Cala il sipario sulle NBA Finals 2017, che hanno visto trionfare 4-1 una Golden State a tratti inarrestabile. Il titolo, quindi, torna nella Baia di San Francisco dopo due anni in cui ne sono successe di tutti i colori, dalla clamorosa rimonta dei Cavaliers alla criticatissima decisione di Kevin Durant. È proprio l’ex ala dei Thunder, MVP delle finali, che ha fatto fare il definitivo salto di qualità a una squadra già rodata e fenomenale, ma bisognosa di un fuoriclasse del suo calibro. Dall’altra parte, invece, LeBron James e Kyrie Irving sono rimasti troppo spesso da soli sull’isola, senza ricevere un adeguato aiuto dal supporting cast di Cleveland. Di seguito le pagelle dei protagonisti di una serie che si è sostanzialmente decisa in gara-3, quando i Cavs hanno buttato via una partita (quasi) vinta dopo due nette sconfitte alla Oracle Arena.

I festeggiamenti dei Warriors (Foto: http://d279m997dpfwgl.cloudfront.net)

GOLDEN STATE WARRIORS

Draymond Green, voto 7,5 – Non sempre pulito ed elegante, ma sicuramente indispensabile. In queste Finals, chiuse a 11 punti e 10,2 rimbalzi di media, Green ha avuto problemi di falli che non gli hanno permesso di entrare in partita offensivamente. Dal punto di vista difensivo e dell’intensità, però, è stato encomiabile. Al posto giusto al momento giusto, in grado di tenere quasi tutti gli uomini e di adattarsi a ogni tipo di quintetto. Il metronomo emotivo dei Warriors campioni NBA.

Kevin Durant, voto 10 – 38, 33, 31, 35, 39. No, non sono i numeri da giocare al Lotto ma i punti di KD in queste NBA Finals, arrivati grazie a un impressionante 55,6% dal campo. Un macchina perfetta che ha sempre interpretato correttamente le partite, capendo i momenti giusti per salire in cattedra e ferire la difesa dei Cavs con le sue infinite armi offensive. La tripla dal palleggio dell’ex Thunder a 45 secondi dalla fine di gara-3, completamente senza senso per un giocatore normale, ha deciso match e serie. Criticato, odiato e bersagliato dopo la decisione della scorsa estate, ma alla fine ha ragione chi vince. Un anello e un MVP delle finali che hanno un sapore ancora più dolce, considerando che all’inizio di marzo ha temuto di terminare in anticipo la stagione a causa di un infortunio al ginocchio. Il suo urlo liberatorio alla consegna del trofeo è stato quello di un fenomeno che si è tolto una scimmia dalla spalla.

L’urlo liberatorio di Durant dopo gara-5 (Foto: dynamicmedia.zuza.com)

Zaza Pachulia, voto 5+ – Probabilmente il peggiore dei suoi. A tratti è sembrato un giocatore non adatto a quel livello e in diverse occasioni ha messo in difficoltà i Warriors con falli a dir poco evitabili (il vizietto di tirare le maglie degli avversari è parte di lui, prendere o lasciare). Dopo una buona gara-1 si è un po’ perso e raramente stato in campo nei momenti di gloria dell’attacco di Golden State. Ma in difesa e in attacco, va detto, non è (quasi) mai fuori posizione.

Stephen Curry, voto 9 – Si meriterebbe qualcosa in più se non fosse per quel 4/13 con 4 palle perse in gara-4. ‘Baby faced-assassin’ ha ritrovato la gioia, la serenità e l’entusiasmo che non ha messo sul parquet nel giugno del 2016. E quando il 2 volte MVP sorride sono guai per tutti, perché se ha fiducia può fare canestro da ogni angolo del campo. Un Curry sotto certi aspetti più maturo e più completo (prendete la tripla-doppia da 32+10+11 in gara-2), che ha dimostrato di essere uno dei rimbalzisti più sottovalutati della Lega (8 di media in finale). Continuo, attento in difesa e capace di subire enormi quantità di falli andando dentro. A volte tende ancora ad esagerare e ad essere un po’ lezioso, ma dopo una serie del genere c’è solo da applaudire.

Klay Thompson, voto 8,5 – La grandezza di un giocatore sta anche nella sua duttilità. Con l’arrivo di Kevin Durant, Klay Thompson è silenziosamente passato dall’essere una prima punta offensiva a una pedina insostituibile in fase difensiva. Lavorando, lavorando e ancora lavorando, il tiratore ha accettato il suo nuovo ruolo ed è arrivato pronto per la fase calda della stagione. Lasciate stare il 3/16 in gara-1 (poi rimediato con 22 punti in gara-2 e 30 in gara-3) e concentratevi sulla sua difesa su Irving nei primi tre incontri: un capolavoro. Se esistesse il premio di MVP romantico delle Finals, probabilmente andrebbe al 27enne californiano, che non ha avuto paura di abbandonare la luce dei riflettori per il bene dei compagni. Il risultato è il suo secondo anello nel giro di tre anni. Uomo squadra.

David West, voto 7 – Ci ha provato a Indiana, a San Antonio e infine a Golden State. La tanto agognata corsa di David West verso il titolo NBA si è conclusa all’età di 36 anni. In questa serie ha fatto il suo e ha portato qualità sotto le plance, senza mai uscire dagli schemi. Il voto sale per via dei suoi due canestri all’inizio del secondo quarto di gara-5, quando i fantasmi stavano minacciando un ritorno sopra la Oracle Arena. Da quel momento, proprio grazie ai suoi colpi da maestro, Golden State si è sbloccata e ha ribaltato la partita. Uno dei momenti chiave delle NBA Finals 2017.

Matt Barnes, sv

Iguodala vola a schiacciare in gara-5 (Foto: mercurynews.com)

Andre Iguodala, voto 8 – Una certezza. Nelle finali ha avuto un +60 totale di plus/minus che testimonia principalmente un aspetto: nei parziali più importanti dei Warriors, l’ex 76ers è sempre stato in campo. Difende, segna, innesca i contropiedi, corre, passa la palla e fa cose che la sua tecnica, buona ma non sopraffina, non dovrebbe permettergli di mostrare. La sua “furbata” contro James a 12 secondi dalla fine di gara-3 è stata la giocata difensiva più importante della serie, una saporita vendetta dopo la stoppata subita in gara-7 nel 2016. Da non dimenticare i 20 punti con 9/17 al tiro in gara-5: la ciliegina sulla torta di un’altra grande finale da parte di ‘Iggy’.

Patrick McCaw, voto 7 – Che coraggio questo rookie! Steve Kerr è rimasto fedele alle sue classiche rotazioni (ha dato continuità al lavoro di Brown) e gli ha sempre concesso qualche minuto. McCaw, con la sfrontatezza di un 21enne, lo ha spesso ripagato con punti importanti.

Shawn Livingston, voto 7,5 – Il suo palleggio, arresto e tiro è una delle armi più letali della NBA. Due partite su cinque in doppia cifra per lui, indispensabile nel segnare punti rapidi con i titolari seduti a riposare. Non male per un giocatore che dieci anni fa ha rischiato di perdere una gamba…

Ian Clark, sv

JaVale McGee, voto 6+ – E anche ‘Javalone’ (5,8 minuti e 2,8 punti di media nella serie) ha il suo anello. Non è sicuramente un lungo che ha le doti tattiche e tecniche per giocare più di 10 minuti (a esser generosi) in una finale NBA, ma con la sua verticalità può sempre rivelarsi utile. La sua ‘reverse dunk’ in gara-1 rimarrà nella memoria dei tifosi dei Warriors come uno dei gesti atletici migliori della finale.

James McAdoo, sv

Coach Steve Kerr, voto 9 – In gara-1 si è fatto sostituire da un ottimo Mike Brown, ma dal secondo atto della serie non ce l’ha più fatta a rimanere a guardare. Nonostante una schiena che ancora a posto non è, considerando le smorfie di dolore che ogni tanto si è lasciato scappare. È rimasto fedele alle sue rotazioni, ha dato fiducia a tutti e ha saputo mischiare le carte a dovere, giocando anche con quintetti composti da quattro esterni. La gente pensa che questi “superteam” vadano avanti da soli, ma senza un grande uomo e un grande allenatore seduto in panchina è difficile imboccare la direzione giusta. C’è tanto Steve Kerr in questo titolo, soprattutto dal punto di vista umano.

 

CLEVELAND CAVALIERS

Kevin Love, voto 5,5 – E’ difficile battere i Warriors quando hai un titolare che difende così male in transizione. Inoltre in gara-5 (anche a causa dei falli) è stato il grande assente dei Cavs, con appena 6 punti a referto e un linguaggio del corpo completamente da rivedere. Ormai gli attaccanti sanno che battere l’ex UCLA dal palleggio è un buon modo per fare canestro o guadagnare un fallo, specie a questo livello. Offensivamente discontinuo e poco incisivo nelle fasi salienti degli incontri. Da uno come lui ci si aspetta sempre qualcosa in più.

L’apporto di LeBron James non è bastato (Foto: http://cdn.inquisitr.com)

LeBron James, voto 9,5 – “Ho dato tutto quello che avevo in ogni singola partita”, ha detto nella conferenza stampa dopo gara-5. 33,6 punti (56,4% al tiro), 12 rimbalzi e 10 assist di media in una serie di finale: fantascienza pura, il miglior LeBron James di sempre che però non è bastato. In diverse occasioni è stato un guerriero solitario che ha combattuto da solo, senza il supporto dei suoi alleati. Ha fatto semplicemente qualsiasi cosa, ricoprendo qualsiasi ruolo e segnando in qualsiasi modo. Un altro dato impressionante sono i suoi 42,4 minuti di media in campo nella serie, che per un giocatore che va per i 33 dovrebbero essere proibitivi. Non per lui, non per LeBron James. In quelle poche fasi delle partite in cui il 23 ha riposato in panchina, i Cavs hanno spesso subito parziali e si sono ritrovati come spaesati. Non poteva fare più di così.

Tristan Thompson, voto 4 – La grande delusione di questa serie. I Cavs hanno sofferto moltissimo la mancanza degli extra possessi generati da Tristan Thompson, che nei primi tre incontri ha catturato solo 3,6 rimbalzi di media (5,8 nella serie e 9,2 in Regular Season). Non ha mostrato l’energia, la cattiveria e l’intensità che l’anno scorso gli hanno permesso di diventare uno degli uomini chiave della storica vittoria di Cleveland. Solo in gara-5 ha provato a rimediare. Irriconoscibile.

Kyrie Irving, voto 8,5 – Le sue prime due partite sarebbero da insufficienza, le ultime tre da lode. Il cambio di marcia che ha fatto Irving dopo gara-2 è stato impressionante, passando da un 8/23 al tiro a un 16/29 (38 punti) in gara-3 e un 15/27 con 7 triple (40 punti) in gara-4. Anche in gara-5 ha mostrato un’ottima pallacanestro, ma il livello del suo gioco è calato a causa di un problema al ginocchio. Un Irving sano al 100%, probabilmente, avrebbe dato più fastidio a Golden State nel quarto periodo. L’unico insieme a James a reggere la baracca nei momenti di difficoltà, sempre decisivo e letale nel trovare linee di penetrazione che una normale point guard si sognerebbe.

JR Smith, voto 7 – Dopo gara-1 e gara-2 (0 punti e 3 punti) il destino della finale dell’ex giocatore dei Knicks sembrava segnato, ma da gara-3 in poi ha fatto un notevole salto di qualità dal punto di vista offensivo. Sarà stata l’aria di casa? Con le sue triple improvvisate e impossibili da difendere ha spesso dato ossigeno ai Cavs nel momento del bisogno. In gara-5 è poi esploso con una delle sue migliori prestazioni in carriera, segnando 25 punti e mostrando un’incoraggiante presenza mentale sull’incontro. È stato uno degli ultimi a mollare, ma non è bastato.

Richard Jefferson, voto 6,5 – Il mago delle piccole cose. Con palle sporcate, rimbalzi offensivi e giocate di intensità è spesso riuscito a dare una scossa ai suoi Cavs. Non è mai andato in doppia cifra, ma non è questo il suo ruolo in un contesto genere.

Una serie da dimenticare per Deron Williams (Foto: http://img.bleacherreport.net)

Deron Williams, voto 3,5 – I Cavaliers si aspettavano di trovare in lui un ex All-Star in grado di portare punti rapidi dalla panchina. La realtà dei fatti, però, è stata una pessima finale da parte dell’ex esterno dei Jazz, che in quattro gare su cinque ha chiuso senza punti a referto (2/16 dal campo e zero tiri liberi tentati nella serie). Williams, inoltre, si è messo in cattiva luce con scelte sbagliate in cabina di regia e palle perse banali.

Derrick Williams, sv

Iman Shumpert, voto 4 – Non ha quasi mai segnato tiri aperti alla sua portata e si è accontentato di soluzioni offensive comode. In difesa ha fatto il suo, ma in attacco si è confermato un giocatore dalla scarsa utilità.

Kyle Korver, voto 5 – Se Korver non realizza i tiri alla Korver, come può dare una mano alla causa? Fatta eccezione per gara-2 e per gara-3, il cecchino ex Hawks ha litigato con il canestro e ha sempre faticato a entrare nei flussi delle partite. 4,4 punti di media in Finale (5,8 ai Playoffs) contro i 10,1 in Regular Season per lui: ennesima dimostrazione del fatto che le difese in postseason salgono di livello, e Korver fa conseguentemente fatica.

Channing Frye, sv

Dahntay Jones, sv

James Jones, sv  

Coach Tyronn Lue, voto 5 – I suoi Cavaliers hanno spesso giocato bene in attacco, ma dall’altra parte non hanno mantenuto un livello accettabile per una finale NBA. Sia in transizione che a difesa schierata. È vero che sono gli atleti a scendere in campo, ma quando si perde la colpa è di tutti. Allenatore compreso. Inspiegabile il suo accanimento nel lasciare Channing Frye in panchina per quattro gare su cinque.


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