Foto tratta da nbapassion.com

Era il 30 settembre 2016 quando Pick and Rock si occupò di Kobe Bryant. Non del Bryant che combinava sfracelli tra i parquet dell’NBA, ma del Bryant che giocava a fare il rapper. Un esperimento non proprio riuscito, forse l’unico errore commesso dal Black Mamba nella sua, ahinoi, breve vita.

È quasi ora. In realtà manca ancora una ventina di giorni e poco più, ma ormai ci siamo. Sarà di nuovo NBA e il film sta per andare in onda. Una pellicola della quale possiamo immaginare la trama ma non il finale. Chissà se anche questa volta tutto ruoterà attorno al duello Stephen Curry vs. LeBron James o se qualcuno potrà scalfire lo strapotere di Golden State Warriors e dei Cleveland Cavaliers. Lo scopriremo tra non molto, quando ritroveremo i nostri idoli posizionati sul loro dorato nastro di partenza, pronti a giocarsi l’anello. Ci saranno tutti o quasi. No, Kobe Bryant no, lui non ci sarà. Ha gettato la spugna dopo aver indossato per venti anni di seguito la canotta giallo oro dei Los Angeles Lakers. Una perdita non da poco, per tutto quello che il Black Mamba ha rappresentato per l’intero movimento cestistico. Bene, e adesso qualcuno si sarà chiesto dove vogliamo andare a parare. Presto detto, anche perché non è un segreto: Bryant ha avuto un passato da rapper. Che cercheremo di riassumere in poche e, ne siamo arciconvinti, per nulla esaustive righe.
È il 1998 e Kobe è soltanto un prospetto interessante, non certo il campione che da lì e poco avrebbe prodotto più di uno sfracello tra i professionisti dell’NBA. Ma oltre alla palla a spicchi, al giovanotto piace l’hip hop. E proprio in quell’estate di 18 anni or sono, Bryant scopre di vivere nello stesso stabile dove risiede Steve Stoute, presidente della division Urban Music della Sony. Uno che in carriera ha svezzato e plasmato gente come Will Smith, Nas e Mary J. Blige. I due si annusano e si piacciono. Tanto più che la futura stella del firmamento NBA aveva già militato in una crew, chiamata Cheizaw.
Kobe si avvicina all’hip hop dopo il ritorno negli Stati Uniti: suo padre Joe è reduce da una brillante carriera cestistica in Italia. Una volta conclusa l’esperienza nello Spaghetti Circuit, la famiglia Bryant se ne torna a Philadelphia. Dove il ragazzo comincia a rappare e a partecipare a gare di freestyle. Un bagaglio di esperienza che piace a uno Stoute desideroso di tirar fuori dal cilindro una nuova gallina dalle uova d’oro. I Cheizaw si precipitano in sala di incisione e nel 2000 l’album, assieme al singolo “Vision”, sono pronti a spiccare il volo. Peccato che il disco non vedrà mai la luce. Perché? Sull’argomento girano solo ipotesi e leggende metropolitane di contorno, peraltro Bryant si rifiuterà sempre di rispondere a domande sull’argomento. Tuttavia, pochi mesi più tardi, l’ex esterno dei Lakers riuscirà a coronare il sogno di diventare un artista a tutto tondo, anche se si dovrà accontentare di un’autoproduzione. Ecco allora il singolo “K.O.B.E.”, uscito con il piccolo aiuto dell’amica Tyra Banks.

Diciamolo: il pezzo non è un granché, il suo valore estetico appare come inversamente proporzionale all’incommensurabile talento fatturato da lì a poco dal Black Mamba sui parquet dell’NBA. Non per niente “K.O.B.E.” non avrà un sia pur minimo successo commerciale e sarà presto dimenticato da tutti, probabilmente anche dal suo autore. Tranne che dai suoi detrattori. Sul tubo i commenti sono al veleno, ne scegliamo uno a caso: “My house burned after listening to this”. Non c’è bisogno di traduzione, vero? E poi si narra che gli avversari del mancato rapper abbiano usato quel testo come fonte principale del loro trash-talking. Non ne abbiamo la certezza, ma è senz’altro verosimile.