Emis Killa e la sua “I.L.T.G.”, acronimo di I Love This Game. Quando una finale Nba, quella del 2015, vale un rap.

Chissà chi avrà inventato lo slogan. O claim, che dir si voglia. Quattro paroline una dietro l’altra. Perfette, efficaci, persuasive. Non c’è nemmeno bisogno di tradurre. Chi segue il basket lo sa, “I Love this Game”, già quelle quattro paroline di cui sopra, ce lo ritroviamo in tutte le salse da decenni in tv, in rete, sui giornali: messaggio chiaro, forte, incontrovertibile. Ci piace la spicchia, e questo è quanto. E sappiamo bene che piace anche ai rapper, dal più sfigato al più autorevole, da chi azzanna le classifiche di vendita a chi non va oltre all’autoproduzione casalinga. Emis Killa, pseudonimo di Emiliano Rudolf Giambelli, appartiene alla prima categoria. Rapper di razza, molto amato nell’ambiente hip-hop tricolore, quattro album all’attivo. Più qualche singolo sparso di qua e di là, compreso “I.L.T.G.” (un acronimo comprensibile, n’est pas?), scritto nel 2015 e preso in prestito da Sky come sigla delle finali Nba di quella stagione.
“I.L.T.G.” è come un fiume in piena che tracima senza soluzione di continuità. Il suo testo racchiude la filosofia del rapper di Vimercate: un concentrato di passione, di grinta, di competenza cestistica, di riferimenti alla cultura hip-hop. Senza dimenticare le ardite metafore disseminate tra una frase e l’altra. Come “La vita è come il basket, una questione di palle”. Oppure “Qui ogni giorno è gara 7 e sento la stanchezza”. Che più che metafore, potremmo definirle sentenze. E le sentenze, come in questo caso, sono inappellabili. E non è solo questione di palle o di arrivare a gara 7 con la stanchezza che ti distrugge, sia chiaro. C’è tutto un mondo che gira attorno all’Nba, che va rispettato, rituali compresi. Validi soprattutto di fronte a un televisore al plasma, pop corn in mano e guai a chi rovina lo spettacolo. Un mondo che Emis Killa racchiude in pochi, semplici assiomi: “Non ci sono per nessuno, oggi c’è l’Nba. Un parquet, un canestro e una palla, solo io e lei, blocchi, assist, tiri da tre, fade away, non c’è tempo per pensare, it’s time to play”. Semplice, no?

Poi c’è tutto il resto. All’interno di “I.L.T.G.” si citano Stephen Curry, Phil Jackson, Dick Bavetta, Blake Griffin, Kobe Bryant, Chris Andersen, meglio noto come “Birdman”. E non poteva certo mancare il parallelo tra la dura vita di chi ha abbracciato la cultura dell’hip hop e la pallacanestro. Spiega Mr. Killa: “Partiti dal quartiere parlerete di noi, Bad Boy come nei ’90 Detroit. Odio le cose easy, il nostro motto è play hard, ma le rime le scrivo con gli occhi chiusi lay up (…). Scrivo tante cose hit sopra questi beat, che se fossi un team, mi chiamerei Miami Heat”. Un pizzico di modestia non guasta, ci mancherebbe, ed è sempre meglio ribadire il concetto, che non si sa mai: “Tutti lo sanno, quando parte Killa non lo fermi, l’uomo dell’anno, sono in forma come Stephen Curry, rookie come ‘He got game’, groupie nel mio letto (…). Io e i miei la schiacciamo forte come Lebron James (…). La mia generazione segue le mie orme, e prende le mie forme, bianco e tatuato come Birdman”.
La musica che accompagna le parole di Emis Killa è epica, maestosa, potente, guerriera. Adatta a un testo che non le manda a dire, incaricato di portare il telespettatore di Sky verso la magia delle finali del campionato professionistico nordamericano. A proposito, quell’anno vinsero i Golden State Warriors per 4-2 sui Cleveland Cavaliers. Aveva ragione il buon Emis quando affermava di essere in forma come Stephen Curry. Vuoi vedere che aveva previsto tutto?

Immagine tratta da allsongs.tv