7 marzo 1979, a Varese si gioca Emerson-Maccabi Tel Aviv, partita valida per la Coppa dei Campioni. Sarà una partita, purtroppo, cha passerà alla storia. E che i Gaznevada ricorderanno, a modo loro, nel loro demo d’esordio.

I Gaznevada si formano a Bologna nella seconda metà degli anni ’70. Sulle prime scelgono di chiamarsi Centro d’Urlo Metropolitano, il nome Gaznevada appare per la prima volta nel marzo 1979, quando Oderso Rubini della Harpo’s Bazaar chiama i ragazzotti a incidere il primo demo. Da lì a poco cambierà tutto, non solo la ragione sociale. L’esordio della band lo bagna il 45 giri “Mamma dammi la benza”, un pezzo protodemenziale, ma quando i Gaznevada entrano per la seconda volta in sala di registrazione, tira tutt’altra aria. Questa volta ne viene un suono incazzato, rozzo, grezzo e volgare, punk nell’anima ma non solo. Il demo, che esce nel 1979, porta il loro stesso nome e contiene una manciata di pezzi che faranno la storia del punk italiano: “Criminale”, con il suo testo incendiario, oppure “Teleporno TV”. Ma c’è anche spazio per il reggae (“Everebody enjoy reggae music”) o per cose un po’ più complicate, tipo “Nevadagaz”, che consentiranno al gruppo bolognese di abbandonare gli istinti primordiali e aprirsi alla new wave, il loro principale punto di riferimento negli anni ’80. Questa, però, è un’altra storia.

Rimaniamo su “Gaznevada”, in particolare su “Roipnol”, nient’altro che un concentrato di rabbia e chitarre distorte, condite da un testo tossico e nervoso. “Roipnol” è il riflesso di una stagione difficile, che ha visto tramontare i sogni del ’77 e proiettare il variegato universo degli extraparlamentari di sinistra verso un’altra fase, se possibile ancora più creativa e meno dogmatica. Ma è ancora un periodo cupo e contradditorio: il terrorismo continua a uccidere e a mettere in pericolo la democrazia mentre la classe politica, colpita da un serie di scandali, non trova niente di meglio che chiedere sacrifici a una popolazione già messa in crisi da un’inflazione sempre più alta. “Roipnol”, nei suoi cinque minuti abbondanti, racchiude tutta la confusione dell’Italia di quegli anni. Se il suono è cattivo il testo non è da meno: droga, tranquillanti, fughe che nemmeno il rock’n’roll riesce a esorcizzare. E poi c’è il basket. E la cristallizzazione di una partita. Purtroppo storica.

7 marzo 1979, palasport di Varese. Va in scena una gara di Coppa di Campioni tra i padroni di casa dell’Emerson e il Maccabi Tel Aviv. Sembra una partita come un’altra, ma la curva dei tifosi varesini decide di rendersi protagonista. In negativo. E negativo è un eufemismo. Qualche idiota comincia a lanciare slogan antisemiti, appaiono croci e striscioni inneggianti allo sterminio ebraico, un paio recitano “Hitler ce lo ha insegnato, uccidere gli ebrei non è reato”, “10, 100, 100 Mauthausen”. Uno spettacolo indegno. La cosa ancora più indegna è che la partita si giocherà comunque, nell’indifferenza dei rispettivi staff tecnici e degli arbitri. Ebbene, i Gaznevada inseriranno nella parte finale di “Roipnol” proprio uno spezzone di un giornale radio, nel corso del quale una giornalista della Rai descrive la gazzarra di Varese (“Inusitata e inqualificabile degenerazione del tifo a Varese…”) tra la notizia di un ennesimo attentato, questa volta a opera di Prima Linea, e quella di un incontro tra Enrico Berlinguer e Giulio Andreotti. Il tutto in un Blob in dissolvenza, concluso con una reprise di “Roipnol”: “Ti prego spegni l’autovox, non voglio più rock’n’roll!”. Pur di non ascoltare quel che stava succedendo, pur di non ammettere che in quel 7 marzo anche il basket aveva perso la sua verginità, i Gaznevada si dichiararono disposti a a rinunciare al rock’n’roll. Anche se solo per qualche attimo. E nonostante un gruppetto di idioti sfigati.