Inutile fare tanti giri di parole, la scomparsa tragica e prematura di Kobe Bryant è stata devastante. Per chi lo ha conosciuto di persona, per chi lo ha conosciuto solo attraverso uno schermo, per chi semplicemente lo ha sentito nominare. Perché Kobe è stato forse il primo eroe globale, perché il suo avvento nel panorama NBA è coinciso (più o meno) con una rivoluzione nel modo di vedere e discutere di pallacanestro. Si è sempre detto che il Kobe giocatore polarizzava, o lo amavi o lo odiavi (sportivamente parlando). Il Kobe uomo di sport, invece, non poteva che essere amato da tutti, perché aveva un modo diverso di approcciarsi, uno stile quasi inconfondibile, su cui ha lavorato tanto negli anni e di cui tutti gli davano merito una volta attaccata la canotta al chiodo. Se non fosse stato così non ce l’avrebbe fatta a costruirsi una nuova vita fuori dal parquet, quel parquet a cui si era riavvicinato solo per amore della figlia Gianna Maria, piccolo talento che prematuramente è scomparsa insieme a lui. Parlare di Kobe in questo momento è rischioso, perché cadere nella retorica è fin troppo semplice. La redazione di Dailybasket ha voluto ricordarlo ognuno a suo modo, raccontando quello che Kobe rappresentava per ciascuno di noi, un ricordo, un pensiero, a volte solo un’idea. R.I.P. KB#24
Andrea Rizzi (Direttore Responsabile) “Il ricordo di Kobe che voglio condividere non riguarda il basket giocato, ma la sua carriera successiva, da ambasciatore FIBA. È un ricordo recente, del Mondiale cinese. Era il 13 settembre, dopo le semifinali. Si è presentato in conferenza stampa, di fronte a una gremita platea di giornalisti, per parlare della manifestazione, della sua esperienza in Cina e della sua visione della pallacanestro mondiale: cordiale e arguto come sempre, spesso spiritoso, mai altezzoso come si sarebbe potuto pensare dal suo atteggiamento sul parquet. Un uomo speciale, ma normale, con quel pizzico di italianità che ce lo faceva sentire ancor più vicino al cuore. Un padre di famiglia, sventuratamente accompagnato nella morte dalla figlia, che già stava seguendo le sue orme. Nato con la palla da basket e morto andando ad un allenamento. Avrebbe voluto diventare grande quanto Michael Jordan: la morte tragica e prematura – suo malgrado – ne farà una leggenda in eterno.”
Alessandro Salvini (Capo-Redattore Serie A2) “Non è facile non scadere nel sensazionalismo del momento o nella voglia “social”, sempre più in vogs di ricordare per forza chi non abita più questa terra. Qui è diverso, chi scrive ha la stessa età del Mamba (classe 78) e se lo è anche trovato davanti parecchi anni addietro in un match giovanile disputato alla mitica “Cassala” di Reggio Emilia, Li ovviamente era per tutti “il figlio di Joe” ed in pochi avrebbero scommesso vecchie lire su un suo approdo nell’NBA prima, poi tutta la magnificenza, grinta, voglia di vincere che lo ha contraddistinto successivamente. Era anche un ragazzo che ce l’ha fatta ad alto livello facendo sognare un paio di generazioni. Gran parte della mia inclusa.”
(credits NBA)
Fabrizio Quattrini (Capo-Redattore Serie A2) “Personalmente ho capito l’enormità della notizia, di come questa disgrazia vada oltre l’ambito sportivo, assistendo alla reazione sconcertata di mia moglie, solitamente avulsa alle vicende sportive, soprattutto quelle cestistiche. Ognuno di noi credo abbia un ricordo legato alla figura del Mamba. Da tifoso Lakers è complicato ricordare esattamente un momento o un evento che mi lega particolarmente a Kobe. Come la maggior parte di noi, per motivi anagrafici anche io ho vissuto la sua storia sin dall’inizio, molto più di quanto abbia potuto fare con altri fenomeni come MJ, Magic o Larry Bird. In più il suo vestire giallo-viola mi ha avvicinato molto al suo personaggio. Forse i ricordi più belli legati a Kobe sono quelli del Three-peat. Da un lato perché vissuti intensamente da tifoso, dall’altro perché sono coincisi con la mia vita universitaria un periodo in cui, lezioni ed esami a parte, si aveva molto tempo per guardare (anche ad orari impossibili) le partite, molto più tempo per leggere i recap e le storie di quel periodo NBA, molto più tempo per andare al campetto e provare a mettere in campo la metà della voglia di vincere di Kobe, molto più temo per appassionarsi ad un giocatore, un personaggio che, nel bene e nel male, sempre sportivo, ha segnato la sua epoca e quelle avvenire. D’altra parte riempire le cronache di tutto il mondo, sportive e non, con il proprio nome è un privilegio che è toccato a pochi e che dà la misura della dimensione del personaggio.”
Davide Moroni (Capo-Redattore NBA) “Di solito quando muore un personaggio famoso me ne frega poco o niente, per quanto io possa aver apprezzato quell’artista/sportivo/quello che era. Stavolta però se n’è andato, e in maniera sorprendentemente tragica, un pezzo della mia adolescenza, uno che davvero ha influito sulla persona che sono oggi. Perché se non l’avessi visto giocare, quasi per caso, quando avevo 13 anni, probabilmente la mia allora flebile passione per il basket non sarebbe diventata una specie di malattia. Non avrei passato tutti i pomeriggi estivi della mia adolescenza in un campetto con la palla in mano (rimanendo tra l’altro una pippa clamorosa). Non avrei iniziato a scrivere di basket. Non continuerei ad andare a giocare contro gente più giovane, atletica e talentuosa, tornando a casa come uno zombie, ma sorridente. Perché tirare a canestro è ancora oggi una delle cose che mi fanno stare meglio, perché quando ho una palla in mano riesco davvero a pensare solo a quello e il resto del mondo non esiste. Sarebbe stato lo stesso senza Kobe? Non lo so, ma quello che so di sicuro è che le cose sono andate così anche, se non soprattutto, grazie a lui. Lui che per certi versi mi risultava quasi insopportabile, con le sue manie di protagonismo, il suo egoismo in campo, la pressione che metteva sui compagni. Cose che si poteva permettere perché è stato uno dei più grandi di sempre, uno che non si è mai accontentato e che pretendeva dagli altri lo stesso folle impegno che ci metteva lui, forse senza capire che aveva una fiducia nei suoi mezzi e un’etica del lavoro oltre i limiti della psicolabilità. Per me è stato un modello; da prendere con le pinze, ma un modello. Ho realizzato in questo momento che ho smesso di seguire la NBA più o meno quando si è ritirato. Qualcosa vorrà dire.”
(credits Kietasss)
Carlo Ferrario (Redattore NBA) “Kobe ha cambiato il gioco. Nel 2020 è complesso comprendere quanto e in che modo possa evolversi la pallacanestro, ma è doveroso pensare al passato e capire chi ha apportato modifiche sostanziali. A livello di gioco, a livello di mentalità, a livello di impatto mediatico globale. Prima Jordan, poi Bryant, ora James. Loro tre, più di chiunque altro, hanno incarnato l’essenza del Gioco. E noi, malati di questo magnifico mondo, gli siamo eterni debitori. Abbiamo fatto fatica ad accettare e metabolizzare il suo addio al basket, e ora che non è più fisicamente tra noi, il vuoto che si è creato ha più le sembianze di una voragine.
Resta l’amore, resta il ricordo, resta la leggenda. Resta una famiglia devastata da due perdite di enorme portata. La scomparsa della splendida Gigi pesa come un macigno, andando a toccare la sensibilità di ogni tipo di essere umano. E l’affetto che tutto il mondo sta mostrando sta, in qualche modo, colmando questa voragine. E lui, Kobe, rivivrà ogni singolo giorno nel cuore, nella mente, nelle movenze e nei sogni di chi, senza mezzi termini, ama questo sport per causa sua.”
Marco Bogoni (Redattore Serie A) “Iconico. Kobe Bryant è stato l’icona dell’era post Jordan e pre LeBron James. Per più di un decennio è stato in grado d’identificare un intero sport. Milioni di ragazzini, di tutto il mondo, con la passione per la pallacanestro, si sono identificati in lui superando le barriere del tifo. Solo i più grandi riescono in questa impresa che vale molto di più dei titoli vinti o dei record statistici personali. Con la tragica e assurda scomparsa di Kobe Bryant se ne va via un’era della NBA, guidata da un ragazzo, figlio d’arte, cresciuto in Italia e volato a Los Angeles per realizzare il suo sogno. I riflettori della California non gli hanno mai fatto dimenticare le sue origini, la sua parlata in italiano stupiva e ci rendeva orgogliosi di aver, in piccola parte, contribuito alla nascita di una stella, le cui gesta sono diventate immortali. Ci mancherai Kobe anche se non hai lasciato a mani vuote i milioni di ragazzini che hanno provato ad emularti, il tuo messaggio non svanisce: “Se vuoi diventare uno di migliori devi lavorare molto, devi fare qualsiasi sacrificio…la passione…la passione per la vita, la passione per giocare a pallacanestro e fare la cosa che ami con tutto il cuore…sempre la passione…”.“