Appassionati di basket, bentornati al nostro appuntamento settimanale con le belle immagini. Dopo che nell’ultima rubrica abbiamo puntato gli obiettivi sulle tribune, oggi torniamo in campo, ad osservare con attenzione i segni e le indicazioni che i playmaker chiamano sul parquet.
I play chiamano gli schemi d’attacco e i movimenti particolari studiati dallo staff tecnico per quella specifica partita. Come vedremo più avanti, anche le difese vengono chiamate dal play, per adattarsi al tipo di attacco. Oggigiorno nel basket la capacità di reazione alle tattiche avversarie è una delle chiavi di successo. I repentini cambiamenti di difesa da “uomo” a “zona”, da zona 2-3 a 3-2, a 1-3-1 per arrivare alla “square +1” dove 4 giocatori sono a zona e uno è a uomo, impongono velocità di adattamento e idee chiare. Se poi pensiamo che la difesa può cambiare dopo 10 secondi o appena l’avversario supera la metà campo, possiamo immaginare quanto dettagliata e studiata possa essere la preparazione di un incontro in palestra durante i giorni che lo precedono.
Siamo certi che il buon Giachetti (EA7 Olimpia) non ha nulla contro Ricci (Banca Tercas) e le “corna” stanno solo ad indicare un gioco in attacco. I segni infatti sono scelti in base alla loro semplicità nell’indicarli e facilità nel vederli da parte dei compagni.
Ma Giachetti non è il solo:
Dopo le corna passiamo agli “attributi”: nelle prossime immagini Cook sembra controllare e indica che ne ha ben 3. Poi si rende conto che una è scivolata in tasca e ne sono rimaste due. Infine una sola, e sembra anche lontana…. Battute a parte, il momento della rimessa è spesso usato per indicare il gioco da attuare.
Non solo con le dita, si usano anche altri gesti:
Tutte le squadre provano e riprovano in allenamento movimenti veloci per le rimesse in attacco. Soprattutto quelle dal fondo possono liberare un giocatore per un facile tiro.
Mentre Perkins, play di Cantù chiama la difesa “2”, Cook dell’EA7 Olimpia indica ai suoi l’attacco “L”.
Il playmaker è un leader in campo e talvolta deve spiegare ai compagni come muoversi…
Altre volte il regista sembra essere vera estensione sul parquet del coach. Qui Scariolo sembra radiocomandare il suo playmaker, che ha l’apparenza di essere un automa…
Da sempre nel basket le grandi squadre hanno basato le proprie vittorie e le stagioni positive sull’asse playmaker-pivot. Quando il play fa giocare la squadra e il pivot imperversa e preoccupa le difese vicino a canestro, allora si aprono le opportunità per l’attacco. Il regista non è quasi mai un grande realizzatore, ma la sua visione di gioco, l’attuazione in campo di quello che chiede il coach e la capacità di gestire il gioco sono la chiave di volta di ogni vittoria.
Ci vediamo la prossima settimana, in piene semifinali play-off, per un altro articolo dove la fotografia sarà protagonista.
Buona luce a tutti i fotografi!
Testo di Savino Paolella - Foto di Savino Paolella e Roberto Caruso © 2012