Stonerook, ai tempi della Oregon Scientific

Alla fine Shaun Stonerook, il guerriero riccioluto dell’Ohio, si è ritirato. Amatissimo dai suoi allenatori e dai suo compagni, adorato dai propri tifosi ed anche odiato, ma temuto, da quelli avversari per il suo gioco duro, spesso al limite, ma da vero vincente. Uno che non si è mai tirato indietro per la propria squadra ma anche un giocatore capace di illuminare il gioco con doti di passaggio non comuni ad un giocatore del suo ruolo e con la sinistra tendenza a non sbagliare la tripla decisiva. L’unico giocatore capace in Italia di condizionare un risultato segnando magari solo 7-8 punti, il guerriero ha detto basta, torna nell’Ohio con la sua fidanzata canturina in attesa del suo primo erede.

Abbiamo sentito, per onorarlo, coloro che lo portarono in Italia a Cantù e ne fecero il giocatore che poi a Siena ha segnato un’epoca del basket italiano: Bruno Arrigoni e Pino Sacripanti.

Il Primo Contatto

Arrigoni: “Non andai a Portsmouth dove Stonerook fece bene tanto che l’Anversa lo inchiostrò con un biennale ma ero al Desert Classic di Phoenix dove notai Jerrod Stephens, Bootsie Thornton e Matt Santangelo, tutti giocatori che portai poi a Cantù. Poi l’estate seguente Giovanni Bozzi che allenava lo Charleroi ci invitò in Belgio per un Tour e giocando contro l’Anversa lo notai perché mi colpì col suo basket essenziale, come il famoso libro di Dan Peterson, unito ad un atletismo furibondo, convinsi Pino e lo prendemmo pagando un buy out ma solo metà perché lo stesso Shaun pagò l’altra metà pur di venire in Italia.”

Sacripanti: ”Quando andai a prenderlo in aeroporto quasi svenni perché in Belgio aveva i capelli corti e si presentò un capellone che non riconoscevo, ci fu del sarcasmo all’inizio perché non segnava mai ma divenne presto l’idolo dei compagni con la sua attitudine e subito dopo dei tifosi”.

I suoi miglioramenti

Arrigoni: “Era un giocatore concreto, solido. Al suo secondo anno a Cantù coniai per lui il termine Point Forward ed avevo ragione, era il vero fulcro del gioco.”

Sacripanti: “Feci una battaglia per convincerlo a lavorare sul tiro da tre perché lui voleva solo difendere e fare i blocchi ma più lo costringevo a tirare e più capivo, con quella sua meccanica di tiro che alzava poco il braccio, che era più adatto a tirare da tre che dalla media, questa intuizione fu una svolta per la sua carriera.”

La persona

Pino Sacripanti

Arrigoni: “Un ragazzo schivo ma sempre disponibile, per nulla attaccato ai soldi. Quando gli parlavo di contratti non mostrava troppo interesse!

Sacripanti: “Un mattacchione che bloccava gli aerei imitando il verso dei gatti ma anche un grande uomo, uno che dava e voleva giustizia senza scorciatoie facili e senza paura di nulla. Ricordo che a Livorno giocò una partita importantissima con una caviglia gonfia come un melone e solo sul +30 accettò di uscire dal campo. Il sogno di ogni allenatore.”

Shaun e Cantù sino al passaggio a Siena

Arrigoni: “Fu un buon affare per noi, Siena ci pagò un buon buy out perché aveva pendente il passaporto italiano e lui andò in una realtà più importante.

Sacripanti: “Era visceralmente attaccato a Cantù e rifiutò un contratto, con aumento del 40% rispetto a quello che percepiva da noi, con Pesaro perché voleva restare in Brianza e voleva vincere qualcosa con noi. Non dimenticherò mai quando mi chiamò dagli States in lacrime, il presidente Corrado in accordo con Minucci lo aveva venduto per ragioni di bilancio praticamente contro il suo volere, mi disse che avrebbe guadagnato molto di più ma che non avrebbe mai dimenticato Cantù e quello che avevo fatto per lui, mi considerava importante quanto il suo coach al college (giocò ad Ohio ndr.)”

Fine prima parte.

Venerdì: “Gli anni senesi”