Sergio Tavčar

Premessa dovuta per inquadrare i miei commenti sulla prestazione degli USA alle Olimpiadi. Visto che sono stato accusato di antiamericanismo (e addirittura di simpatia per l’ex URSS – inaudito!) voglio sinceramente dire quanto penso degli States in generale. Parto da lontano. La Costituzione americana, redatta nello stesso tempo in cui in Europa avveniva il primo colpo di piccone al sistema feudale con la Rivoluzione francese, è un testo incredibilmente moderno che all’epoca era, appunto, due secoli avanti a tutto il resto del mondo. Tralasciando il fatto che, parlando di esseri umani e dei loro inalienabili diritti  prendevano in considerazione solo l’uomo bianco, visto che i rossi potevano essere allegramente massacrati o rinchiusi in ghetti (leggi riserve) ed i neri erano destinati a fare gli schiavi, rimane il fatto che sono stati proprio questi principi che hanno fatto degli USA dapprima una straordinaria potenza economica, poi militare, poi addirittura la superpotenza mondiale che è diventata vero e proprio impero. Dunque è solo ed esclusivo merito loro ed è solo colpa nostra se ci siamo fatti colonizzare. In tutti i sensi: militare, economico, ma soprattutto culturale, per cui per la stragrande maggioranza del resto del mondo tutto quello che viene dall’America è per principio buono e santo. Cosa ovviamente tutt’altro che vera. Non credo di essere anti americano se dico che mi reca una rabbia nera il fatto che, nel nome dell’Impero, un aereo militare possa allegramente scorrazzare per i cieli italiani abbattendo una cabina della funivia e facendo una strage per la quale nessuno poi paga. La stessa rabbia me la infonde la pratica per cui, se un allegro gruppo di marine esce da una delle innumerevoli basi militari sparse per il mondo e, in preda ai fumi dell’alcool, violenta una ragazza locale, non può essere arrestato e scaraventato in prigione dalla polizia del posto, ma deve essere per principio intoccabile giudicato (si fa per dire) dagli americani stessi. Sta a noi ed anzi è nostro preciso dovere, proprio perché gli USA sono la nazione nettamente predominante e quella che crea grazie alla sua schiacciante potenza economica e di conseguenza mediatica il sistema di vita copiato da tutto il resto del mondo, stare all’erta e rimanere critici tentando di capire i meccanismi più nascosti che creano ed alimentano questa grande macchina del consenso prima per capire dove tutto questo ci porta e poi per difenderci dalle sue manifestazioni più deleterie. Per quanto mi riguarda non ho mai avuto nessun problema per riconoscere che gli USA sono il punto di riferimento assoluto per quanto riguarda uno dei campi che più mi interessa, quello della musica popolare del 20.esimo secolo con particolare riferimento a quello che fu il periodo più glorioso, il secondo lustro degli anni ’50, con l’affascinante ed irripetibile commistione fra i generi più disparati che diede vita a quella che è poi diventata la musica rock. Ciò ovviamente non impedisce che su tantissime altre cose quanto fanno gli americani non mi piace proprio. Volendo allargarmi ai massimi sistemi ho la netta impressione che l’Impero americano, visti anche i vari Tea Party, stia cominciando ad avvitarsi su se stesso perdendo il contatto con quanto sta avvenendo nel resto del mondo fossilizzandosi in concezioni di superiorità dovute a diritti divini acquisiti e non al fatto che per arrivare dove sono arrivati hanno dovuto lavorare duro (per usare una terminologia sportiva) facendo meglio degli altri. Che l’Impero sia insomma paragonabile a quello Romano della fine del secondo secolo, o a quello cinese della fine del 18.esimo secolo, quando secondo meccanismi sociali perfettamente analoghi cominciò la loro decadenza. Come è sempre avvenuto e sempre avverrà per tutti gli Imperi della storia che come ogni entità vivente nascono, crescono, si sviluppano ed infine decadono e muoiono. E la cosa che più mi preoccupa è che, quanto più grande è un Impero, tanto maggiore, fragoroso e catastrofico è il suo crollo. E quello americano è bello grande.

Sono stato così lungo anche perché della partita in sé non avrei nulla da dire. A proposito di arbitri vorrei per un momento usare una terminologia alla Aldo Giordani. Quando il primo arbitro (da me ripetutamente etichettato come idiota nel secondo quarto, epiteto che a mente fredda confermo e ribadisco) è un sudamericano, dunque mentalmente nell’orbita NBA, un altro è un australiano, dunque anti americano è difficile che lo sia, mentre quello europeo è un arbitro di seconda fascia, soprattutto senza carisma, è solo ovvio che le congiunzioni astrali indicavano una direzione ben precisa. Tipo quattro falli immediati di Marc Gasol, di cui due totalmente inesistenti. Detto questo tutto è andato nella direzione ampiamente prevedibile: braccio di ferro per tre quarti ed allungo americano nel finale dovuto al progressivo spegnimento dei sempre più veterani spagnoli. Tutto qua. MVP assoluto Lebron con Durant vice MVP, in quanto braccio armato di Lebron, Kobe campione vero che segna canestri fondamentali, Anthony che fa la voce grossa all’inizio e chissà come sparisce nel finale, Paul che fa il suo compitino segnando canestri decisivi quando è marcato da quella sciagura difensiva che è Sergio Rodriguez, bravissimo Love, Chandler meglio del previsto, su Westbrook, Iguodala e Williams non mi pronuncio perché ogni mia dichiarazione potrebbe incriminarmi. Spagnoli con Navarro che aveva tre minuti e mezzo (quelli iniziali) di autonomia, Rudy a mezzo servizio, Marc subito fuori, gestione delle rotazioni dalla panchina che lascia molti interrogativi, e malgrado ciò sono stati in partita per più di tre quarti partita. Se questo fa dire che il predominio del basket Usa su quello del resto del mondo è schiacciante, allora che sia così. A me, numeri alla mano, non pare proprio.

Sul primo quintetto non posso sbilanciarmi perché per esempio nel reparto play ho solo non pervenuti. Paul ha fatto troppo poco (scusatemi) per metterlo al primo posto, Mills è bravo, ma non è un play, altri non ne ho visti. A meno che non si consideri Ginobili un play. Per il resto Lebron, Durant e Pau Gasol non si discutono, per il quinto fate voi. Trovate un posto per Kirilenko e spostate gli altri dove volete. Insomma una sistemazione passabilmente plausibile sarebbe Ginobili in play, James guardia, Durant ala piccola, Kirilenko ala forte e Gasol centro.

Miscellanea finale. Scusate, sarà scurrile, ma penso che dire che il povero Fontana è stato letteralmente sodomizzato dalla sfiga è il minimo che si possa dire.

Cartoline dai Giochi? L’ambiente del tennis, il volo acquatico di Sun sui 1500, la saga di Bolt con l’apoteosi della meravigliosa staffetta, gli 800 di Rudisha e dei due bambini dietro a lui, la resurrezione ed il pianto dirotto sul podio di Felix Sanchez, le acrobazie incredibili di Zonderland alla sbarra. E poi tantissime altre. Dal punto di vista tecnico-agonistico sono state Olimpiadi indimenticabili