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LA DECIMA DEI BLANCOS – Dopo la decima calcistica (ormai superata dai nuovi successi del Real di Zidane) la Casa Blanca aggiunge alla sua bacheca anche il decimo trofeo continentale a livello cestistico. Un traguardo storico che aumenta ancora di più l’aura di grandezza del club spagnolo. E questo trofeo è probabilmente iconografico di quello che vuol dire essere Real Madrid, indipendentemente dal budget e dalla potenza (anche politica) del club. La stagione appena chiusa è stata probabilmente la più complicata a livello mentale, perché doveva essere quella di transizione, in attesa che Doncic volasse negli States, con Fernandez e Reyes al capolinea, con l’infortunio di Llull a settembre che aveva aperto un vuoto quasi incolmabile nel backcourt. E poi problemi di assetto in corso d’opera, una regular season spesa ad inseguire, l’infortunio di Campazzo nel momento in cui il giocatore argentino sembrava aver preso in mano la squadra. Ma non si è il Real Madrid per caso ed i giocatori in camiseta blanca nell’ultimo mese hanno cambiato passo, ad iniziare da una serie playoff dominata con il Panathinaikos e poi una Final Four giocata con la testa prima che con braccia e gambe. Una vittoria che nasce dalla difesa di squadra capace di limitare il CSKA Mosca prima ed il Fenerbahce dopo, riuscendo a trovare nel cammino verso il trionfo attori insospettabili e diversi, come Ayon e Llull in semifinale, Tavares in finale, ma soprattutto Thompkins e Causeur in entrambe le sfide, veri valori aggiunti di una squadra che è riuscita a tirare fuori il meglio di sè nel momento più importante della stagione.
(credits EuroLeague Basketball)
LUKA DONCIC – Menzione più per quello che il campioncino sloveno ha fatto negli ultimi 10 mesi, che per le sue prestazioni nella due giorni di Belgrado. Non si può non menzionare un ragazzo di 19 anni che nello stesso anno è stato All-EuroLeague First Team ed ha vinto il premio di Rising Star (per il secondo anno consecutivo), di MVP della stagione e di MVP delle Final Four, senza dimenticare il titolo europeo vinto con la Slovenia. La sua stagione è stata esemplare soprattutto sotto il profilo mentale, non facendo (quasi) più vedere quei momenti di frustrazione e nervosismo che, probabilmente accettabili in un normale 19enne, devono essere eliminati da chi si avvia a diventare (probabilmente) il più grande giocatore di basket europeo nella storia della palla a spicchi. Doncic è stato fuoriclasse offensivo ma anche guida per i compagni nei momenti più difficili della stagione, caricandosi la squadra sulle spalle quando serviva. La cosa incredibile è che ha ancora ampi margini di crescita e miglioramento, soprattutto nelle letture offensive e difensive, dove spesso e volentieri si lascia guidare dal talento e dall’istinto. Resta un unicorno nel panorama cestistico europeo ed è quasi un peccato che da questa parte dell’Oceano non potremmo più vederlo con continuità per i prossimi anni, ma un talento di questa portata merita di attraversare la pozza e confrontarsi con il basket americano. Dove c’è il serio rischio che possa fare molti danni.
(credits EuroLeague Basketball)
FABIEN CAUSEUR / TREY THOMPKINS – O come si direbbe in questi casi, “la classe operaia che va in Paradiso”. A nostro sindacabilissimo giudizio i veri MVP delle Final Four. Due giocatori comprimari nelle rotazioni di Laso ma che, per un verso o per l’altro, sono diventati fondamentali nei playoff e nell’atto finale. Thompkins è stato fondamentale in tutta la stagione nel far pesare poco l’incredibile involuzione di Randolph, finendo per sostituirlo nelle rotazioni. La sua semplicità sta nel fare sempre la cosa giusta al momento giusto, concedendo nulla all’apparenza e tutto alla sostanza. Ci sarà un motivo se è stato il miglior giocatore del Real in termini di valutazione al termine del weekend di Belgrado (18, Doncic si è fermato a 17.5 di media), chiuso con 11 punti di media, 5/9 al tiro e 5.5 rimbalzi di cui l’ultimo, in attacco, quello che ha consegnato la coppa al Real. Fabien Causeur è probabilmente l’anti-eroe per eccellenza, giocatore che ha attraversato la sua carriera facendo spesso e volentieri il comprimario di lusso, ma che nei momenti importanti ha sempre risposto presente, come ad esempio nelle finali di Bundesliga dello scorso anno e nell’ultimo weekend di Belgrado dove Laso, con Campazzo fuori condizione e Llull che ancora non può garantire troppi minuti di qualità, ha trovato nel ragazzo di Brest l’uomo dei sogni. Quello che entra nel secondo quarto della semifinale e mette una tripla importante per dare il là alla rimonta, oppure sempre in semifinale infila la tripla del +7 a metà del terzo quarto. Ma il capolavoro Causeur lo fa nel terzo quarto della finale, dove mette 13 dei suoi 17 punti finali, guidando il Real al sorpasso decisivo, con le sue triple (5/5 il suo score nelle Final Four) i suoi assist e la sua difesa. E come qualsiasi anti-eroe alla fine festeggia ma lascia agli altri il podio ed il premio di MVP, ma tutti i suoi compagni sanno che senza di lui forse la decima non sarebbe arrivata.
(credits EuroLeague Basketball)
NICCOLO’ MELLI – Ci inchiniamo e ci leviamo il cappello di fronte alla crescita di Niccolò Melli, capace nel giro di 36 mesi di passare dai 5.3 punti di media con il 40% al tiro dell’ultimo anno di Milano ad una finale di EuroLeague da 28 punti e 6 rimbalzi con il 68% al tiro, al termine di una stagione chiusa da assoluto protagonista in una squadra da titolo, dopo due anni di costante crescita al Bamberg. Oggi il suo status è quello di star europea, ben lontano da quel pulcino impaurito degli anni milanesi, in cui al primo errore veniva messo in discussione. Alla corte di Trinchieri prima e Obradovic poi, Melli ha imparato che l’errore fa parte del suo lavoro ma che sei fai la cosa giusta non verrai mai messo in discussione e lui ha sorvolato sulla stagione di EuroLeague facendo spesso e volentieri la cosa giusta e diventando imprescindibile nello scacchiere di Zelimir Obradovic, tanto da essere dopo Jan Vesely il giocatore più utilizzato nella stagione con oltre 26′ di media passati in campo. Inutile dire che questo Nick Melli non può che fare bene al nostro basket, sempre che il nostro basket sappia prendere il meglio da Nick e sfruttarne realmente il suo talento. Cosa che finora non è stato in grado di fare.
OBRADOVIC ED I SUOI DISCEPOLI – E’ stata una Final Four che ha celebrato una scuola, quella di Zelimir Obradovic. Una scuola che non esiste ma che continua a vincere in Europa e che probabilmente continuerà a vincere anche nei prossimi anni. E’ la scuola di quegli ex giocatori di Obradovic a cui il coach serbo ha lasciato un’impronta profonda e che oggi lo sfidano, con il rispetto degli allievi verso il maestro, provando a metterlo in difficoltà ed a batterlo. In semifinale Jasikevicius ha subito una lezione difensiva dal suo maestro nella prima parte di gara, prima di metterlo in difficoltà nel terzo quarto per poi cedere sotto il peso di una squadra più lunga e ricca di talento senza aver prima dimostrato che il futuro sarà quasi sicuramente suo. Pablo Laso, diversamente da Jasikevicius, è già un allenatore affermato ma finora è sempre passato per un uomo fortunato che si è trovato al posto giusto nel momento giusto, ma questa stagione e queste Final Four sono stati il suo capolavoro e probabilmente hanno segnato quello step in più che mancava a Laso per essere inserito tra i grandi della panchina. Riguardo al capostipite, a Zelimir, non c’è molto da dire. Ha raggiunto la terza finale in tre anni, con squadre diverse e protagonisti diversi, poteva essere l’EuroLeague che lo consacrava definitivamente al rango di Mito, ma la figura di personaggi come Zelimir si costruisce anche attraverso le sconfitte ed a settembre la sua voglia di rivincita sarà ancora più grande.
DOWNS
CSKA MOSCA – 15 partecipazioni nelle ultime 16 edizioni delle Final Four, 9 nelle ultime 10 ma solo 3 successi, di cui 1 solo nell’ultimo decennio. I numeri forse non sono tutto ma nel caso del rapporto tra il CSKA e le Final Four sono un ottimo indicatore di un disagio ormai quasi fisiologico nell’affrontare l’ultimo e decisivo appuntamento della stagione. Chi pensava che il successo del 2016 avesse tolto la scimmia dalle spalle alla squadra russa si è dovuto ricredere subito viste le due sconfitte consecutive in semifinale. Così come lo scorso anno, il CSKA si è sciolto ad un passo dalla gloria quasi incapace di esprimere il basket di qualità mostrato per tutta la stagione. A dire il vero quest’anno qualche attenuante la squadra di Itoudis ce l’aveva, leggi una condizione fisica non eccelsa in giocatori chiave come De Colo e Hines (in realtà tra i migliori della semifinale). Ma quello che è mancato è proprio la natura stessa del basket, il saper soffrire e uscire insieme dai momenti di difficoltà, il saper difendere ed attaccare insieme, e soprattutto l’incapacità di reazione, dei giocatori e della panchina, quando il Real ha preso in mano la gara. 43 punti subito nei quarti centrali, 72 negli ultimi 3 il 40% al tiro ed i “soli” 14 assist complessivi, sono solo alcuni dei numeri che spiegano una sconfitta senza attenuanti. Il CSKA ci proverà di nuovo la prossima stagione, provando a non ripetere gli stessi errori, ma per capire quali sono probabilmente servirà uno bravo. Non in campo ma nello studio dello psicanalista.
(credits EuroLeague Basketball)
MILAKNIS / ULANOVAS – Tralasciando l’inutile vittoria nell’ ancora più inutile finale 3^/4^ posto, la sconfitta dello Zalgiris in semifinale nasce soprattutto dalle prestazione di due giocatori come Arturas Milaknis ed Edgaras Ulanovas, tatticamente indispensabili nel sistema di gioco di Jasikevicius. E’ vero, Pangos ha faticato contro la difesa del Fener, che lo ha tenuto fuori dal match per larghi tratti, Jankunas ha dovuto girare al largo dal canestro, Micic e Udrih hanno sbagliato partita, ma Milaknis e Ulanovas erano gli uomini di cui aveva bisogno lo Zalgiris per provare a mettere paura al Fener, con la loro duttilità difensiva ed offensiva. Milaknis ha preso solo due tiri in tutta la partita, soffrendo più di tutti le difficoltà dello Zalgiris nel costruire tiri puliti, mentre Ulanovas è stato cancellato dal campo da Melli e Datome, confermando la sua stagione da alti e bassi e soprattutto un carattere fragile che viene fuori quando il gioco si fa duro. Per Milaknis è stata forse l’ultima fermata a questo livello, Ulanovas potrà avere altre carte da giocare sempre che riesca a lasciare il ruolo di eterna promessa per diventare un vero leader.
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