Dailybasket incontra il tecnico di Cantucky alla vigilia della sfida di Eurocup contro Kazan. Un bilancio della stagione, il passato, le prospettive..Nelle parole dell’allenatore più canturino che esista. 

Di Fabrizio Provera

CUCCIAGO  (Como) – “Da quando il vostro Garibaldi ha posto piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza consultarci perché adesso si possa chiedere a un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento […] ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio”  (Il Gattopardo)

 Brutta cosa, la modernità. Le insegne e i vessilli del  vecchio Pianella, stanco, malato, prostrato, arrugginito, testimoniano una grandezza eterna. Ma che, secondo alcuni, soltanto fu. E invece è ancora. Ma son cose che sfuggono, a un presente che si fonda appunto sul presentismo, incapace di domandarsi chi era, essenziale per capire chi siamo.

Il Pianella buio e silenzioso

Il Pianella buio e silenzioso

Ci pensiamo a lungo mentre, in un  Pianella buio e silenzioso di sabato mattina,  stiamo per incontrare Pino Sacripanti. Un’intervista che entra, e parla, nella ‘carne viva’ di questo allenatore che bazzica il Pianella sin da quando era un bambino. Nessuno, o pochi altri, conoscono meglio gli anfratti (e i cigolii, e i refoli di vento) di questo palazzo vistosamente inadeguato, eppure così affascinante. Basta camminare lungo la linea di fondo del parquet, del resto, e fermarsi un attimo: sentirete, di sottofondo, le scarpe che cigolano. Le urla di Kreso Cosic, aristocratiche. Le frustate di Praja Dalipagic, i colpi dell’epico scontro tra Kent Benson e Vlade Divac, i funambolici slalom di Marzorati, le frustate di Nembo Kid Riva e le retine bruciate. E poi, anche, le sessioni video estenuanti che Pino Sacripanti ha inflitto a se stesso. Le notti passate qui,  in silenzio, a studiare e a pensare. Perché la pallacanestro, da queste parti, non è una passione né una professione. Casomai, una vocazione. Un richiamo ancestrale. Una cosa che si rigenera giorno dopo giorno, come il miracolo dei lieviti migliori.

Se del resto esiste, sul pianeta basket, una persona capace di smentire l’eterno adagio del ‘Nemo propheta in patria’, quella persona è Stefano ‘Pino’ Sacripanti. Classe 1970, balzato  sulla panchina della sua città (e della sua prima società) a 30 anni, per intuizione di Francesco Corrado, Sacripanti è diventato uno dei più lucidi conoscitori e ‘decrittatori’ del gioco. Una passione irrefrenabile messa al servizio anche della Nazionale Under 20, che sotto la guida di Pino ha ottenuto l’oro agli Europei 2014. Un tecnico che monsù Virginio Bernardi, procuratore di allenatore e prima ancora conoscitore di uomini, nonché agente di Sacripanti stesso, ha ribattezzato affettuosamente ‘pretone’, in ossequio all’epopea di Aldo Allievi e all’elegante sfottò giornalistico coniato da un fuoriclasse come Oscar Eleni.

Stefano Sacripanti (Foto R.Caruso 2014)

Stefano Sacripanti (Foto R.Caruso 2014)

Parliamo della stagione canturina nella sala stampa del palasport Pianella, dove il coach dell’Acqua Vitasnella è tutt’uno coi muri. Muri dove sono appese le foto di Pierluigi Marzorati, di Antonello Riva, dell’epopea di Aldo Allievi.

Sono silenziose anche le gioie, e le sofferenze, di Pino Sacripanti.Specie in un anno da vietare ai tachicardici, tra vette da montagne russe e fragorose cadute. E la caducità del tempo, quel dannato tempo in cui nessuno vuole più aspettare. E dove tutti vogliono tutto. Subito.

“Cosa ho provato nel momento più difficile della stagione? La squadra è molto nuova e molto giovane, il lavoro fatto sta ripagando. La mia forza è sempre stata quella di crederci. Tante persone mi hanno sostenuto e supportato, nei momenti più bui. La sera si passava sempre qui. Forse le difficoltà erano più all’esterno della società, che all’interno. Anna Cremascoli e i soci mi sono stati molto vicini, hanno colto la delicatezza del frangente. E alla fine, dopo riduzione economica e svolte radicali, una vittoria in più nel girone d’andata e avremmo parlato di ben altra stagione. Cantù del resto è una piazza che si aspetta tanto, ma che si riaccende con poco. A  sberle non ci ha preso nessuno: stiamo lavorando sulla culturizzazione dei singoli e del collettivo, i margini di crescita ci sono”.

Lo sguardo è battagliero, negli occhi di Sacripanti, forse solo un po’  rammaricato  per le chiacchiere su una presunta (e mai avvenuta) incrinatura del rapporto con la società.  “Siamo cresciuti gradualmente, so benissimo che nel basket di oggi si pretende che il risultato arrivi immediato. Eppure ero certo che avremmo svoltato in meglio la stagione. E infatti oggi, dopo aver ottenuto gli ottavi di Eurocup ed essere rientrati appieno  in zona playoff, alla semina sta finalmente seguendo la raccolta. Tutto questo avviene in un contesto difficile, con una carenza di impianti e spesso di idee”.

Stefano Sacripanti 1(Foto R.Caruso 2015)

Stefano Sacripanti 1(Foto R.Caruso 2015)

Qual è, secondo Sacripanti, la svolta più urgente di altre? “Senza dubbio l’investimento sui vivai giovanili. Se producessimo decine di giocatori ogni anno, la serie A cambierebbe radicalmente e il pubblico si affezionerebbe maggiormente. Certo, resto un allenatore tendenzialmente molto aziendalista e aggiungo che stiamo giocando una stagione in cui a Cantù serve grande maturità”.

Ma ti saresti aspettato, ad agosto, una serie di alti e bassi così evidenti?

No, sinceramente no. Il 70% del roster rinnovato, uno Stefano Gentile in affanno agli inizi, dopo non essersi mai fermato in estate..

 Penso che per lui sia stata una sofferenza, non poter essere all’altezza delle attese tue e della squadra..

“Sicuro. Stefano sa essere uomo squadra come pochissimi  altri Openjobmetis Varese - Acqua Vitasnella Cantùsanno essere. Sicuro come io, in questo momento, abbia una fame pazzesca. Di crescere, di lottare. Non vedo nessuno che dice ‘non vedo l’ora che finisca la stagione’. Pensiamo anche a  Darius Johnson Odom, che ha un carattere del tutto particolare ed ha dovuto cambiare ruolo.

 E come vedi, tu che sei un tecnico certamente non scisso dal contesto canturino e societario, quanto avviene a Cantù, intendo lontano dal parquet?

Guarda, io sono una persona molto aziendalista. A questa società penso di aver dato tantissimo, come quando accettati di allenare a 30 anni mentre la mia squadra, quello che amo e adoro, rischiava di retrocedere. Fu una scelta coraggiosa di Francesco Corrado, che non smetterò mai di ringraziare, ma di una estrema difficoltà. Questo è un anno nel quale serve grande maturità. La proprietà stessa lo sapeva, ed ha saputo agire di conseguenza. Dimostrando un grande equilibrio.

Ma l’Acqua Vitasnella è una formazione in grado di crescere, di migliorare?

“Ci sono dei margini di crescita a livello individuale, quindi anche di squadra. Se mi vedo tra qualche mese, vorrei potermi giocare- l’ho già accennato prima- un quarto di playoff senza arrivare all’ottavo e ultimo posto utile in regular season.

 Facciamo un passo indietro, Pino: sono passati molti mesi, ma come diamine è avvenuta l’uscita ai quarti contro Roma in quel modo?

Senza dubbio. E’ successo che non ci è andato bene niente, che tutti gli episodi ci si sono rivoltati contro”.

 E poi? Intendiamo adesso..

“Adesso siamo sempre qui, io avrei potuto fare altre scelte professionali, ma ho scelto con forza di esserci, di ritornare a Cantù.E sia chiaro, da parte mia c’è tutta l’intenzione di scrivere nuove pagine di leggenda. Lo meritano questi colori, lo merita questa società. Spero di fare il meglio possibile di Cantù, sino alla fine. E’ tuttavia altrettanto chiaro che vengo dopo Andrea Trinchieri, il quale ha fatto non bene, ma benissimo. Io  invece sono arrivato in una fase di ridimensionamento, prendendomi una grossa responsabilità. Io credo che Cantù sia quella che dà segnali di fiducia, che ci crede nonostante i venti di tempesta. Credo che Cantù sia quella che sta lavorando molto bene sui vivai giovanili, e se avessimo una progettualità di sei o sette anni forse costruiremmo ancora qualcosa di eccezionale. La corporatura fisica dei ragazzi di oggi è incredibile: se abbini al reclutamento il lavoro tecnico, puoi ottenere risultati insperati”

Il Pianella nel buio (Foto C.Perotti)

Il Pianella, sempre nel buio (Foto C.Perotti)

 Hai ancora voglia, di scrivere pagine leggendarie..

“Senza dubbio. E’ un desiderio che vorrei trasferire alla squadra, e che poi possiamo propagare alla tifoseria”.

Finisce l’intervista. Ripassiamo dal buio e dal silenzio che avvolge il Pianella. E il parquet. Ma adesso, seduto in prima fila del parterre, posto centrale, braccia conserte, cappotto blu del dì di festa e occhialoni, vediamo Aldo Allievi. Pronto all’ottavo di finale contro i neo plutocrati del Kazan, che manco esistevano quando Allievi cominciò a scrivere pagine di leggenda del cesto.

“Buongiorno sciur Aldo. Ci vediamo domani sera, vero?”

“Ma certo, nan. Mi sum sempar chi. Sum mai andai via”

Il sciur Aldo

Il sciur Aldo

E sapete, perché? Perché “…nessuna forza positiva della storia si profila come alternativa   all’epos della decadenza ,cantato    con struggente nostalgia”

Intanto, Pino Sacripanti esce anch’egli e sale in macchina. Nevischia, sul piazzale. Lui guarda il cielo, poi si gira verso l’entrata. E risente le voci della grandezza di un tempo. Che è sempre la stessa. Quella di oggi.

 

 

 

 

PS Intanto, ripassate la storia di Pace Mannion: cliccate qui