Del perché, un giorno, fummo colpiti dalla  più mirabolante raccolta di storie attorno al cesto che ci sia capitato di leggere negli ultimi anni

 

“Nulla di meglio al mondo dei selvaggi, dei contadini, della gente di provincia: quando giungono dal pensiero al fatto, ci si trova di fronte a cose compiute” (Honoré de Balzac)

Sugar Ray, ma chi cazzo sei? E allora,sulla tavola imbandita di memorabilia da romantici old timers, noi caliamo la carta di Balzac. Sulla tavola dei ricordi, delle giranbole, dei calembour, dei rimpianti per un  basket (e un Uomo) che non c’è più, ma che una mattina abbiamo ritrovato- intatti, puri, immacolati, adamantini nella loro  foggia plebea- in ‘Vale tutto. Le storie segrete della pallacanestro italiana’ (edito per i tipi di Italica edizioni,  ‘maison’ letteraria molto intrigante, dietro il cui indubbio talento ci sono, e non è un caso, Enrico Brizzi, Samuele Zamuner e un nutrito staff), lo straordinario, fantastico, sfolgorante dono di Natale che Lorenzo Sani, talento scrittorio classe 1958, cresciuto e ‘pasciuto’ dalla grassa munificenza di Basket City, ossia Bologna, ha fatto a un  mondo del basket asfittico e privo di fantasia.

Mentre difatti ci si trastulla in discussioni che rassomigliano sempre di più alle sessioni  ‘rieducatrici’ da Grande Fratello orwelliano, mentre ci si fa le pippe (solo mentali, almeno fossero vere…) coi regolamenti, i diritti tivù, la visibilità che non c’è, i soldi che manco l’ombra, abbiamo tutti perso di vista,  nonostante gli ammonimenti di Werther Pedrazzi, le prefiche di Eleni, gli strali balcanici di Tavcar, che il problema è sempre quello: l’Uomo. Non si esce dalla crisi, che da tutto quello che c’è attorno al basket tracima verso il basket, se non si riparte da lì. Dall’Uomo e dalla capacità di narrazione, come ammonisce da tempo il Vate Bianchini, il cui richiamo echeggia da ogni pagina di Vale tutto, che è soprattutto un compendio di uomini e di storie legate al cesto e al parquet, ma che da lì si dipanano in mille rivoli. Esistenziali, eroici, tragici, disperanti e disperati. Perché, lo dice giustamente Mario Boni nella prefazione, “la serenità che ti deriva dalla consapevolezza di poter fallire l’appuntamento, in definitiva quindi di accettare la sconfitta, è fondamentale per andare a vincere”.

Ma adesso vediamo, in dettaglio, di cosa parla Vale tutto. Soprattutto di CHI parla.

Sugar Ray in maglia Virtus

Sugar Ray in maglia Virtus

IL FALCO E SUGAR RAY, QUANDO IL BASKET ERA SOPRATTUTTO A BASKET CITY

Scandito in nove  capitoli, nove storie nascoste, sepolte e ora dissotterrate, in Vale tutto quelle che forse abbiamo apprezzato di più sono legate a Basket City, ossia Bologna, città dove non a caso l’autore ha incrociato e ‘rabberciato’ storie incredibili, che ancora adesso- avendole lette e rilette- ci paiono più verosimili, che vere. Un regista teatrale non avrebbe saputo far meglio, tra i Settanta e i Novanta, quando Bologna passò dall’avere tre, diconsi tre squadre cittadine in serie A (Virtus, Fortitudo e Gira, targato Fernet Tonic) sino al dominio delle satrapie di Cazzola e Seragnoli, ai derby infuocati tra V Nere e fortitudini, agli anni nei quali piazzale Azzarita, pala Dozza e pala Unipol pareva un’estensione della lega professionistica americana: Michael Ray Richarson, Sasha Danilovic, Dominique Wilkins, David Rivers e tanti, tantissimi altri. Come nel teatro greco, di cui sopra: unità di tempo, luogo e azione.

Bologna avvolgeva e avvinceva questi leggendari interpreti del gioco, molto dei quali amarono questa città visceralmente, d’un amore burrascoso, bruciante. Dal 1977 in poi, dall’era Porelli alle tifoserie indiavolate, dai bar spaccati in due dalla rivalità tra le due maggiorenti del  basket, dai locali notturni, dalle ragazze, dai tortellini fumanti al Sangiovese, dalle pizze di Connie Hawkins a molto altro, la contestazione e il “Tutto è Possibile” (variante ideologica sul tema di Vale tutto): a Bologna ci si divertiva, e parecchio. Al punto che un anno lontano Connie Hawkins, il Falco, leggendario fromboliere Nba che grazie al suo inimitabile  ‘palming’ era l’essere umano più vicino alle funamboliche evoluzioni di Julius Erving, ci rimase dieci mesi.. senza avere una squadra. Ci rimase avvinto dal clima fatto delle cose di cui sopra, nella modesta stanza di un appartamento popolare della periferia,  lui che aveva illuminato di luce propria i palazzi americani, il Madison e compagnia cantante. Leggetela, la storia di Connie Hawkins.. Storia di basket e di un’amicizia che non dimenticherete.  Non aggiungiamo altro. Così come da leggere è il ‘Sugar Ray, ma chi cazzo sei?’, la storia del più incredibile vetrinista della Coin, Alessio ‘Ciccio’ Cantergiani, assiduo frequentatore delle minors (la provincia, di cui sopra..luogo dello spirito), che sfidò… Michael Ray Richardson.  ‘La notte che il Ciccio provò a riscrivere la storia, la luna indossava una luccicante collana di stelle’, recita l’incipit del capitolo, basato sul guanto di sfida che Ciccio Cantergiani- unico essere al mondo ad essersi guadagnato l’accesso alla Tribuna d’Onore dei campionati europei di basket 1989, appresso a Kreso Cosic, esibendo una tessera Bancomat, appena prima di fare amicizia con Lou Carnesecca diventandone un assiduo sodale, lui che manco l’aveva riconosciuto- lanciò una sera, disquisendo circa la superiorità vincente ed ontologica di Sasha Danilovic su Sugar Ray, l’uomo che solo la polvere bianca fermò prima di diventare, con ogni probabilità, uno dei più grandi e maestosi interpreti nella storia di questo gioco. Sul come nacque la sfida, sul come un’astuta telefonata convinse Sugar Ray a sbrigare in tutta fretta una pratica amorosa per presentarsi in piena notte, nel settembre 1994, allo Zelig di Bologna; sul come reagirono gli astanti quando Sugar Ray lanciò un minaccioso ‘Who’s fucking Ciccio?’, dobbiamo rimandarvi al libro. Leggete, leggete, leggete..

ANARCHICI TOSCANI E PRODIGI CON UNA SOLA MANO. E IL SUMMER CAMP SOTTO I COLPI DI CANNONE…

Kreso Cosic

Kreso Cosic

‘Vale tutto’ vi stupirà per molti altri motivi. Vi racconterà del più ribollente campo di basket che l’Italia moderna ricordi, ossia quello di Carrara, dove la vena anarchica e la passione strapaesana, e tutta toscana, produsse sul finire dei Settanta il rettangolo di gioco più facinoroso a memoria di giocatore. Dove gli spettatori spegnevano sigarette sulle spalle dei malcapitati avversari, dove il nostro Werther Pedrazzi- ai tempi in cui giocava- venne ‘uncinato’ con un ombrello prima di una rimessa, e oltre a non fare un plissé l’arbitro lo minacciò facendogli intendere che, se avesse protestato, si sarebbe pure beccato un tecnico… Vi racconterà di Gianni Gualdi, classe 1958, nato nella Correggio di Luciano Ligabue (e molti altri talenti), divenuto una figura leggendaria per essere riuscito ad arrivare alle soglie della serie A giocando con una sola mano, dal momento che l’altra la perse da bambino.

Vi racconterà di quando Stefano Attruia e Leonardo Conti, nel 1993, nel mezzo della sanguinosa guerra balcanica, scelsero di andare a ‘farsi’ una sessione estiva con Dusko Vujosevic, che se ne stava rintanato in Montenegro, rischiando la propria pelle con un pallone di basket tra le mani, dal momento che dove viveva uno dei più classici prodotti della genialità tecnica jugoslava- dissolta dopo gli anni di Cosic, Slavnic, Delibasic, Boscia Tanjevic, Drazen e Divac, Radja e Paspalj, quando sembrava ci fossero tutti gli elementi per inaugurare una dittatura (almeno europea, e forse non solo) del cesto- si rischiava non di saltare un allenamento, ma di saltare su qualche mina o di finire nel tiro al bersaglio di qualche cecchino. Eppure Attruia e Conti, due personaggi di ‘nascosta grandezza’ del nostro basket, che l’autore  ci restituisce nella loro dimensione umana prima che cestistica (sempre lì, si torna), decisero che ne valeva la pena. Valeva tutto, anche lì.

LA REDENZIONE DI ROSCOE

Ma come diamine si può finire dai parquet alla più sanguinosa prigione americana, dove secondini tanto sadici e violenti che neppure Stanley Kubrick avrebbe immaginato si dilettavano a violentare, picchiare e uccidere i più temibili galeotti che le galere potessero accogliere, tra mura poco confortanti davvero e intrise di sangue? Si può, evidentemente, perché è qello che è successo a Roscoe Pondexter, il nome dirà qualcosa solo agli Old Timers, il cognome anche ai ragazzini che oggi si godono l’evoluzione del figlio Quincy in Nba. Quel figlio che ricalca i tratti del padre, che in Italia lasciò tracce indelebili coi suoi 198 centimetri per 105 chili di muscoli, un’ala dalla potenza devastante. Il basket , come ogni umana espressione, contempla la luce e il buio, la gioia e il dolore, la speranza e la sua negazione. Come il basket, riproduzione a tre dimensioni della vita di ogni uomo, solo sa fare. La redenzione di Roscoe e la salvezza della donna che, travolta in un bar da una piena impetuosa di acqua, fango e detriti, sopravvive grazie all’essersi appesa a uno scalcagnato canestro all’aperto. ‘Vale tutto’, in definitiva, è un luccicante compendio di narrazione che esalta le due doti essenziali, appunto, per ogni narrazione che si rispetti: l’epos sportivo e lo spazio narrativo , i suoi tempi e i suoi modi.

Mario Boni , autore della prefazione (Foto Savino Paolella 2013)

Mario Boni , autore della prefazione (Foto Savino Paolella 2013)

‘AQUI NACEU O FENOMENO’

La finiamo qui. Certi, ne siamo davvero certi, che finita questa lettura vi avventerete, o meglio vi ‘avventurerete’, tra le pagine di Vale Tutto. Perché ne vale la pena? Abbiamo scelto di farlo dire, seppur indirettamente, a due capaci di spiegarla: Pier Paolo Pasolini e Federico Buffa. Pasolini, riferendosi al declino del passato,ammonì che ‘quando il mondo classico sarà esaurito, quando saranno morti tutti i contadini e tutti gli artigiani, allora il nostro mondo sarà finito’.

In appendice a un altro libro di cui parleremo presto, invece, Fede Buffa descrive così il suo sodale Flavio Tranquillo: ‘Un pomeriggio al compianto PalaSansiro arrivò la grande Scavo di allora, e con lei un numero brasiliano di radiocronisti. A fine gara ognuna delle radio chiedeva un parere al cronista locale, e io dissi a uno di loro, tale Diotallevi mi pare, che magari poteva rivolgersi al mio coequipier. Mentre Flavio parlava, sorridevo alla vista di Diotallevi, incerto sulla provenienza del meteorite che lo aveva investito. Aqui naceu o fenomeno’.

Capito?

‘Vale tutto. Le storie segrete della pallacanestro italiana’, di Lorenzo Sani, prefazione di Mario Boni

Italica Edizioni, 15 euro. Info su www.italicaedizioni.it