi non sembrano esserci eventi compatibili con un infarto o con un’aneurisma. Ipotesi di infarto che tra l’altro già secondo le prime informazioni era probabilmente già da escludere. Nel basket ad esempio posso citare quello del povero Davide Ancillotto, fu vittima di una rottura di un grosso aneurisma cerebrale, evento impossibile da diagnosticare a meno di un esame come l’angiografia cerebrale. Dobbiamo sempre ricordare che molti eventi cardiovascolari, soprattutto quando si parla di aneurisma cerebrale, sono spessissimo asintomatici”.

DB: Quello che forse stupisce è il numero di fatti drammatici che colpiscono gli atleti, da sempre immaginati come i più controllati e quindi paradossalmente meno a rischio. Qual’è la situazione a suo parere nel nostro paese in ambito sportivo?

CARU‘: “Quando abbiamo analizzato il problema legato alla diagnostica non possiamo dimenticare alcune differenze ad esempio con i paesi anglosassoni su questa tema. A noi sembra scontato che un’atleta venga sottoposto ad una serie iper completa di esami di verifica dell’apparato cardiovascolare, non è sempre così ad esempio in Gran Bretagna in particolare ed anche negli Stati Uniti. In un convegno di qualche tempo fa proprio i colleghi inglesi mi facevano notare che, essendo i casi di eventi fatali tra gli sportivi sono rarissimi, fare una serie assolutamente completa di esami particolarmente approfonditi avrebbe un costo molto più alto in termini meramente economici. A questo proposito quanto è accaduto al calciatore del Bolton Muamba è emblematico: il suo disturbo congenito con alcuni esami accurati poteva essere facilmente trovato. E’ una scelta che potremmo definire di carattere etico che ci differenzia da loro, i medici inglesi sostengono che, in proporzione, per trovare un soggetto con un problema congenito dovrebbero effettuare circa centomila esami diagnostici, quindi un’incidenza eccessiva per i loro budget”.

DB: Proprio in Italia lei è stato testimone di un caso di diagnostica e prevenzione nel nostro quando riuscì a curare Ricky Morandotti una ventina di anni fa.

CARU‘: “Il caso di Ricky fu legato non ad una patologia congenita ma ad un evento diverso legato ad un infiammazione . Decidemmo immediatamente di fermarlo e di curare la sua infiammazione che provocava un’artimia potenzialmente pericolosa. Fu fondamentale anche la grande scrupolosità dell’atleta e della società che fece quella scelta di carattere etico e responsabile di cui abbiamo parlato poco fa e che permisero al ragazzo di guarire e di tornare sui campi di gioco. Tornando al mondo anglosassone è giusto ricordare che anche la NBA sta modificando il suo approccio in questo senso: anni fa i Celtics persero la loro prima scelta assoluta Len Bias (1986) e poi Reggie Lewis (1993) a causa di una malformazione cardiaca, tipica tra l’altro proprio tra i giocatori di colore. Quest’anno gli stessi Celtics hanno monitorato con grande efficacia sia Chris Wilcox che Jeff Green e li hanno sottoposti ad interventi risolutivi che, oltre a salvargli la vita, dovrebbero consentire loro anche di riprendere l’attività agonistica. Tornando all’Italia un caso molto famoso negli anni 70′ fu quello dell’azzurro Luciano Vendemini, allora il progresso medico e tecnologico non consentì di scoprire in anticipo la natura della sua malformazione cardiaca (detta di Marfan), ora tutto questo sarebbe stato possibile con esami assolutamente negli standard nei laboratori italiani che, ripeto, sono all’avanguardia nel mondo nello screening degli atleti. Nel basket in particolare è necessario sottolineare che i giovani che si sono sviluppati molto in altezza e con braccia lunghe possono rientrare più facilmente nella casistica della sindrome di Marfan. E per questo le analisi in tal senso sono sempre molto accurate per evitare ogni rischio”.

DB: Cura e diagnostica ma conta molto anche la tempestività dell’intervento in caso di pericolo assoluto, si parla spesso di dotare di un defibrillatore ogni impiano sportivo.

CARU’:” Il defibrillatore è sicuramente uno strumento di pronto intervento molto importante e diverse volte decisivo. Serve, come dice anche il nome, a bloccare la fibrillazione ventricolare, il in sostanza cuore smette di pompare, con lo strumento si cerca quindi di recuperare il ritmo cardiaco. Ma non sempre purtroppo si verifica una fibrillazione ventricolare, tornando ancora al caso di Morosini io ho parlato con il collega che l’ha assistito subito sul campo e mi ha confermato che non era un problema di asistolia, non c’era attività elettrica del cuore. Se non c’è questo tipo di problema il defibrillatore purtroppo non riesce ad essere utile. Per capire quindi le cause del suo decesso serviranno ulteriori indagini biochimiche e microscopiche, ma anche in questo caso non è detto che ci si possa arrivare con assoluta certezza, i dubbi potrebbero ancora restare”.