È da molti giorni che volevo scrivere qualcosa, ma non l’ho fatto perché, penso come tutti voi, sono stato totalmente sommerso da un’indigestione di sport, di tutti i tipi, non solo, ma fra gli eventi che si sono svolti tutti quanti insieme c’erano moltissimi che mi interessavano da molto vicino. Quali? Teniamo un po’ di suspence e vediamo quelli che proprio non possono fregarmi di meno. Allora, mi dispiace gente, ma del vostro Sei Nazioni di rugby, ammettendo che si tratta di uno sport nobile e che capisco come a tantissima gente possa piacere, non mi interessa un bel nulla, essendo, appunto, rugby, uno sport che è agli antipodi di quanto io immagino come sport di squadra (sport, cioè divertimento, creatività, gioia, voglia di prendere in giro l’avversario, non un esercizio propedeutico per l’addestramento di un plotone di Navy Seals). Altro evento che mi lascia freddo, anzi glaciale, è la lotta neozelandese fra aerei acquatici.

Ammetto, si tratta del picco agonistico di una grandissima ricerca scientifica (intrapresa certamente per migliorare in modo accessibile a tutti il mondo in cui viviamo – o no? – per dire che mi sembra onanisticamente fine a se stessa o al massimo per quelli che possono permettersi di comprare barche e di andare in crociera), ma se già la Formula Uno mi piace sempre meno da quando il pilota conta sempre meno, immaginarsi che emozioni possa darmi vedere evoluire uno shuttle progettato a tavolino. Cosa c’entra con lo sport? Scusate, ma sono fortemente condizionato dal fatto che da quando sono piccolo vedo la vela come il classico passatempo per figoni e/o ricconi. So che non è (sempre) vero, ma dovete scusarmi. E infine, mi scuserà Franz e spero che rimarremo amici, altrettanto non mi frega un tubo dell’NCAA. Come puoi giudicare se non la guardi? Perché vedo le famose prime scelte che escono dal primo anno del college (sempre che almeno quello lo facciano) e poi vanno a infestare le squadre dell’NBA. Estrapolo e, visto che le suddette sedicenti stelle sono per me perfetti cessi, o detto altrimenti, bestioni dal fisico debordante che non sanno giocare a basket (anche se, ed è per questo che mi piange il cuore quando li vedo perpetrare evacuazioni a tamburo battente, molti, presi per il verso giusto, avrebbero tutte le doti per poter essere giocatori veri), faccio le debite considerazioni e decido che, se queste sono le stelle, immaginarsi i giocatori medi. Strettamente a ruota va la considerazione che posso avere per il weekend delle stelle (?) dell’NBA. Casualmente, facendo zapping, sono capitato sulla partita delle stelle e ho capito solo dopo cinque minuti che tecnicamente era una partita, in quanto vedevo dieci persone che camminavano per il campo con un pallone e ogni tanto uno tirava a casaccio verso il canestro. Una vergogna assolutamente intollerabile per uno come me che ama il nobile giuoco del basket.

Rimanendo a parlare di basket posso fare il passo successivo e cominciare ad elencare le cose che ho guardato con interesse medio, diciamo così. Fra di esse ci sono state le partite che ho visto tanto di campionato che di Eurolega. Dico subito che dopo molto tempo ho avuto il piacere di guardare una partita tutta intera ed è stato il “clasico” fra Barcellona e Real Madrid, partita vera di basket vero. Per cosa intendo per basket vero vi darò subito un esempio. Barcellona in attacco con Mirotić che si pone in post basso con Davies (giocatore che capisco sempre più perché Jasikievičius lo abbia portato con sé dallo Žalgiris al Barca – l’uomo non è stupido, anzi) che si mette in lunetta a non rompere le palle e a creare spazio. Mirotić parte in uno contro uno e la guardia a centro area va ad aiutare. Calathes taglia, riceve la palla e segna da sotto in perfetta solitudine. Azione successiva: replay e stesso svolgimento con facile canestro da sotto. Azione ancora dopo: la guardia, mangiata la foglia, rimane a controllare il taglio di Calathes e allora Mirotić perfeziona l’uno contro uno e va a segnare. Ecco, per dire, questo è il basket che capisco e che mi interessa. Il passo successivo dal punto di vista tecnico è ovviamente come fare per la difesa per impedire uno svolgimento del genere. La cosa più ovvia e logica è quella di ruotare le marcature in modo più corale, cosa fra l’altro che ogni difesa che si rispetta dovrebbe fare secondo l’idea che ogni raddoppio lascia un giocatore avversario solo per ovvie ragioni aritmetiche di numero di persone in campo e la cosa migliore da fare per la difesa è quella di lasciare solo l’uomo in quel momento meno pericoloso. Però l’attacco può reagire a ciò ponendo nella posizione dell’uomo più lontano dalla palla un eccellente tiratore che può alla fine di una veloce rotazione ricevere la palla per un incontrastato tiro da tre. Una delle cose che diceva il mio mentore Mik Pavlović era che tutte le statistiche dicevano che il tiro da lontano aveva percentuali nettamente superiori se scoccato verso la fine del tempo di attacco, che allora era di 30 secondi. Cosa fra l’altro molto logica se pensate che, intanto, dopo aver mosso la difesa (nei tempi antichi per creare buoni tiri si muovevano sia tutti i giocatori che la palla) per i primi secondi dell’attacco, questa non poteva non stancarsi sbagliando magari qualche rotazione e in più il tiratore aveva tutto il tempo per mettersi nel ritmo giusto, come si dice oggi, visualizzando molto meglio la sua posizione in campo rispetto al canestro. Per non parlare che anche psicologicamente era molto più concentrato e focalizzato sul fatto che non poteva non premiare il gran lavoro fatto dai compagni. La lunghissima esperienza maturata in 50 anni che seguo il basket dapprima come coach e poi come giornalista mi conferma in pieno questo assunto, e questa è un’altra ragione per cui penso che basare l’attacco sul tiro da tre come prima opzione sia una vera e propria bestemmia, professa e propugnata solamente dai ciarlatani adoratori dei numeri che di basket vero non capiscono una mazza totale. Il tiro da tre è in definitiva un’arma letale se la si possiede, ma deve venire sempre a complemento di un gioco d’attacco armonico e ponderato che preveda come prima missione l’apertura della scatola, come si dice, e dunque deve essere adoperato a fine attacco e mai prima. O almeno, secondo ogni logica, dovrebbe.

Del campionato italiano non parlo perché ogni cosa che potrei dire potrebbe incriminarmi e dunque mi appello al Quinto Emendamento, come dicono nei legal thriller americani. Ho visto partite che ho etichettato in serie come le più brutte mai viste in vita mia, salvo poi battere questo record subito alla partita successiva. Tra Trento-Milano e Trieste-Cantù non potrei dire quale abbia fatto più schifo. Ieri ho visto Varese-Pesaro e Treviso-Fortitudo e le impressioni sono purtroppo le stesse. Con qualche eccezione: per esempio guardando Varese vedo un ragazzo con il numero 5 che fa una bellissima entrata segnando da sotto e subito dopo batte ancora il suo uomo, legge perfettamente la situazione e segna con un tiretto da centro area. Mi dico: guarda che bravo, uno che guarda e attacca il canestro e dunque pratica l’ormai obsoleto penetra-e-segna, e mi chiedo chi possa essere. Dovete sapere che quando guardo le partite su Eurosport giro l’audio regolarmente sui suoni d’ambiente per vedere la partita mia e non quella che ogni tanto vedono i commentatori quando si decidono a parlarne e non a sparare battute fra di loro su cose che con la partita non c’entrano un tubo. Finalmente individuo il nome sulla schiena e vedo che si tratta nientemeno che del fratellino di De Nicolao. Per me il ragazzo è fortissimo (al livello di Zanelli di Brindisi) e dunque, come normalmente succede in Italia, gioca poco. Evidentemente non capisco un cavolo di basket, perché in una mia squadra lui sarebbe il mio play titolare a prescindere, investimento sicuro per il futuro. Parlando poi di Treviso vedo un semilungo barbuto che grazie a un gran senso della posizione e a un tiro di stampo artigianale e autodidatta (se gli è stato insegnato da un istruttore di quelli di adesso presentatemelo che gli pago una cena), ma con la mano molto sensibile, segna come e quando vuole e alla fine scopro che si chiama Valdera (mai sentito prima né sapevo che esistesse – Skuer, se ci sei ancora, potresti ragguagliarmi?) e che è fresco reduce dalla laurea. Che il basket continui a essere, malgrado tutto, uno sport logico per gente intelligente? Mi piacerebbe crederlo. Soprattutto vedendo dall’altra parte Totè che ha un fisico micidiale e potrebbe essere un crack se solo lo volesse. E’ così difficile trovare in Italia uno che abbia il fisico di Totè e la testa di Valdera? Sembra di sì. Che poi sia Varese che Treviso le abbiano tentate tutte per perdere una partita ampiamente già vinta con cagate al limite del tragicomico ha solo aggiunto un po’ di pepe a due partite che mi hanno comunque divertito.

Ho guardato poi con molto interesse tutti i Mondiali degli sport della neve. Per quanto riguarda Cortina ho imprecato per Pinturault, perché se c’era uno che meritava di vincere era lui, ho annotato la straordinaria botta di culo di De Aliprandini che ha salvato la spedizione italiana, ho apprezzato la nuova pista di discesa maschile che mi sembra tosta e molto spettacolare. Per i Mondiali di biathlon la cosa che più mi è rimasta impressa è stato l’ultimo poligono di Dorothea Wierer nella staffetta sprint a coppie. Lo sport è proprio crudele: da una probabile vittoria alla medaglia di legno per la differenza di neanche un centimetro. Poi ci sono stati i Mondiali dello sci nordico a Oberstdorf. Archiviata la totale sparizione dell’Italia neanche dai vertici, ma proprio dal livello medio, e la ragione per cui questo è successo qualcuno dovrebbe pure spiegarmela (ci saranno responsabili? Cosa succede perché non si palesi neanche un mezzo vero talento? Sono i tempi? Cos’è?), ho ovviamente gioito per le sei medaglie slovene che avrebbero dovuto essere due in più, e in più le ragazze hanno gettato al vento (per un punto e mezzo su 900 totali) con Ema Klinec una strameritata vittoria nella gara femminile di salto a squadre letteralmente regalandola all’Austria, cosa che mi ha, come dire, inviperito non poco. Però visto cosa ha fatto l’Italia bisogna accontentarsi, anzi, bisogna essere proprio contenti. L’unica cosa che non mi va è perché i norvegesi siano talmente debordanti, superiori in modo imbarazzante. Sanno forse qualcosa che noi non sappiamo? O sono semplicemente una specie di razza superiore? Oddio, quando uno vede i vari Warholm e Jacob Ingebrigtsen, oppure Haaland, o addirittura un Hoevland, che per chi non lo sapesse è il maggior talento mondiale in questo momento nel golf (!!), qualche dubbio comincia a venire.

Sono dunque arrivato al momento dei highlights assoluti di questo mese di scorpacciate sportive, quelli che mi hanno inchiodato in poltrona. Intanto ci sono stati tre grandi tornei di golf, il WGC sul magnifico campo del Concession di Nicklaus, l’Arnold Palmer Invitational e il TPC sul mitico campo di Sawgrass in Florida con la famosa buca 17, quella dell’isola in mezzo al lago. So benissimo cosa ne pensate, in sintesi per voi il golf è esattamente quello che per me è il rugby o la vela. E inoltre, se la vela è sport per benestanti, diciamo così, tanto più ciò vale per il golf. Io vedo invece il golf come una specie di grande biliardo a tre dimensioni, un gioco di colpo d’occhio, di tecnica e sensibilità di braccio (lo swing del golf, lo stacco dal dente nel salto con gli sci e l’azione dello strappo nel sollevamento pesi sono momenti sublimi di sport, quelli nei quali tutto deve essere perfetto in un’infinitesima frazione di secondo – per agganciarmi a quanto detto nel post precedente sono questi tre gli sport nei quali l’uomo non avrà in un lontano futuro dominato dai robot umanoidi nessuna possibilità di batterli), di strategia e di straordinaria solidità mentale. Ma non vi interessa, per cui suppongo che non potrebbe fregarvi di meno di come è andata.

Ci sono stati in Polonia gli Europei indoor di atletica, dei quali non mi sono perso niente. La cosa che intanto mi piace di più è che l’Europa si sta pian piano meticciando. Ormai sono tantissimi gli atleti che hanno nei cromosomi geni provenienti da mondi diversi, e sono quelli che, per pure e semplici ragioni naturali che prevedono per ogni specie vivente la maggior possibile circolazione e incrocio di geni diversi, hanno una marcia in più. Vedere una Larissa Iapichino fa bene al cuore, è una che ha davanti a sé un futuro splendido. Come fa bene al cuore sentire uno Jacobs che parla con un perfetto accento lombardo o un Dal Molin che a sentirlo sembra Pennacchi che fa il Pojana. E inoltre in queste occasioni si scoprono talenti nuovi che uno si chiede ma da dove cavolo possano venire e chi li ha messi al mondo. Tipo l’olandesina dei 400 Femke Bol, una che sembra creata da un computer per come corre. E poi l’atletica rimane per me sempre e comunque la regina degli sport, quello più puro nel quale l’essere umano fa le cose più spontanee e essenziali: corre, salta e lancia. Basta che non venga confusa con altri sport aggiungendo attrezzi che con l’atletica nulla hanno a che fare. E più che alla ginnastica ritmica, sport che non ho mai capito né mai capirò, penso a un altro sport che vi lascio indovinare, dove l’attrezzo sconosciuto ai più è un pallone arancione.

E infine l’apoteosi: le corse ciclistiche di queste ultime due settimane. Per le Strade Bianche sono stato letteralmente incollato per tre ore alla poltrona. Mai viste prima, ed è stata una rivelazione, uno squarcio di luce improvvisa. Una Roubaix accoppiata alle Fiandre che si corre nell’incomparabile scenario toscano con arrivo in uno dei posti più belli che ci siano al mondo dopo una salita finale micidiale. E infatti c’erano tutti i più forti al mondo, a parte Roglič, e tutti sono finiti ai primi posti, visto che la corsa è una corsa solamente per campioni. I quali si sono poi riversati sulla Tirreno-Adriatico, altra corsa magnifica dove i fenomeni se la sono data di santa ragione dando spettacolo a ogni chilometro. Che poi, almeno prima dell’ultima tappa, il più forte di tutti si sia rivelato Tadej Pogačar, me lo consentirete, è per me un grandissimo valore aggiunto. Ho goduto come un suino quando ha fatto l’attacco chiave nella incredibile tappa dei muri al momento giusto, quando davanti aveva un punto di appoggio di due corridori in fuga (dietro a Van Der Poel che già da solo, per quello che ha fatto, meritava in pieno l’intero costo del biglietto), per dare la stoccata finale a un fenomeno assoluto quale Van Aert. Il buon Tadej è diventato ormai tanto forte che hanno cominciato anche, per rispetto, a pronunciare il suo cognome con l’accento giusto, cosa  tutt’altro che scontata. Di converso ho tirato giù dall’Empireo tutto il tirabile quando ho visto la sfiga colossale che incombe su Roglič quando corre in Francia. In due anni tre corse a tappe nelle quali è in maglia gialla fino all’ultimo giorno di vera gara, e sempre con un pugno di mosche per sfighe assurde. Stavolta cade in discesa, si sloga una spalla (lo sapevate?), se la rimette a posto in corsa e la squadra lo riporta in gruppo. A meno di 30 km ricade sempre nella stessa discesa, ormai la squadra non c’è più e lui rimane solo alla deriva. In una corsa nella quale la sua superiorità è stata ridicola, oltre il limite dell’imbarazzante. Pazienza, c’est la vie (ma perché sempre Roglič, maledetta barca?), però rompe e tanto. L’unico a godere è stato il commentatore bis di ciclismo di Eurosport che evidentemente non lo può sopportare e in ogni corsa gli gufa contro con fredda determinazione sperando che gli accada qualcosa. Stavolta non si è potuto trattenere e ha detto: “Chi la fa l’aspetti” alludendo al fatto che il giorno prima non aveva lasciato vincere un povero svizzero che era arrivato al traguardo morto e che lui aveva superato a velocità tripla facendo la volata per staccare Schachmann senza neanche accorgersene. Appena ho sentito queste parole il commentatore di Eurosport sappia che, se gli succede qualcosa, lo ha provocato il sottoscritto con tutte le cose sgradevoli che in un lungo elenco snocciolato per una decina di minuti ho auspicato gli succedano.

Insomma un mese che mi ha permesso di volare letteralmente questo grave momento epidemico. E ora? Con la Juve che si è suicidata contro i pellegrini del Porto non mi rimane molto da guardare. Tanto più che il Campionato sta per andare (inevitabilmente, purtroppo) nella direzione che ogni juventino di qualsiasi età non vorrebbe mai che andasse. A questo punto speriamo che succeda qualcosa di buono sul fronte sanitario e che si possa ritornare ad una vita sociale decente. Appena succederà sappiate che sarà convocata una sconvenscion a tamburo battente.