La nuova Tbilisi Arena (foto A. Rizzi)

Conclusa la prima fase, con il “carrozzone” che si sposta a Berlino, è ora di un primo bilancio di questo Eurobasket 2022. Ci concentreremo sul girone di Tbilisi, che il nostro inviato ha seguito sul posto.

I principali protagonisti, in un certo senso, sono stati… gli assenti: dopo la cinquantina di paganti della partita d’esordio Spagna-Bulgaria (non un big match, ma pur sempre con i campioni del mondo in campo), la situazione non è molto migliorata nelle giornate seguenti. Hanno fatto eccezione – ovviamente – i match serali della Georgia, ma persino con i padroni di casa in campo i seggiolini vuoti non mancavano. Complici, probabilmente, i prezzi decisamente elevati (12 euro per l’ultimo anello) per le tasche dei georgiani. Non hanno mancato di farlo notare i coach, in particolare Sergio Scariolo, che ha scherzato “c’erano più parenti di Brown (americano in forza alla Spagna, ndr) collegati via internet che spettatori al palasport”. Burbero come al solito, il CT turco Ergin Ataman ha invece espresso uno schietto disappunto, paragonando questo girone a un torneo juniores: il suo perché siamo qui è già diventato un piccolo tormentone. Sarà forse per riscaldare l’ambiente che si è fatto espellere assalendo gli arbitri (ai limiti dell’aggressione fisica) nella finale della sfida (poi persa al supplementare) contro i georgiani.

Di motivi per esserci, in realtà, ce n’erano in abbondanza, e non ci riferiamo soltanto ai vini georgiani. Ma proprio per l’importanza che la tradizione enologica riveste nel paese caucasico, proponiamo una pagella insolita, con un “abbinamento” tra alcuni dei più noti prodotti vitivinicoli georgiani e alcuni selezionati protagonisti (singoli o squadre) della prima fase.

 

Sergio Scariolo (foto V.V.2021)

Sergio Scariolo (CT della Spagna) – saperavi: intenso al punto giusto, buono per tutte le stagioni, anche invecchiato. Dopo il trionfo al Mondiale, si trova alla guida di una Spagna in mezzo al guado tra rifondazione post-Gasol e indisponibilità varie (Rubio, Claver, Abalde, Abrines, Llull, solo per citarne alcuni); eppure, con la solita sagacia tattica e la pazienza maturata con gli anni, il tecnico bresciano riesce anche stavolta a fare centro. Dopo lo scivolone con il Belgio, i suoi ragazzi reagiscono alla grande mettendo in riga Montenegro e Turchia, così da conquistarsi il primato nel girone. Lo sfortunato accoppiamento degli ottavi (Lituania) mette Brizuela e compagni di fronte a un’ulteriore prova di maturità.

I kvevri (anfore impiegate da millenni in Georgia per macerare il vino)

Turchia – rkatsiteli kvevri: imprevedibile, sorprendente, ma sempre a rischio di risultare stucchevole. Squadra dalle rinnovate ambizioni con Cedi Osman e Furkan Korkmaz, come i suoi due leader la Turchia va a sprazzi, andando a un passo dal primato nel girone ma cadendo di fatto nell’unica sfida giocata con la pressione del pubblico (contro la Georgia) e nell’unica giocata contro una squadra di alta caratura (la Spagna). Alcuni brani di buona pallacanestro si sono visti (in particolare quando i due di cui sopra entrano in flow o quando Alperen Sengun decide di sfruttare i mezzi fisico-atletici che si ritrova usando il cervello), ma nel complesso la transizione ossessiva e il forte peso delle individualità rendono i turchi una squadra ricca di punti deboli. Uno in più è costituito dalla stella USA Shane Larkin che, dopo una prima fase caratterizzata da più ombre che luci, ha dovuto dare forfait per un infortunio a un dito che lo porterà sotto i ferri.

Belgio – tsinandali (uvaggio di rkatsiteli e mtsvane): un mix tra componenti di origine varia – ma cresciuti in una specifica area geografica – che compongono un insieme armonico. L’”uvaggio” di gagliardi lunghi fiamminghi e atletici realizzatori afrobelgi messo insieme dal CT di origine croata Dario Gjergja è risultato vincente, valendo ai belgi un viaggio a Berlino che non era affatto preventivato. Le zampate di Lecomte, Obasohan e dell’inossidabile Tabu, unite al contributo dei lunghi, hanno permesso loro di compensare il gap di talento con quasi tutte le avversarie, conquistando un numero di vittorie pari a Turchia e Montenegro (il quarto posto è dovuto alla classifica avulsa). Perfetta la (deliberata o meno) strategia con cui i ragazzi di Gjergja hanno sfruttato il calendario: battuta all’esordio la Georgia che aveva già la mente alle sfide più probanti, dopo il KO abbastanza netto contro il Montenegro hanno sorpreso i talentuosi ma poco navigati spagnoli, rimasti sotto nel punteggio per tutta la gara credendo di poterlo ribaltare in qualsiasi momento salvo accorgersi – nell’ultimo quarto – di aver scherzato troppo a lungo con il fuoco. Compiute queste due imprese, rimaneva solo l’ultima fatica contro la Bulgaria. Gli ottavi contro la Slovenia significano eliminazione sicura, ma già esserci arrivati è un successo.

Thad McFadden – kvevri fatto in casa: dall’aspetto può sembrare simile ai migliori rappresentanti della categoria, ma all’atto pratico emerge il dilettantismo. Non ce ne voglia il buon Thad, sempre allegro e cordiale fuori dal campo, ma sul parquet la Georgia priva di Shengelia avrebbe avuto bisogno di ben altro dal suo americano. Invece lui, al di là di qualche zampata (fondamentali quelle nell’unica vittoria contro la Turchia), si limita a sparacchiare da tre (oltre 10 tiri di media a partita) e trotterellare per il campo contribuendo al disordine tattico della squadra allenata da Ilias Zouros.

Pubblico georgiano – khvanchkara dolce (uvaggio di muszhuretuli e alexandruli): arriva tardi, fa il suo dovere ma non rimane impresso. Un basket di questo livello, con talenti di NBA ed Eurolega in campo quasi quotidianamente, a Tbilisi non si vede spesso; eppure – come accennato sopra – il pubblico locale ha disertato le partite in cui non era in campo la propria Nazionale, e arrivando spesso a partita iniziata anche quando in campo c’erano i propri beniamini. Anche durante le partite della Georgia, poi, il tifo si è concretizzato sostanzialmente in esultanze per i canestri, più che in un sostegno costante. L’unico momento di furia collettiva si è avuto durante e dopo la scazzottata sfiorata tra Korkmaz e Sanadze (con relativo strascico negli spogliatoi). Del resto, boxe e lotta sono sport di lunga tradizione nel Caucaso.

Sandro Mamukelashvili – chinuri: fresco, frizzante, non sembra autoctono ma lo è. Se squadra e pubblico georgiano non sono stati all’altezza delle aspettative, l’ala nata a New York ma cresciuta a Tbilisi (e cestisticamente cresciuta a Biella) le ha invece di gran lunga superate. Certo, lo status di giocatore NBA ne può far intuire il potenziale, ma non sarebbe certo il primo ad essere rovinato dalla lega americana. L’indole individualista di marca statunitense, infatti, non manca, ma Sandro ha mostrato anche una rabbia agonistica insolita per i giocatori NBA, trascinando i suoi alla vittoria in doppio overtime sulla Turchia e facendo il possibile per trascinarli anche alla seconda fase. L’impresa è fallita, ma le prestazioni all’Eurobasket gli varranno sicuramente un maggiore minutaggio in NBA o un’allettante offerta da club di Eurolega.

Ergin Ataman – chacha: esplosivo, duro da digerire, può indurre repulsione, ma alla fine raggiunge lo scopo. Non è certo uno che ispira simpatia, il tecnico campione d’Europa con l’Efes, ma se continua a calcare i parquet più prestigiosi d’Europa (portandosi da qualche tempo in giro il paffuto figlioletto, che lo segue come un’ombra), un motivo ci sarà. E anche a Tbilisi non si è smentito, tra smorfie, risposte piccate o scene mute di fronte ai giornalisti, falli tecnici a profusione, ma anche – cosa che spesso gli succede – obiettivo sportivo raggiunto. Senza Larkin andare oltre gli ottavi sarà difficile, ma questa Turchia può contare su di un nucleo di talenti mediamente giovani che – come la buona chacha – con gli anni potrà solo migliorare.

Warm-upper – mosche nel vino: indesiderati, fastidiosi, impossibili da ignorare. Alla fine li si vorrebbe sopprimere per evitare ulteriori sofferenze a loro e a noi. Sono due caricature: uno sembra l’Uomo fumetto dei Simpson e spara a ripetizione frasi fatte da arena NBA, l’altra è una georgiana di probabili origini africane con una voce più adatta a presentare concerti di musica da camera che ad animare un palasport. Dal riscaldamento alla sirena finale non la smettono di urlare banalità e incitare goffamente il pubblico, anche quando al palasport (10.000 posti) ci sono 100 paganti e nemmeno abbastanza coppie per la sceneggiata della kiss cam. Il loro “bring the noise!” (hashtag FIBA della manifestazione, mal ne incolga a chi se l’è inventato), occasionalmente storpiato in “make the noise!”, è la litania più inascoltata dell’evento. Perché se il pubblico è ammutolito, un motivo c’è (ad esempio, la Georgia ha perso la partita); e quando il pubblico fa rumore di suo, gli speaker non li sente nessuno.

Montenegro – Montenegro: ok, non è un liquore georgiano, ma non potevamo farci sfuggire il gioco di parole. E non un paragone inappropriato, perché Dubljević e compagni sono stati un po’ come (a opinione di chi scrive) il noto drink: prevedibili, senza infamia e senza lode, con momenti di intensità ma poche ambizioni di gloria.


Meridiano13.it