I Giochi di Rio saranno il canto del cigno della generazione d’oro della pallacanestro argentina. Siamo andati a Buenos Aires a esplorare passato, presente e futuro del basket albiceleste e della lega nazionale. Scoprendo che Ginobili rischiò di non arrivare mai a Reggio Calabria…
BUENOS AIRES – “Grítenlo en Jujuy, grítelo en Tierra del fuego, grítelo en Misiones, grítelo en Capital o en La Matanza: Argentina medalla de oro”. Così, con un grido di unità nazionale che avrebbe potuto funzionare egregiamente anche come manifesto turistico delle bellezze del paese dal nord al sud, il telecronista al seguito della Nazionale albiceleste ad Atene, annunciava entusiasta il trionfo dell’Argentina ai Giochi Olimpici del 2004, arrivato dopo il meritato successo in finale sulla magnifica Italia d’argento di Charlie Recalcati. Un successo che rappresentò l’apogeo della Generacion Dorada e che tutt’oggi, assieme al Mondiale del 1950, rimane il picco più alto toccato dalla palla a spicchi argentina e sudamericana.
Ma cos’è rimasto oggi di quel portentoso gruppo di giocatori diretto da Rubén Magnano, unica nazionale capace di battere per due volte la selezione statunitense composta da giocatori NBA? E cos’è rimasto di quel movimento capace di produrre di fuoriclasse del calibro di Manu Ginóbili, Pepe Sánchez, Fabricio Oberto, Luis Scola, Andrés Nocioni, Hugo Sconochini, Alejandro Montecchia, Carlos Delfino, Walter Herrmann e Pablo Prigioni? Per scoprirlo, mentre gli ultimi “reduci” (Ginobili, Scola, Nocioni e Delfino) provano a chiudere in bellezza a Rio de Janeiro, siamo andati alla fonte, a Buenos Aires, riaprendo l’ormai polveroso libro dei ricordi di quei Giochi ed esplorando l’attualità del basket argentino, che – almeno a livello di club – ha un nome nuovo al vertice: il fresco campione in carica San Lorenzo dell’intramontabile Herrmann (protagonista della seconda parte di questo reportage, a breve su queste pagine).
Caso vuole che il capo allenatore dello storico club bonaeriense conosca bene quanto pochi altri quella nidiata di fenomeni: Julio Lamas, infatti, ha guidato la selección dal 2008 al 2011, testimone privilegiato di alcuni degli ultimi “sussulti” (oro e bronzo ai campionati FIBA Américas 2011 e 2013) di una generazione forse irripetibile: “Non dipende solamente dal progetto o dal lavorare bene”, ammette l’ex CT. ”La base è il talento, e dopo la generazione di Ginobili, Scola, Oberto e così via, ci vorrà un po’ per vedere un’altra squadra con tutto questo talento”. Ma alle origini della maturazione di tutti quei giocatori c’è stato – a un’età più o meno precoce – il passaggio in Europa, in molti casi in Italia. Un flusso motivato da fattori tecnici, economici e regolamentari: “Tutto iniziò con la legge Bosman e le facilitazioni per ottenere la cittadinanza”, ci racconta Carlos Raffaelli, indimenticato ex della Fortitudo Bologna, oggi procuratore in patria. “Prima di quell’epoca, però, erano già arrivati Sconochini, Rifatti, Scarone, Labella e altri”. Tutti o quasi, curiosamente, passati per Reggio Calabria. “A Reggio c’era Gaetano Gebbia, che ha sempre scommesso sugli argentini, e veniva spesso a visionare giocatori”. Pochi sanno, però, che, senza l’intervento di Raffaelli, forse Manu Ginobili non sarebbe mai arrivato alla Viola: “Un giorno Gaetano mi chiamò per chiedere di Jorge Racca. Io dissi che Ginobili mi sembrava meglio di Racca, perché non portare lui in Italia? Io ero l’agente dei due fratelli grandi di Manu, gli diedi il numero di telefono del padre ed è così che Manu arrivò a Reggio Calabria”. Passaggi che oggi, probabilmente, non avverrebbero: “Oggi un Ginobili entrerebbe subito nelle mire degli scout NBA o di Eurolega”. Ma all’epoca, con l’internazionalizzazione della NBA ancora in gestazione e la crisi nera in Argentina, l’Europa era un orizzonte allettante: “Il flusso esplose tra il 2002 e il 2004, perché l’Argentina era in crisi e tutti se ne volevano andare”, conferma Lamas, che precisa: “La Nazionale, però, ne beneficia solo se i giocatori disputano l’Eurolega o i massimi campionati di paesi come Spagna, Italia, Turchia o Grecia”. Insomma, oggigiorno attraversare l’oceano per giocare in serie B, per un giovane argentino, ha poco senso. “Attorno all’anno 2000 c’erano più di 150 argentini in Italia, la maggior parte in B e C1. Oggi è molto difficile che un giocatore emigri, perché la differenza in termini economici è minima. Alcuni vanno in Brasile, e quelli che attraversano l’oceano mirano alla Spagna. La lega italiana oggi non gode di grande considerazione presso giocatori e allenatori argentini”. E nemmeno presso quelli italiani, vorremmo aggiungere…
L’attualità, in ogni caso, è rappresentata dai giochi di Rio. Quali sono, secondo Lamas, le reali prospettive della selezione di Sergio Hernández? “Credo che l’Argentina abbia la possibilità di finire tra le prime otto”, pronostica Lamas. “Ma dai quarti in poi sarà dura, le avversarie sono molto competitive”. Tra le big europee, gli Stati Uniti e le nuove “grandi” della pallacanestro mondiale come l’Australia, in effetti, la zona delle medaglie sembra stavolta fuori portata per Ginobili e compagni. Ma a scommettere contro il mancino di Bahía Blanca e gli altri membri della generazione d’oro, negli anni, ci hanno provato in molti, da Vlade Divac a LeBron James. E raramente è stata una scelta saggia.