Gli Stati Uniti d’America sono da sempre appassionati alle ‘redemption’, quelle storie che parlano di una caduta e di una conseguente rinascita; quelle avventure che vedono un uomo alla ricerca del riscatto e che si concludono con il lieto fine. Ad aver avuto risalto negli ultimi giorni è l’avventura di Emeka Okafor, seconda scelta assoluta al Draft 2004 che, dopo quasi cinque anni di riposo forzato per un’ernia al disco cervicale C4, è riuscito a rimettere piede nella lega dei giganti strappando due decadali con i New Orleans Pelicans partendo anche da titolare al fianco di Anthony Davis. Tornando a quel Draft 2004, c’è una storia che parte quella sera stessa, con un’oretta e più di ritardo; una storia di un giocatore che non ce l’ha fatta, ma soprattutto di un uomo che rischiava più volte di buttare tutto nel cestino: il suo nome è Robert Swift.

In molti lo ricordano come una vera e propria meteora del basket d’oltreoceano, scelto al dodicesimo posto assoluto al Draft 2004 dai Seattle Supersonics che vedevano in lui, un ragazzino dai capelli rossi di 216 centimetri, dal buon tocco in post e senza un filo di muscoli compensati da atletismo e buon IQ cestistico, un progettone su cui poter lavorare a lungo termine che non è riuscito a concretizzarsi. La sua vita dice invece molto di più: cadute e ben pochi tentativi di volersi rialzare, quasi una spirale verso la depressione. ‘Napoleon Dynamite’, così com’era chiamato dai compagni di squadra, avrebbe avuto bisogno di un paio d’anni all’università per poter affinare i suoi difetti, avendo cominciato a giocare solo in tarda età, ma con una famiglia che negli ultimi sei anni aveva dichiarato bancarotta per ben due volte, la possibilità di entrare nella massima lega di pallacanestro con una scelta in lotteria a soli diciotto anni e mezzo può fare veramente gola. È così che Robert, dopo gli anni di dominio nelle High School, sfrutta al meglio l’interesse destato al McDonald All American, dove si difende al meglio contro Dwight Howard con 10 punti e 5 rimbalzi, e vola fino allo stato di Washington, non prima di aver acquistato un’auto per la madre. Entrare in NBA, una scelta fortunata quell’estate per lo stesso Howard, Al Jefferson, Jr Smith e Josh Smith; per Robert, non così tanto viste le tappe successive. Il primo anno vede il campo con il contagocce: è ancora la squadra di Ray Allen e Rashard Lewis, si lotta per degli obiettivi e non c’è posto per un progettone in mezzo al campo, Swift giocherà 16 partite (tra cui una con gli Spurs dove Tim Duncan, suo diretto avversario, gli darà qualche dritta su come stare in campo) e metterà a segno la miseria di 15 punti. Le cose migliorano nel 2005/2006, con l’addio di coach Nate McMillan e l’arrivo, dopo l’interregno di Bob Weiss, di Bob Hill. Hill crede in ‘Napoleon’ e inizia a schierarlo in maniera continua, arrivano le prime partenze in quintetto ed un’onesta annata da 6.4 punti e 5.6 rimbalzi.

Robert Swift durante la breve esperienza in Giappone (Foto: japantimes.co.jp)

LA DISCESA ALL’INFERNO Il terzo anno vuole essere quello della consacrazione: si presenta al training camp con i capelli lunghi, il corpo bianco latte pieno di tatuaggi e qualche chilo di muscoli in più, oltre ad un discreto tiro fronte a canestro. Il crociato anteriore del ginocchio destro non vuole partecipare al progetto di diventare uno starter NBA e si rompe durante una gara di preseason contro Sacramento. Prego signori, inizia la discesa di Robert Swift. Resta inattivo nella stagione, torna ma nelle due annate successive è praticamente ai margini delle rotazioni e Oklahoma City (la franchigia si è intanto trasferita) lo saluta senza troppi rimpianti, avendo testa ed occhi proiettati a quei due giovincelli di nome Russell Westbrook e Kevin Durant. Per ricominciare scende in D-League, ai Baskerfield Jam, ma la sua avventura dura lo spazio di due partite, adducendo come scusa a coach Voigt il voler diventare un lottatore di MMA, passione estiva del ragazzone di Baskerfield ma che non verrà concretizzata nemmeno lontanamente. Intanto Robert, divorato dalla depressione, inizia a bere, sempre di più, mentre deve mantenere anche il figlio Reiko nato da un’avventura con tale Tabatha Smith che gli ‘costa’ 5000 dollari al mese. Si lascia andare e la forma fisica diventa un ricordo: a provare a salvarlo è ancora Bob Hill, l’uomo che voleva renderlo il centro dei suoi Sonics, che gli offre un posto a roster nei Tokyo Apache. In Giappone, dopo un inizio stentato, perde peso e colleziona doppie doppie su doppie doppie, con l’NBA che inizia a drizzare le orecchie su di lui e sul compagno Jeremy Tyler (che in NBA, per un paio d’anni, ci sguazzerà). Ma la sfortuna è ancora in agguato, prendendo questa volta le sembianze di un terremoto. E che terremoto: il Giappone viene scosso l’11 marzo dal sisma del Tohoko, che provoca più di 15000 morti e 5000 feriti. Nel Sol Levante non c’è più tempo per pensare al basket, la stagione finisce anzitempo e Swift torna in America. I Blazers lo contattano per un workout, che non va a buon fine, e la delusione lo fa cadere ancor di più nella spirale dell’alcol, a cui si aggiunge anche la ‘dama in bianco’, l’eroina. Da qui è un susseguirsi di arresti e di brutte figure, come quando vendette a quasi metà prezzo la sua casa da un milione di dollari in cui vennero trovati cartoni di pizza, bottiglie di birra, antidepressivi, pistole, spazzatura e feci di cane; l’arresto nel 2014 quando venne sorpreso in casa di un suo amico spacciatore, o un altro ammanettamento successivo per tentata effrazione sotto l’effetto di droghe. Una vita divenuta quella di un criminale, ma anche in questo caso la famiglia dà una grossa mano.

ALEX, IL MODELLO DA SEGUIRE – Entra in gioco Alex, il fratello minore, che risponde alla chiamata del sangue del suo sangue. Tutto parte dal riavvicinamento alla Fede di Robert, che grazie all’aiuto della Destiny Christian Church riprende a leggere la Bibbia e si mette a scrivere, capendo che c’è bisogno necessario di ordine nella propria vita. Swift non esita un secondo a chiamare il fratello appena uscito di prigione, e dall’altra parte non c’è altrettanta esitazione per poter accogliere l’ex Seattle in casa. Ci vuole un po’ di attenzione, come vietargli di bere in casa, ma dopo un po’ Robert prende il ‘fratellino’ come vero e proprio modello da seguire. Swift si ripulisce da alcool e droga, vende la sua collezione di armi, torna ad allenarsi come un vero atleta riacquistano la forma e, soprattutto, torna a giocare a pallacanestro, in attesa della sua occasione. Lo si vede in un video risalente al 2016, in cui Swift ha ripreso a giocare in alcune palestre con ragazzi sicuramente non professionisti, ed in cui si vede che è letteralmente fuori contesto; nel mentre si impegna in alcuni tornei, come il TBT (The Basketball Tournament), in cui si vede in una foto assieme a Mike Bibby, e nella Vegas Pro-Am. Nel mentre, continuano i tryout, come quello, non andato a buon fine, con i Santa Cruz Warriors 2016. L’occasione arriva però in questi giorni, direttamente dalla Spagna: ad averlo tesserato è il Circulo Gijon, squadra asturiana che milita in quinta serie. Dalla foto si vede un timido sorriso, come mai avevamo visto prima d’ora, ed i suoi compagni di squadra sono già entusiasti del suo arrivo, contenti della sua disponibilità dentro e fuori dal campo. Il suo nuovo allenatore Nacho Galan descrive al meglio come Robert si senta un uomo nuovo: “Alla fine dell’allenamento mi ha abbracciato in lacrime perché era entusiasta di tornare al lavoro e di poter giocare”. Il tutto senza arie e con la testa sulle spalle, con la voglia di voler dare una mano: a 32 anni, Robert Swift potrebbe aver trovato il suo posto nel mondo. E pazienza che non sia in NBA, senza gli enormi stipendi del basket americano e senza Jack Nicholson che in una gara gli aveva pregato di non far troppo male ai suoi Lakers. Robert Swift si è fatto male troppe volte da solo, e adesso vuole solo pensare ad essere, prima che un giocatore di basket, una persona normale.

Alessandro Aita