Che la Dinamo sia una realtà fuori dal comune lo si sapeva: una piccola città, una gestione quasi familiare ed un gruppo diventato grande con il passare delle stagioni, consolidandosi e crescendo insieme. Nel passare una mattinata con loro si ha il privilegio e la possibilità di toccare con mano quanto straordinaria e atipica sia la sua organizzazione e -probabilmente- il suo vero segreto.

La mattinata inizia in Club House: alle 10 c’è la presentazione di Benjamin Eze, ultimo arrivato. A fare da padrone di casa il Direttore Sportivo Federico Pasquini che ci tiene ad esordire con una precisazione. “Voglio raccontarvi una cosa: l’agente di Eze è italiano e sapevamo che spesso alcune trattative erano iniziate ma saltate subito. Mi sono chiesto il perchè ed ho voluto parlato con lui. Gli ho spiegato il progetto Dinamo e dopo pochi minuti l’accordo era fatto, mancavano solo i dettagli. Questo per farvi capire cosa la Dinamo è diventata e come il progetto appassioni ed attiri i giocatori”. Il colosso nigeriano naturalizzato italiano spiega nel suo impeccabile italiano le motivazioni che lo hanno portato sull’isola. “Perchè Sassari? Sono davvero contento di essere qui. Penso di poter dare una mano e mettermi al servizio della squadra, avrò bisogno di qualche giorno per ritornare al meglio della condizione. Non vedo l’ora di giocare con Travis Diener e Marques Green, sono davvero curioso; anche con Vanuzzo, ci conosciamo da tanti anni ma non abbiamo mai giocato insieme”.

La mattinata prosegue con l’allenamento in via Venezia, al termine del quale incontriamo il presidente Stefano Sardara, disponibile come sempre a scambiare due battute. L’esperienza Coppa Italia sembra avergli dato una luce diversa negli occhi: è sempre lo stesso, sorridente e ironico, ma negli occhi gli brilla qualcosa di diverso. La luce di chi, dopo tanta fatica, inizia a raccogliere i frutti migliori. “Prima della finale sentivamo un’atmosfera particolare intorno a noi, come se potesse essere possibile davvero vincere questa Coppa. La settimana prima della Final Eight ce le siamo date di santa ragione, per necessità, sapevamo di dover invertire il trend. Abbiamo fatto una doccia fredda quando abbiamo saputo che non avremmo recuperato Drew per la partita contro Milano. Il primo quarto contro i padroni di casa poi ha suonato la sveglia: loro si son convinti di averla già vinta mentre noi abbiamo tirato fuori l’orgoglio”. Il presidente ammette “stiamo realizzando solo ora di aver vinto la Coppa e del significato che ha. Ci abbiamo creduto a venti secondi dalla fine della finale: funziona così se vuoi portare a casa il risultato, devi lavorare duro fino all’ultimo”. Portare per la prima volta la Coppa nell’isola ha un sapore speciale per la compagine sarda “e soprattutto per Meo” aggiunge Sardara “credo sia stata una grande soddisfazione sia a livello sportivo che personale per lui”. La gioia più grande è “aver portato a casa la vittoria restando fedele al nostro credo cestistico. Quel sistema di gioco tanto discusso alla fine ha dimostrato di ripagare gli sforzi, dell’essere andati controcorrente ed essere stati coerenti”. Le immagini che hanno invaso il web della premiazione della Coppa Italia hanno ricordato, a chi già c’era, quelle della storica promozione in serie A del 13 giugno 2010: una maglia celebrativa a dimostrare che -in fondo- qualcuno ci credeva già da prima. Una sola semplice scritta “La storia. Dinamo Campioni”. “Già l’anno della promozione nella massima serie (durante la presidenza dei Mele in cui Sardara era un dirigente della società, ndr) fui io ad insistere per mettere in fresco la cassa di champagne. Questa volta abbiamo deciso di fare le magliette perchè ci credevamo.. ma attenzione, mica le abbiamo portate con noi in panchina!”. Dopo il capitombolo in Turchia contro Ankara, “normale dopo un’impresa come quella compiuta”, il rientro di Vanuzzo e soci è stato accolto da un letterale bagno di folla. I tifosi sassaresi hanno infatti atteso il rientro a casa dei loro idoli e del trofeo giovedi sera in quella che potremmo chiamare l’Area Dinamo: un triangolo della palla a spicchi che ha come vertici la Club House, lo Store Dinamo ed il PalaSerradimigni. “Il bagno di folla che ci hanno riservato i nostri tifosi è stata l’emozione più grande, da pelle d’oca” racconta il presidente “abbiamo preso consapevolezza di quello che abbiamo fatto. Ancora una volta abbiamo toccato con mano il calore, la passione, della nostra piazza che è la nostra linfa vitale. Ho visto giocatori scafati, con curriculum di tutto rispetto e palmares importanti, rimanere a bocca aperta ed immortalare con lo smartphone questo momento straordinario. La Dinamo è questo e vive di questo”.

L’orologio segna le dodici: il presidente Sardara ha un impegno importantissimo con i suoi ragazzi e ci propone di accompagnarlo. Accettiamo con piacere e finiamo in mezzo ad una faida tra i cugini Diener e il Presidente: TD12 (si, l’MVP della Final 8) vuole fare un bel gavettone a Sardara che, dal canto suo, non si scompone e ci usa come scudo.

L’intera squadra deve fare visita al gran completo e armata di Coppa (custodita gelosamente dal DS Pasquini in un’improbabile scatola di un noto aperitivo) alla sua tifosa numero uno. Susanna Campus è un nome che a metà Italia non dirà nulla, ma in Sardegna è un’istituzione. Si tratta di una sassarese, grandissima appassionata di sport e di Dinamo e malata di SLA da diciassette anni. Susanna è nota per la sua caparbietà tutta isolana e, dopo la brutta batosta incassata quando a trentacinque anni le hanno diagnosticato la malattia, ha deciso di dichiararle guerra. Come? Sovvertendo le regole ed il sistema, rendendole il decorso difficile e ponendosi, giorno dopo giorno, sempre nuove piccole mete. Grazie all’amorevole assistenza della sorella Immacolata, dello staff medico e soprattutto alla grande pazienza del primario di rianimazione, il Dottor Vidili, Susanna cerca di condurre la vita di una qualsiasi tifosa. E’ infatti afficionada spettatrice del PalaSerradimigni, grazie alla collaborazione tra lo staff del reparto di rianimazione e quello della Dinamo e fan numero uno del capitano Manuel Vanuzzo, la cui gigantografia domina sulla parete della sua camera. Susanna non può parlare ma, grazie alla tecnologia, scrive con gli occhi e comunica grazie ad un sintetizzatore vocale. L’amicizia con Stefano Sardara ha radici lontane e, da quando è diventata la spettatrice numero uno e portafortuna della squadra, il legame si è fatto sempre più profondo. “E’ la mia critica preferita” premette Sardara “le avevo promesso che le avrei portato a casa la Coppa in caso di vittoria. Susanna da a tutti noi una grande lezione di vita e noi dovremo fare nostro il suo entusiasmo e la sua forza d’animo. Porta avanti una battaglia tosta e noi dovremo essere altrettanto caparbi e tenaci nell’affrontare le nostre sfide sportive”.

Meo Sacchetti con Susanna Campus e la Coppa (Foto Vanni Azzu)

Meo Sacchetti con Susanna Campus e la Coppa (Foto Vanni Azzu)

Promessa mantenuta: Susanna osserva con emozione l’ingresso dei giganti biancoblù e lo sguardo le si illumina all’arrivo del Capitano. Il tempo di rompere il ghiaccio e nella stanza risuonano le parole che Susanna ha preparato per i ragazzi, di elogio ed incoraggiamento ma anche di critica per quegli alti e bassi che ne hanno condizionato alcuni tratti della stagione finora. Prende in giro il coach (“Meo lo devi dire più spesso a tuo figlio che è bravo, lo merita”) e ne ha per tutti: “ Siete i miei ragazzi, le mie simpatiche canaglie e mi state regalando un sogno”. Si brinda al successo della Dinamo e al futuro mentre le ultime parole spettano al Gigante di Altamura, visibilmente emozionato. “Mi intervistavano da una radio di Roma e gli ho spiegato che ero qui con te, raccontavo di quanto sei forte e della forza che riesci ad infondere a chi ti sta accanto”. Il tempo delle foto di rito e la stanza si svuota perché – non dimentichiamolo- l’indomani i ragazzi hanno una partita importante.

La Dinamo con Susanna Campus (foto di Vanni Azzu)

La Dinamo con Susanna Campus (foto di Vanni Azzu)

A chi si domanda quale sia il segreto Dinamo e dove si nasconda l’elisir della forza biancoblù rispondiamo senza indugi. L’essere gruppo sempre e comunque, dentro e fuori dal campo è la vera chiave: l’avere al vertice uno staff che lavora in piena sinergia e gode di totale fiducia completa il quadro. Perchè che si vada ad allenarsi o a trovare una tifosa, che si faccia il terzo tempo in Club House o una semplice visita alle istituzioni i sorrisi, le facce e i gesti esprimono serenità e armonia. Come in una famiglia che raggiunge il suo equilibrio, consapevole di avere tanti anni da passare insieme e intende pianificare il futuro al meglio.