GOLDEN STATE WARRIORS-CLEVELAND CAVALIERS: 90-120 (2 a 1 nella serie)

LeBron James aveva parlato, prima di gara 3, di un match da “do or die, dentro o fuori, e le sue parole devono essere state ben recepite dai suoi. Cleveland, infatti, dopo averle letteralmente prese nelle due uscite iniziali alla Oracle Arena, tira fuori una prestazione di assoluto valore, rifilando 30 punti ai campioni in carica, apparsi invece spenti e mai realmente in partita.

Sin dalla palla a due, i Cavs non sembrano affatto risentire dell’assenza di Kevin Love (out a causa del brutto colpo ricevuto in gara 2 e tuttora convalescente), anzi partono fortissimo grazie anche alla presenza di Richard Jefferson in quintetto nel ruolo di ” falso 4″ e già a metà primo periodo conducono sul 19 a 4, con gli Splash Brothers che sparano a salve (zero per entrambi nei primi 12 minuti), mentre James (100% nelle conclusioni) e soprattutto un mostruoso Kyrie Irving da 16 punti nel solo primo periodo (tirando 7 su 9 dal campo) aggrediscono più che mai la partita portandola già in chiusura di primo quarto sul +17, 33 a 16.

Nel secondo periodo invece Golden State prova a rialzare la testa riproponendo il quintetto leggero e accorcia le distanze grazie all’ormai consueto apporto del Supporting Cast (Barnes e Iguodala in primis) e agli sprazzi di energia di un Draymond Green super presente, su entrambi i lati del campo. Qualche segnale di vita anche da Klay Thompson, che realizza 10 punti (gli unici della sua partita) in un amen. L’attacco dei Cavs di contro si inceppa rispetto all’avvio, con il Prescelto insolitamente impreciso (1/9 nel solo secondo quarto) e costretto a numerose forzature dalla ritrovata aggressività degli Warriors. L’unico ad accendersi per i ragazzi di coach Lue, con 2 triple, è J.R. Smith, coadiuvato dalla presenza costante di Tristan Thompson, il solito leone sotto le plance (addirittura 10 rimbalzi nei primi 2 periodi), con il quarto che si chiude sul 51 a 43 in favore dei padroni di casa e un incredibile buzzer beater da centrocampo di Smith, non convalidato perchè giunto dopo la sirena.

Al rientro dagli spogliatoi, tuttavia, i Cavs sferrano la stoccata decisiva e prendono il largo nonostante Curry, fino ad allora sostanzialmente non pervenuto, provi ad avere un impatto sulla gara realizzando 13 punti nella sola terza frazione. Cleveland infatti questa sera può contare appieno sul suo leader, che ne mette anch’egli a referto 13 nel periodo, mostrando tutto il suo repertorio difensivo e offensivo (jumper dalla media, tiro dalla lunga e lay-up al ferro) e creando così insieme a un finalmente impattante Smith il solco che si rivelerà poi decisivo. Arriva anche quello che è il momento più emblematico della serata, in cui James, a seguito di una sua sanguinosa palla persa da parte di Curry da lui stesso propiziata, avvia un contropiede che si conclude con un alley oop devastante che fa venir giù la Quicken Loans Arena.

Il quarto periodo altro non è che un prolungato garbage time, con Cleveland che tocca il +26 già a poco più di 8 minuti dal termine grazie alla quinta tripla della serata di Smith (alla fine saranno 20 per lui, con 5/10 dall’arco), mentre LeBron continua il suo show personale chiudendo con una prestazione monstre da 32 punti, 10 rimbalzi e 6 assist. Eccezionale anche la partita di Kyrie Irving (30 punti e 8 preziosissimi assist), ritornato ai livelli mostrati in tutta la Post Season. Tra gli ospiti, invece, a salvarsi probabilmente sono i soli Harrison Barnes e Andre Iguodala (rispettivamente 18 e 11 punti), unici in grado di portare alla causa punti e la solita aggressività.

Ci si prepara quindi a gara 4, in programma venerdì notte sempre in Ohio, con uno scenario completamente ribaltato rispetto alla partenza, e una Cleveland in grado di sopperire egregiamente all’assenza di uno dei suoi Big Three, ma soprattutto di mostrare quel carattere e quella voglia di lottare anche e soprattutto nella metà campo difensiva che erano completamente mancati nei due atti iniziali. Golden State, dal canto suo, paga la preoccupante latitanza delle sue due punte di diamante, ben ingabbiate dalle scelte tattiche di Lue. Del resto, l’idea di vincere le Finals facendo affidamento unicamente su una pur eccellente panchina è quantomeno utopistica. Da questo punto di vista, Steve Kerr dovrà necessariamente trovare delle contromosse e pretendere una sterzata importante.