Davide Schiera (foto Ufficio Stampa Briantea 84 Cantù)

Nella Briantea è cresciuto ed ha imparato ad amare questo sport. Il salto dal basket amatoriale a quello professionistico l’ha cambiato tantissimo e gli ha permesso di innamorarsi davvero della pallacanestro. Il basket in carrozzina scoperto a 9 anni, dopo un incidente in bicicletta e una lunghissima riabilitazione. La gioia di conquistare la medaglia di bronzo agli Europei U22 a Saragozza, adesso si gioca lo scudetto e la Champions con la Briantea e spera di poter essere nei 12 che andranno a giocarsi i Mondiali in estate. Un ragazzo simpatico, schietto e alla mano: non si può non apprezzare Davide Schiera fin da subito.

Partiamo dall’attualità. Una serie di semifinale decisamente combattuta. Roma vi ha messo i bastoni tra le ruote in questa serie, vincendo gara-1 e rischiando di fare l’impresa.

“Ormai è tradizione perdere la prima partita della semifinale (ride, ndr). L’importante è che siamo riusciti ad arrivare in finale anche quest’anno. Abbiamo vinto la Coppa Italia e siamo in semifinale di Champions, non male per ora”.

Cosa vi siete detti dopo gara-1?

“In verità Roma, a parte i problemi che ha avuto qualche anno fa, è sempre stata la nostra rivale storica, che non si può sottovalutare. Nella prima partita probabilmente ci hanno un po’ colto di sorpresa: noi l’abbiamo affrontata un po’ troppo sottogamba, forse dovevamo prepararla meglio. Fortunatamente la serie è al meglio delle tre, quindi c’è stato tempo e modo di recuperare vincendo gara-2 e gara-3”.

Spinti anche da un pubblico molto caloroso avete recuperato. “Abbiamo il pubblico più bello d’Italia, non c’è dubbio”.

Ora vi aspetta Giulianova in finale dopo 35 anni. “Sono gli underdog, è vero. In realtà, per come si è messo il campionato quest’anno, le prime quattro hanno dimostrato di potersela giocare ad armi pari. Nella regular season ci hanno anche già battuto. Giulianova ha battuto Santo Stefano in semifinale, ribaltando un po’ i pronostici, quindi non si può sottovalutare”. Lo status di favoriti vi mette un pò di pressione in più? “Per loro sicuramente c’è questo forte fattore psicologico, che li porta a non avere nulla da perdere, vivendo un sogno. Dalla nostra abbiamo l’esperienza e l’abitudine a giocare questo tipo di partite. Noi siamo pronti e preparati e sappiamo che in finale non c’è margine di errore”.

Difesa, mentalità, quali sono i segreti di una squadra che sta raccogliendo tanto in questi ultimi 4/5 anni? “La difesa è indubbiamente la nostra arma migliore: stiamo cercando, invece, di cambiare qualcosina in attacco. Nelle ultime partite abbiamo avuto diversi problemi al tiro e abbiamo deciso di modificare il nostro approccio: dobbiamo essere più rapidi e aggressivi”.

Davide Schiera durante un incontro della stagione (foto di Fabrizio Diral)

Questo fine settimana c’è la Final Four della Champions: Club Deportivo Ilunion è campione d’Europa in carica e campione di Spagna e anche le due tedesche sono temibili. Volete vendicarvi della finale persona lo scorso anno? “Nella storia della Briantea non è mai stata vinta la Champions ed è chiaro che, rispetto al campionato, abbiamo ancora più stimoli e “fame”. L’anno scorso siamo arrivati veramente ad un passo: adesso ci sarà una grande rivincita e speriamo di vincere stavolta”. Come state preparando la partita e cosa potrà fare la differenza? “Con Madrid è una sfida classica per la Briantea: già quattro anni fa perdemmo solamente di un punto in semifinale. Quello che può fare la differenza è la lucidità: in partite del genere non puoi improvvisare, ma devi giocare come sei abituato, senza farsi prendere dal panico e dal nervosismo. Saranno due partite in due giorni molto toste”.

L’ultima italiana a vincere la Champions è stata Roma nel 2007: è ora di riportarla in Italia, non credi? “È il nostro obiettivo e sogno. Gli stimoli non ci mancano, vedremo se saremo abbastanza bravi da fare quest’impresa”.

La tua stagione è andata come speravi o pensavi di ritagliarti più spazi/fare meglio? “L’obiettivo è chiaramente quello di potermi ritagliarmi sempre più spazio. È un gioco di squadra, ci si allena, si soffre e si vince insieme”.

Passando alla Nazionale: un gruppo molto rinnovato e uno dei più giovani a livello internazionale. Lo spareggio con Israele vi ha aperto le porte verso i Mondiali. Cosa c’è da migliorare per poter arrivare pronti a questa manifestazione? “C’è stato un rinnovamento importante dopo gli Europei 2013: dentro tutti i giovani, tutti under 30. Ovviamente anche io spero di andare ai Mondiali, anche se ancora non lo so. Adesso ci sono i raduni e siamo in 15: a giugno verranno scelti i 12 che prenderanno parte a questa esperienza. Sono fiducioso, ma chiaramente tutto è nelle mani dell’allenatore (ride, ndr)”.

Siete con Brasile, Turchia e Giappone, un girone duro, quante chances avete di passare? “Chiaramente ai Mondiali non c’è un girone o una partita facile. L’importate è arrivare preparati. Il fatto di essere un gruppo nuovo e giovane può essere un vantaggio, perché tante squadre non ci conoscono. Il fattore sorpresa può essere importante, però ci sono buone possibilità di far bene”.

Vittoria del bronzo europeo con l’U22 nel 2014 e quest’anno la convocazione maggiore: che emozioni sono state? “Ho vinto la medaglia di bronzo agli Europei U22 di Saragozza, ma con la Nazionale sono stato convocato solo quest’anno. Con l’Under era il primo europeo, ma avevamo tanti giocatori di talento e sapevamo che potevamo fare qualcosa di importante. È stata una grande soddisfazione”.

Anche nel basket in carrozzina si sogna di andare a giocare in Nba (NWBA)? “In verità il sogno lo vivono gli americani al contrario, perché storicamente i campionati europei sono quelli più competitivi. Di solito, quindi, è un percorso inverso, come Brian Bell, uno dei più forti giocatori stranieri al mondo che ha giocato nelle ultime quattro stagioni alla Briantea. Adesso, con le modifiche a livello regolamentare, con un giocatore extracomunitario al massimo in campo, questa tendenza si è un po’ ridotta”.

Davide Schiera ha vinto il bronzo con la Nazionale Under22 nel 2014 (foto Ufficio Stampa Briantea 84 Cantù)

Università e professionismo si possono conciliare? “In verità io ho messo in stand-by il percorso accademico che stavo facendo (scienze politiche, ndr). Ho fatto questa scelta l’anno scorso, in cui ho deciso di cominciare ad allenarmi tutti i giorni, mattina e sera: frequentare le lezioni e competere a questi livelli era insostenibile, visto che sentivo di non riuscire a fare bene né una né l’altra cosa. Prima o poi, però, la finirò (ride, ndr)”.

Che tipo di preparazione serve per un atleta che gioca a basket in carrozzina? “Ogni azione necessita di un lavoro di braccia: serve tanta forza e resistenza nella parte superiore del corpo. Ci alleniamo almeno un giorno a settimana solamente di preparazione atletica, con un lavoro specifico di pesi”.

Dopo l’incidente in bicicletta come hai scoperto il basket in carrozzina? “In realtà dopo il periodo piuttosto lungo di riabilitazione, è cambiata un pò tutta la vita. È stata mia madre a cercare su internet qualche sport che si poteva fare in carrozzina. Ha scoperto la realtà della Briantea, famosa sia nella zona che a livello nazionale. Ho cominciato così a livello giovanile, con tre stagioni in cui potevo giocare in contemporanea sia con il minibasket che con la Serie B. Giocavo a livello amatoriale, ma sinceramente non ho mai pensato di fare quello come lavoro. Un giorno l’allenatore mi ha proposto di fare qualche allenamento con la Serie A”. E in quel momento è cambiato tutto: un vero e proprio colpo di fulmine. “È stata un’esperienza folgorante. Il passaggio dagli amatori ad assaporare lo spogliatoio e gli allenamenti di una squadra di Serie A mi ha conquistato totalmente. Ricordo che le prime volte in spogliatoio con tutti questi campioni, vincenti e di grande personalità, si parlava solo inglese: ero proiettato proprio in un mondo nuovo. Da lì ho detto: ok, giochiamo a basket sul serio”. “Mi sono trovato davanti ad un mondo del tutto nuovo: tra le serie minori e i professionisti ci sono differenze importanti”.

Improvvisiamoci dirigenti per una volta: cosa bisogna fare per dare maggiore visibilità al basket in carrozzina? “Quello che fa la differenza, alla fine, sono i mezzi di comunicazione: la responsabilità maggiore è loro, poi c’è anche il ruolo delle società. Il fatto che il nostro palazzetto sia sempre pieno è un bel segnale. Andiamo nelle scuole, negli oratori, lanciamo diverse iniziative per catturare sempre più attenzione, anche sui social: oltre a questo, però, le società non possono arrivare. La possibilità di trasmettere le partite in streaming, su piattaforme come Youtube, potrebbe essere la chiave per offrire questo e tanti altri sport minori alla gente in maniera più semplice e diretta.

Ad un ragazzino che vuole iniziare a giocare a basket in carrozzina, cosa diresti? “Gli farei vedere una partita per mostrargli cos’è veramente questo sport. Soprattutto nel caso in cui sia molto giovane, è fondamentale per fargli capire anche a livello mentale com’è vivere in carrozzina e fare sport in questo modo. Ci vuole un certo tipo di forza: vorrei fargli vedere quello che potrebbe diventare. Poi gli direi semplicemente di giocare e provarci. La palla, sia nei bambini che negli adulti, fa sempre il suo dovere di trasmettere divertimento e felicità quando la si prende in mano”.

Chiacchierando insieme a Davide ho capito una cosa: non esiste basket o basket in carrozzina, non esistono barriere e non esistono limiti. A volte, non conta il modo in cui ci si avvicina a questo sport: esiste solo un grande e infinito amore per la pallacanestro che, se capito, riesce a donare emozioni che sono vita.


Dailybasket.it - Tutti i diritti riservati