Sergio Tavčar

[…] Attualità con le prime partite dei playoff del nostro campionato. No Mercy (bentornato! Dov’eri?) mi chiede qualche commento sulla serie fra Brindisi e Trieste. Dico subito che non ho visto gara due (per fortuna, pare), ma quanto ho visto di gara uno mi basta e avanza. Dico subito che dopo i primi promettenti minuti, quando è cominciato quello che il massimo poeta sloveno definirebbe “non una battaglia, ma un vile macello” ho girato canale più volte non riuscendo proprio a sopportare lo strazio. In questi casi uno spera che sia lui a portare la sfiga, per cui si illude che cambiando canale per qualche minuto poi, quando ritorna, i suoi magari si siano rimessi in piedi e siano ritornati in partita. Non era il caso stavolta e sembra che non lo sia stato neanche nella seconda partita. Secondo me la ragione per cui si è svolto questo massacro è abbastanza semplice: Brindisi, come ho già avuto modo di dire quando vinse a Milano (venendo anche un po’ deriso perché per i milanesi, quando loro perdono, è solo perché loro non si sono impegnati abbastanza – classica boria da capoluogo, ed ecco perché faccio il tifo contro le squadre delle metropoli a prescindere, proprio perché non sopporto la puzza sotto il naso nei commenti, sia dei tifosi che della stampa), mi sembra una squadra molto forte, strutturata in modo eccellente con i giocatori giusti al posto giusto, allenata molto bene con le gerarchie giuste e la divisione dei compiti che si vede chiaramente, che può magari perdere qualche partita incappando in una giornata storta dei giocatori chiave, ma che ha proprio l’ossatura e l’impianto per fare bene nelle serie a più partite. Farò anche ridere, ma mi sembra che, se non si montano la testa pensando di volare alla Icaro, abbiano concrete possibilità di fare il colpaccio, soprattutto se Milano, che, dopo averla vista tante volte ne sono sempre più convinto, è una squadra fondata sul valore dei singoli senza un preciso impianto di gioco, lo dico e lo ripeto contro tutto e tutti per l’ennesima volta, dovesse essere un po’ sulle ginocchia dal punto di vista mentale a causa del doppio impegno. Di contro di Trieste ho visto con raccapriccio il solito Doyle, giocatore a cui qualcuno dovrebbe finalmente spiegare quali sono gli obiettivi strategici e tattici che uno dovrebbe perseguire in una partita di basket, perché a questo livello proprio non ci azzecca una, ho visto che nessuno faceva mai canestro, ma questo può succedere, quello che non deve mai succedere è però essere totalmente assenti ai rimbalzi in difesa. Soprattutto il nostro lettone, di cui dovrei capire le doti, perché in attacco segna raramente (con quella meccanica di tiro, inusuale e inaudita per un baltico, non è un caso) e in difesa sembra, anzi è, o per meglio dire lo è stato giovedì, che si trovi sempre dove non è di nessun aiuto. Quando parte un tiro avversario uno può fare due cose: o andare a rimbalzo o fare un tagliafuori. Rimanere lì a vedere cosa succede no. Se fosse stato un mio giocatore lo avrei assalito fisicamente e mi sarei preso anni di squalifica. Ma non è stato solo lui ad essere inguardabile a rimbalzo difensivo. Dormivano tutti e Brindisi poteva scorrazzare a suo piacimento. Penoso. Proprio perché questo è un segmento del gioco che prescinde da qualsiasi analisi tecnico-tattica. E’ una cosa che si deve fare per forza quando si scende in campo. Se no si rimane a casa.

Delle altre partite che ho visto la cosa che più mi ha colpito è stato come, sia in Venezia-Sassari che in Virtus-Treviso, non ci sia stato nessuno che sia riuscito a giocare in modo umano gli ultimi minuti della partita. Ho visto puttanate inverosimili in situazioni nelle quali bastava un po’ di calma e di raziocinio per portare a casa la partita senza patemi di alcun tipo. Sassari è stata clamorosa nel finale con tutti i tiri che se li prendeva il loro lituano, che ieri non avrebbe centrato neanche una piscina, mentre sembrava solo normale che tutto il gioco dovesse essere finalizzato a far sì che potessero tirare Krušlin o Katić, gli unici che sembravano avere la testa sulle spalle. In questo mi ha meravigliato il marasma nel quale sono piombati sia Spissu che Gentile che pure sono giocatori che apprezzo tantissimo. Che poi Venezia abbia difeso benissimo è sicuramente un suo merito, ma come sapete sono sempre stato e sempre sarò dell’opinione che, per quanto una difesa possa essere forte, se l’attacco è altrettanto forte, prevale sempre l’attacco. L’attacco sono i bianchi degli scacchi che hanno sempre una mossa di anticipo sui neri, it is as simple as that.

Marco Belinelli (foto Pasquale Cotugno)

Mi preoccupa anche la Virtus. Rimango sempre in attesa che mi vengano sciorinate e dimostrate le doti di Pajola che, mi assicurate, è molto forte, ma io vedo sempre uno che in attacco passa la palla sempre e solo esclusivamente a quello più vicino e quando prende una qualche iniziativa fa come ieri nel finale, quando dopo una serie di piroette senza senso scaglia da un metro un tiro che non prende neanche il ferro, e in difesa, dove è sicuro molto meglio, fa anche cose come ieri nel finale, quando ha fatto due falli imbecilli, soprattutto il secondo su Sokolovsky che poteva costare molto caro. Però mi dite che è forte e mi tocca credervi, perché se no è meglio che non mi presenti neanche a Bologna rischiando il linciaggio da parte di tifosi inferociti. In più rimane il mistero Belinelli e la cosa paradossale è che l’unico a capire il problema sembra essere lo stesso Belinelli, non certamente il telecronista dal cognome polacco che non ricordo mai come si chiami, non avendolo ancora conosciuto di persona. Belinelli dapprima segna una tripla che in condizioni normali di mente sgombra avrebbe dovuto chiudere la partita e lo fa facendo quello che dovrebbe fare sempre: esce da un blocco, riceve e tira. L’ha sempre fatto benissimo e, se si limitasse a fare solo quello, un po’ quello che faceva Antonello Riva (ma lui aveva accanto a sé Marzorati!), sarebbe un giocatore devastante. La stampa compiacente della sedicente Basket City lo ha incensato talmente quando era piccolo che si è montato la testa e si è convinto di essere un giocatore che sa costruirsi da solo un buon tiro. E invece non l’ha mai saputo fare e lo ha dimostrato ieri proprio nell’azione dopo quando, dopo un vagabondaggio senza senso per il campo, ha sferrato un tiro obbrobrioso. Il bello è che a rendersene conto è stato lui stesso ricordandolo al cronista che lo intervistava dopo la partita, cronista che della immane cavolata, come l’ha definita lo stesso Belinelli, non se ne era neanche accorto, o l’aveva sorvolata di proposito per non rovinare il suo panegirico. Non è così, secondo me, che si fa il bene del basket. Il basket italiano avrebbe dovuto avere molto di più da un talento come Belinelli se tutti, i suoi tecnici, la stampa e tifosi, l’avessero indirizzato sulla via giusta quando era ancora un bambino e invece l’hanno un po’ rovinato, cosa fatta pari pari qualche anno dopo con un altro talento, Ale Gentile che, se avesse capito, o qualcuno gli avesse fatto capire a calci nel sedere, cosa sapeva fare e cosa invece no e avesse magnificato le sue qualità e nascosto i suoi difetti, avrebbe potuto avere tutta un’altra carriera.