BUENOS AIRES – Vincere al primo colpo, pur investendo molto di più dei concorrenti, non è facile: ce lo insegna il facoltoso Bayern Monaco, messo in riga anche nell’ultima stagione dal Brose di Andrea Trinchieri e, guardando in casa nostra, anche l’Olimpia Milano, che in oltre un decennio di investimenti di Armani ha portato a casa – e in tempi recenti – solo due scudetti e una Coppa Italia. In Argentina, però, c’è un club che ci è riuscito, e non è un club qualunque: è il San Lorenzo de Almagro, cuadro storico del calcio argentino che – non tutti sanno – vanta un passato glorioso anche nella palla a spicchi. In Italia, finora, nessuno ne ha raccontato l’epopea, dai trionfi passati alla rinascita passando per gli anni bui della decadenza (coincisi in parte con quelli della dittatura) e per tutti i suoi personaggi più rappresentativi, molti di origine italiana: lo abbiamo voluto fare noi di DB, entrando nel cuore di Buenos Aires, barrio Boedo, facendoci mostrare e raccontare in prima persona una storia che – come tutte le grandi storie di sport – trascende i confini del rettangolo di gioco ed entra in una dimensione umana fatta di sensazioni, emozioni, appartenenza, gioie e dolori. Soprattutto quando di mezzo c’è un popolo che della passione fa una bandiera.
GLI ALBORI – “Tutto nacque da un gruppo di ragazzi innamorati del pallone nel 1907”, ci racconta lo storico del club, Adolfo Resnik. “Negli anni ’30, dopo i primi successi nel calcio, sotto la guida del famoso dirigente Pedro Bidegain (a cui è dedicato lo stadio, ndr), il club si apre ad altri sport: arrivano il basket, il pattinaggio artistico, il tennis, e poco alla volta il club diventa polisportivo. A partire dagli anni ’40 arriva anche il basket femminile e nel ’41 la sezione maschile si laurea campione, dando inizio ad un ciclo trentennale che vede il San Lorenzo diventare la squadra più importante del paese”. Come ogni epopea che si rispetti, anche quella dei Cuervos ha le sue pietre miliari: “Nel 1950, anno in cui l’Argentina si laurea campione del mondo di basket, il San Lorenzo vince 8 dei 9 tornei disputati, ma per motivi politici i suoi giocatori non vengono chiamati in Nazionale. Il San Lorenzo giocava solitamente al Viejo Gasómetro, unico campo da basket in terra battuta del paese, ma le fasi finali si giocano al “Luna Park” di Puerto Madero, ex tempio della boxe da oltre 10.000 posti a sedere”. E a ciascuna pietra miliare, ovviamente, corrisponde una generazione di eroi, molti dei quali hanno nomi che tradiscono origini italiane. “I personaggi da ricordare sono numerosi: Paco Del Río, messosi in evidenza contro gli Stati Uniti nel 1938, coach Oscar Rigiroli, i fratelli Aldo e Hector Peyrú, ma anche Armando Bo, successivamente famoso come cineasta, Salvador Capece e José Biggi, il Manu Ginobili dei suoi tempi. Il San Lorenzo arrivò addirittura a pagare per acquistarlo, ma il basket all’epoca era considerato amatoriale e Biggi fu sospeso per un periodo, per poi tornare e laurearsi campione nel 1946. Quella squadra, in cui figuravano altri grandi come Alberto Trama, Jaime Pérez, Romagnolo, Alfredo Belli, fu consacrata anche da “El Gráfico”, la rivista storica dello sport argentino.”
Sul club e sull’intera nazione, però, incombono ombre scure che vanno ben al di fuori della sfera sportiva: “Negli anni ’80 il San Lorenzo perde lo stadio a causa di alcuni traditori interni e della dittatura di Videla, che non lo vedeva di buon occhio e aveva progetti edilizi per l’area del Gasómetro. È lì che scompare il basket: nel 1985 inaugura il campionato con la prima partita in quanto squadra emblematica, ma non arriva a disputare 20 incontri”.
LA VUELTA A BOEDO – Ed è da qui, da questa ferita aperta, che è ripartito il progetto di rilancio della palla a spicchi rossoblu: “Il progetto nacque 3 anni fa, quando decidemmo di partecipare alla terza serie argentina, poi passammo alla seconda e infine alla massima serie”, ci spiega il massimo dirigente della sezione cestistica, Alejandro Maccio. “Sarà il primo sport a tornare al terreno originario nel quartiere Boedo, dal punto di vista simbolico il più importante obiettivo istituzionale del club”. E infatti, per la prossima stagione, è pronto il nuovo Polideportivo Roberto Pando da 2000 posti a sedere, eretto a fianco di quello che, dal 2018, sarà l’Estadio Papa Francisco, in onore del più celebre tifoso e socio del club. Jorge Bergoglio, infatti, fu uno dei tanti bambini di famiglia umile che sgambettarono sui polverosi campi da calcio del San Lorenzo; e si racconta che il padre Mario giocò nella sezione cestistica ai suoi albori, pur se non ne rimangono tracce negli archivi.
Quel che è certo, è che il San Lorenzo è stato ed è molto più di una squadra sportiva professionistica. Come la maggior parte dei club argentini, infatti, è concepito innanzitutto come club polisportivo aperto a tutti, per praticare il proprio sport preferito, fare qualche bracciata in piscina o anche semplicemente trovarsi con gli amici consoci. E in passato aveva un respiro ancor più ampio: “Il Viejo Gasómetro non era un semplice stadio”, ricorda Resnik. “Era un luogo di incontro, era un’università popolare con decine di eventi culturali: c’erano corsi di lingue, di musica, di ballo, si studiavano fotografia, filatelia, disegno… Oltre a tutte le discipline sportive. Sognare il ritorno a Boedo significa sognare quel mondo”.
CAMPEONES – È inevitabile, così, che il club ti entri nelle viscere. Non è solo il club a far parte della tua vita, ma sei tu – socio e sportivo – a entrare nella vita quotidiana del club. Un rapporto di dare e ricevere che da giovane sperimentò anche Julio Lamas, attuale head coach del Ciclón (uno dei tanti nomignoli del club) ma noto in tutto il mondo per aver guidato la nazionale dal 2008 al 2011 contribuendo agli ultimi successi della Generación dorada del basket albiceleste (oro e bronzo ai campionati FIBA Américas 2011 e 2013). “Quando, nel 2015, mi è stato offerto il ruolo di capo allenatore, ho sentito vibrazioni positive e ho avuto l’intuizione di accettare”, ci racconta Lamas. “È stato rapido e inaspettato, ma anche romantico, essendo io tifoso del San Lorenzo”. Un’intuizione – con il senno di poi – quanto mai azzeccata, dato che da neopromossa, pur se dopo alcuni ritocchi in corsa, è arrivato il trionfo. Il 4-0 in finale a La Unión de Formosa non lascia spazio a molti dubbi: gli azulgrana, guidati dall’eterno Walter Herrmann, da pochi statunitensi utili alla causa e da alcuni dei migliori argentini rimasti in patria (quali Marcos Mata, Gustavo “Penka” Aguirre, Lucas Faggiano e Fernando Martina), non hanno lasciato speranze alle avversarie nei playoff, pur avendo concluso la stagione regolare della Conferencia Sur appena al quarto posto.
Tra loro c’era anche un argentino che in patria ci è tornato, dopo essere diventato “giocatore” in Italia: è Bernardo Musso che, dopo aver accettato e vinto la sfida di misurarsi con un campionato che aveva vissuto solo da spettatore (è arrivato in Italia a 17 anni), è tornato nella propria patria d’elezione e nella prossima stagione difenderà i colori di Ferentino. “Nel campionato argentino il gioco è più agguerrito, più sporco rispetto all’Europa”, ci spiega Bernardo. “Anche se il livello tecnico è un po’ più basso, ci sono giocatori con buoni mezzi che non riescono ad imporsi”. È stato questo, ad esempio, il caso dell’ex Scafati Josh Powell e dell’ex Reggiana (e molte altre) Troy Bell, tagliati a campionato in corso per la scarsa continuità. Quel che è certo è che nessuno potrà insidiare il record di Musso: ha vinto il 100% dei campionati che ha disputato in Argentina.
LA LIGA – Ma come funziona la lega argentina? “Il campionato è organizzato da un’associazione di club, come in Europa. Ma è un campionato molto duro in termini di trasferte, perché ci sono squadre di qualità in tutto il paese”, chiarisce l’Intendente Maccio. L’impressione che si ha a seguire per qualche settimana la massima serie argentina, però, è che ci sia un grande gap tra l’offerta tecnica e tecnologica e la situazione degli impianti, compresa una cornice di pubblico non sempre lusinghiera. “È così: da quando, nel 2014, la lega ha cambiato dirigenza, ha avviato una campagna di marketing molto interessante, iniziando la trasmissione web delle partite e offrendo nuovi servizi ai club per attrare più pubblico. Ma per quanto riguarda gli impianti siamo abbastanza indietro in tutto il paese. Il primo passo è migliorare il più possibile i palasport esistenti, il prossimo sarà la costruzione di impianti degni del valore di questa lega e dei suoi giocatori”.
Il San Lorenzo, membro fondatore della prima lega argentina, sta provando a farsi capofila di questa transizione, ma non tutti possono contare sulle stesse basi finanziarie: i budget dei club di punta si aggirano sui due milioni di euro complessivi, ma quelli meno facoltosi superano a fatica il mezzo milione. E considerando che per assicurarsi le prestazioni dei migliori argentini o stranieri servono almeno 100 mila euro annuali, è evidente come le squadre di medio-bassa classifica debbano dare fondo alle proprie casse per poter anche solo restare a galla. Se a questo si aggiunge che ovunque, dalla problematica capitale alle province cestofile del nord, gli enti pubblici non stanno certo attraversando la propria epoca più florida, con povertà in aumento, dissesto urbano e inflazione ancora cavalcante (nonostante il freno posto dal nuovo governo), la soluzione del problema impianti appare piuttosto lontana.
Insomma, con un po’ di fortuna e buona pianificazione, il San Lorenzo sembra destinato a dare vita ad una nuova dinastia nel basket argentino e internazionale (giocherà anche la Liga de las Américas, l’Eurolega sudamericana), anche perché i fondi non mancano: a garantirli ci penseranno il “fratello maggiore” calcio, i nuovi impianti di proprietà e – non meno importante – la forza catalizzatrice di ambizioni, attenzione mediatica e sponsor incarnata dal vicepresidente Marcelo Tinelli: celebrità argentina con molti amici influenti e il San Lorenzo nel cuore, Tinelli è stato tra i principali promotori della vuelta a Boedo e del ritorno ad una maggiore polisportività del club fin dal momento in cui, tre anni fa, si è insediato a capo della nuova dirigenza con Matías Lammens e Roberto Alvarez. Un progetto articolato e lungimirante, il loro, che – almeno sulla carta – non trascura alcun dettaglio: “La nostra intenzione, con la vendita di abbonamenti, biglietti e la sponsorizzazione del palasport, è di autofinanziarci”, ci spiega ancora Maccio. “E al di là del progetto sportivo c’è un progetto sociale: vogliamo che nel giro di 2-3 anni a Boedo ci siano 400-500 bambini che, invece di rimanere in strada, giocano a basket”. Spirito vincente, senso di appartenenza e impegno sociale: lo sport moderno nella sua massima espressione. E con una benedizione (letteralmente) davvero speciale…
QUI la prima puntata del reportage
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