Bracket Town

Bracket Town

Dal vostro inviato,

Una volte esauriti gli obblighi familiari, che impediscono un rientro adeguatamente sereno se non si portano doni alla moglie in paziente attesa, ci portiamo a Downtown dove si trova in pratica tutta la Atlanta da vivere, al Museo della Coca Cola ci dedicheremo stamane ma ieri siamo andati diretti al Georgia Dome, stadio da football dove giocano i locali Falcons, non è un capolavoro architettonico così come l’adiacente Philips Arena ma una volta entrati si apre maestoso con la sua cupola bianca, il campo da basket, piccino, è circondato da tribune mobili che gradualmente lo raggiungono discendendo da quelle fisse. Il Dome è aperto al pubblico gratuitamente e tutti si portano più vicini al campo, si stanno svolgendo gli “allenamenti” delle partecipanti alle Final Four, in realtà sono degli shooting around per abituarsi alla diversa prospettiva che ti obbliga giocando in un ambiente simile ed è un saluto ai propri fans con tanto di presentazione delle squadre ed intervista al coach a fine dell’ora di lavoro, a proposito di tifosi ben pochi sono quelli di Wichita State mentre le altre tre tifoserie tutto sommato si equivalgono con una lieve prevalenza di Louisville e Syracuse ma stasera avremo la conferma con la mescolanza di colori, naturalmente tutto ciò in totale pace e rispetto altrui. A metà dell’allenamento di Cuse, dove nel 3 contro 2 a tutto campo non possiamo non notare i salti clamorosi di James Southerland, ce ne andiamo momentaneamente per immergerci nell’enorme Georgia World Trade dove nelle sue profondità si trova Bracket Town, una sorta di grande fiera della NCAA dove i bambini e gi adolescenti (e qualche adulto) possono giocare a basket nei numerosi campetti ma pure provare a fare i wide receiver di football, battere qualche palla a baseball, giocare a hockey e persino sciare virtualmente e pure hanno ricavato un campo con regolari tribune dove più tardi si sarebbero esibiti gli Harlem Globetrotters. Fra un giochino e l’altro poi, con coda incorporata, si può fare una foto assieme a personaggi come Tom Crean, coach di Indiana, Bob Cremins, leggendario santone di Georgia Tech, Clyde “the glide” Drexler ed il nostro idolo della giovinezza Christian Laettner che sbuca all’improvviso, circondato da guardie del corpo, e si esibisce contro i vincitori di un concorso tirando in un canestrino da fiera paesana e giungendo penultimo, ha battuto solo l’unica ragazza qualificata, stracciato da un brufoloso adolescente… Laettner, ancora tirato a lucido, fa le foto di rito e sparisce.

Si torna perciò al Dome dove, finito l’allenamento dei Wolverines, sta per cominciare il College All Star Game, sponsorizzato dalla Reese’s, terribile marca di cioccolato ripieno di burro d’arachidi, sono tutti giocatori senior, tutta carne da Europa o da NBDL, ma la partita è sorprendentemente vera, l’unico che pensa di essere ad un All Star Game è Ramon Galloway da La Salle che salta come un grillo ma ha anche l’intelligenza di quell’animaletto, tutti gli altri giocano sul serio mentre sugli spalti, il migliaio di tifosi restati per la partita, si scannano per la t-shirt della partita offerta generosamente dallo sponsor e vanno pazzi per i due molesti presentatori dell’evento. Si gioca sul serio dicevamo, sia pur su livelli medio-bassi, ed i coach Fred Hoiberg e Cuonzo Martin ruotano i giocatori, mettiamo subito gli occhi su un giocatore prontissimo per l’Italia Brandon Davies, ala di 2.05, famoso per essere stato sospeso da Brigham Young a causa di rapporti sessuali consenzienti con la sua fidanzata, è un’ala forte dinamica con mani dolci anche dalla distanza e buon conoscitore del gioco, molto interessante pure la guardia Will Clyburn di Iowa State veloce, esplosivo e con un ottimo tiro da fuori, bene pure EJ Singler, fratellino di Kyle dei Pistons, un’ala piccola dai solidi fondamentali ed il più ignorante, ma esplosivo, James Ennis da Long Beach State.

Evan Turner (AP Photo)

Evan Turner (AP Photo)

Poi c’è Jack Cooley, ala centro di Notre Dame, un’inquietante mix fra Luke Harangody (di cui non possiede i movimenti) e Greg Brunner: corre in maniera buffissima, è goffo nei movimenti ma si scaraventa a rimbalzo sempre e comunque, passando sopra (o meglio affianco visto che non salta) a tutti. Idolo. Mentre lo guardiamo , parteggiando chiaramente per lui, ci mangiamo un Philly Cheesesteak, gustoso e pesantissimo panino a base di carne affondata sotto litri di cheddar cheese fuso e cipolle e Philly sarà pure indigesta agli Atlanta Hawks, che andiamo a vedere attraversando la piazzetta verso la Philips Arena, non moderna né trendy ma piuttosto funzionale con le sue tribune gradevolmente verticali e con il solito corredo di nani e ballerine stavolta piacevole con spettacolini ben fatti ed Olivia una bambina di 7/8 anni incredibilmente brava a fare la conduttrice dello show… che in campo mostra in pratica solo i 76ers che nel primo quarto segnano 40 punti (!) con Spencer Hawes e Thaddeus Young a dominare in area ed Evan Turner alla migliore prestazione dell’anno, gli Hawks provano a reagire con Al Horford e poi si arrendono ad inizio ultimo quarto con i tifosi che se ne vanno ad eccezione dell’unico caso di ultras della NBA, un gruppetto di una trentina di individui dotati di campanacci modello HC Kloten che intonano cori da stadio… roba mai vista nella NBA e ci fa piacere notare fra quei pazzi molte maglie di Zaza Pachulia, il georgiano della Georgia…