Dall’Accampamento Alleato, insieme si levano sommesso lamento ed orgogliosa orazione. Dal nostro nobile Orso da combattimento, che nel dolore ritrae gli artigli e coglie la dolcezza del miele…

OSCAR ELENI
per Enzino Lefebre (e Lucio Dalla)

da: Indiscreto

“CARI AMICI VI SCRIVO…”

Enzo Lefebre

Oscar Eleni dall’alzaia Naviglio grande di Milano, sul ponte davanti alla Canottieri da dove si vede benissimo il percorso che Enzino Lefebre, Guglielmo Roggiani e l’inseparabile Pupin, facevano per sfuggire alle tenaglie del mitico Piero quando volevano sconfinare in territori proibiti dentro quel circolo che era vita, era tutto, era persino famiglia anche se i veri soci paganti disprezzavano allora, come oggi, i soci atleti su cui si investiva per rendere più importante la storia gloriosa di una società che al nuoto, ai tuffi, al canottaggio e al basket ha regalato grandi campioni, grandi allenatori, generazioni che hanno poi fatto storia nel loro piccolo o grande mondo che fosse.
Per questo viaggio della memoria ci siamo portati dietro una Dunalia australis perché ci sembrava la pianta più adeguata alle fantasie di Enzo visto come la descrive Rossella Sleiter nella sua rubrica sul Venerdì della Repubblica: una coprisuolo fantastica, vistosa, mobile al vento, variegata e con una piccola fioritura in mezzo ad una esplosione di foglie piangenti.
Ditemi voi se non si adatta alla genialità non sempre compresa dell’uomo che ha davvero rappresentato una pianta tropicale habanera, un fiorellino blu e viola che ha rotto la monotonia dei roseti quasi perfetti di lorsignori, dei prati con tappeti di tulipani che oggi nella Lega sono la barriera per troppe cose, un ostacolo che faceva soffrire tanto il caro Enzo sbalordito, come tutti, da certe scelte, dal desiderio di chi comanda nell’ombra di farsi baciare l’anello, di farsi chiedere scusa per un aggettivo sbagliato, per la troppa enfasi cantando la gloria di quasi tutti facendo indispettire chi vorrebbe soltanto favori per se e per la propria corte, tremendi padroni nella casa di altri padri che, magari, all’estero, vengono considerati molto meno di quanto lo fosse Enzo come ha detto bene nel congedo Jordi Bertomeu creatore della vera Uleb non ancora colpita dalla tenia degli arbitri con pilota automatico.
Siamo sollevati dall’idea che Enzo, nato il 22 marzo del 1948, se ne sia andato il giorno stesso di Lucio Dalla nato il 4 marzo del 1943, un ariete ed un pesce, testardaggine e fantasia, sensibilità rivoluzionaria. Ci sentiamo meglio, nella tristezza, perché arrivando sullo stesso carro alla porta grande, dietro piazza grande, renderanno più allegra la brigata che è andata ad accoglierli: Porelli che abbraccia Rubini dopo avergliene dette di tutti i colori, l’avvocatone che sollecita Aldo Allievi chiedendogli di non inciampare nel vestito ordinario del pretone che lo faceva impazzire, Gigi e la sua Bologna da vivere che chiederà certo ad Enzo di abiurare se dovessero chiedergli delle variazioni al Madison di piazzale Azzarita, un campo che era leggenda con la Virtus, ma anche con la Fortitudo, poi ecco il cavalier Maggiò che chiede sempre di Boscia che ad Enzo era stato vicino nella stessa battaglia, più vicino al mango di stagione l’avvocato Coccia si domanderà come organizzare un campionato con tutti questi personaggi, perché nel cerchio ci sarà Pino Brumatti, ci sarà il barone Sales, ci verranno tutti quelli che litigavano con il Dalla virtussino, ma anche quelli che lo amavano alla follia proprio perché era un patito delle Vu nere con braccia spalancate sul’amore universale per chi faceva quello sport, tollerando persino che il suo simpaticissimo road manager Tobia facesse il tifo per Milano, non l’Olimpia degli ultimi anni, ma quella di Rubini e anche quella di Peterson.
Per Lefebre, che se ne è andato dalla Marca mandando in mona tutti quei fraticelli con quattro baiocchi che lo hanno preso in giro nelle speranza di lucrare ancora dai Benetton fuggitivi, l’occasione per riproporre a chi sa lui Aldo Giovanni e Giacomo che, in pratica, proprio lui, Enzo sdoganò quando non erano ancora il massimo e al massimo, portandoli al Pala Trussardi per scaldare un po’ la gente dell’Olimpia ormai avviata alla povertà prima che il vento Armani cambiasse tutto con fretta esagerata, e quelli, da veri grandi, riuscirono a calamitare l’attenzione mimando, senza quasi parlare. Un delirio, una meraviglia. Ecco, caro Lucio e caro Enzo, datevi da fare ad organizzare le cose per il meglio perché qui la signora con il registro nero insiste a fare l’appello indesiderato ogni giorno e il tempo stringe.
Dal ponte dei sospiri della Canottieri per guardare più lontano, nei giorni che precedono il cappa e spada da pienone fra Siena e Milano che già vorrebbero dividersi giornalisti e telecronisti, che già sospettano ogni sorriso, ogni inchino fatto a favore dell’antagonista. Senza volerlo stanno dimenticando Cantù e fanno male, ma è certo che sarà una domenica sera interessante pur se mandata in bocca alla non meno drammatica prova della verità che l’Inter si è procurata contro il Catania.
Milano e la sua fiducia ritrovata insieme ad Hairston, seguendo il filo di Arianna rubato da Bremer ai minotauri del Forum. Siena e le tre sconfitte consecutive che in sei stagioni da record sembrano davvero stonare nel coro che viene fatto giustamente salutando l’unica squadra italiana che andrà nell’isola dei famosi del basket europeo dove organizzeranno i turchi, ma senza una squadra turca perché i giocatori, si sa, sono perfidi. Ma, prima della finale ad Istanbul, la scrematura per otto squadre con fame arretrata, con voglie da soddisfare. Siena contro l’Olympiakos che l’anno scorso conobbe l’umiliazione facendosi mangiare la dote al palazzo della Pace e dell’Amicizia in gara due, dopo una passeggiata nella prima partita che sembrava davvero l’inchino del Giglio.
L’ultima partita contava poco, ha dato al Real Madrid la stessa caramella di pietra per spaccarsi i denti e maledire che Scariolo ha lasciato nella borsa dei sue giocatori incompresi. Certo non è stata una partita banale perché ci ha detto che la debolezza dei nostri campioni è proprio sotto canestro e in giornate dove serve convertire il secondo o terzo tiro non puoi farti prendere tanti palloni sotto il tuo tabellone. Era noto, lo sanno benissimo nella sala macchine dei penta tricolori, vedremo come varieranno il tema, magari seguendo lo scat di un Lucio Dalla che aveva davvero sconvolto il prato ben curato della musica.
Non ci sarebbe altro da dire perché anche la Bennet ha lasciato l’Eurolega con uno squillo di tromba che farà aprire i prossimi sentieri bloccati da qualche valanga emotiva. Sull’addio ai cari amici vogliamo far sapere ad Enzo che il suo cuore non meritava certe squadre, certi compagni di viaggio, certi giocatori, ma lui è stato il nostro Zagor anche se al basket tornò per l’intuizione dell’Enrico che vedeva lontano, troppo lontano per farci approvare tutti i figli e figliastri che metteva al mondo.

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