Ferdinando Minucci (foto S. Paolella)

Ferdinando Minucci (foto S. Paolella)

8 maggio 2014, potrebbe essere il primo giorno dell’anno zero. Le immagini di Ferdinando Minucci che entra in caserma a Siena con il giubbotto a coprire i polsi resteranno impresse nel tempo, nella memoria di chi ha un minimo di sensibilità, aldilà di ogni giudizio, opinione o retorica. Questa, infatti, è la vicenda umana che non può non colpire, non suscitare sgomento. Sono immagini che però, al netto di ogni emozione, devono anche far pensare e chissà se qualcuno si è chiesto: si doveva arrivare a tanto? Ed è una domanda che non riguarda né le manette né gli arresti domiciliari, che fanno solo parte del normale decorso di un’inchiesta giudiziaria. La domanda riguarda il mondo del basket: si doveva arrivare a tanto? La degenerazione di un movimento che fino a un decennio fa poteva, a ragione, vantarsi di essere diverso da altri sport, di essere più pulito, innovatore, proiettato verso il futuro e verso nuove generazioni, doveva arrivare a questo punto per accorgersi che la strada intrapresa era la peggiore possibile?

La vicenda di Ferdinando Minucci non può essere certo considerata un episodio isolato: se così fosse non sarebbe stato scelto con decisione quasi unanime come uomo guida della Legabasket, in un momento in cui la stessa Lega aveva annunciato di volersi rinnovare e rinsaldare; se così fosse l’ex DS senese non sarebbe statto l’uomo-ombra che, di fatto, ha determinato per un decennio le scelte di tutto un movimento. E chissà se, dopo essere precipitati in fondo ad un drammatico precipizio, si comincerà davvero tutti a costruire qualcosa, dirigenti di società e di istituzioni, allenatori, giocatori e agenti, giornalisti-lacchè non sempre liberi di pensiero. Ora resta un’unica strada: ripartire da sottozero con pazienza e realismo, senza fare passi troppo lunghi e senza pensare che il successo singolo sia l’unico obiettivo, da raggiungere ad ogni costo. Speriamo davvero che questa scioccante vicenda possa in qualche modo servire a qualcosa. La domanda iniziale però resta: si doveva arrivare a tanto? Speriamo che qualcuno, in questi giorni, se lo stia chiedendo.

GERI DE ROSA