David Joel Stern nasce a New York nel 1942 da una famiglia ebrea. Cresce a Chelsea, un quartiere di New York e inizia a lavorare dietro al bancone del negozio di famiglia di specialità gastronomiche, Stern’s Dely. Il basket è sin da subito uno dei suoi amori, in particolare i New York Knicks, ma anche la politica e la storia ricoprono un ruolo fondamentale nella sua vita. Infatti frequenta la Rutgers University, dove nel 1963 si laurea in storia. In seguito, nel 1966, si laurea in legge alla Columbia University di New York, puntando a una carriera nel servizio pubblico. Terminata l’esperienza universitaria inizia a lavorare come consulente esterno presso uno studio legale che rappresentava la NBA. Nel 1978 Stern lascia lo studio legale e diviene consigliere generale della NBA sotto la presidenza di Larry O’Brien, diventando successivamente, nel 1980, Vice Presidente esecutivo. Il 1° febbraio 1984 David Stern viene votato all’unanimità come Commissioner della NBA, sostituendo proprio Larry O’Brien.
All’inizio del mandato la NBA era vicina al collasso, con la bancarotta dietro l’angolo e il numero di spettatori in calo. Stern con il consenso dell’associazione giocatori decise di introdurre due novità importantissime, il drug test e il salary cap. Il consumo di sostanze proibite era una pratica dilagante e la severità con cui Stern agì permise alla NBA di liberarsi del problema, offrendo un aiuto ai giocatori rei confessi e tolleranza zero verso chi non collaborava. Il salary cap fu un’invenzione sensazionale, in quanto, fissando un tetto salariale, permise lo stabilizzarsi finanziario delle squadre che perdevano molto denaro per colpa di salari incontrollati, e nell’ottica di Stern avrebbe anche prodotto un bilanciamento del talento e della competitività.
Contemporaneamente, nel draft del 1984, furono scelti alcuni futuri campioni che cambiarono il gioco stesso; parliamo di Michael Jordan, Hakeem Olajuwon, Charles Barkley e John Stockton. In particolare con Jordan iniziarono collaborazioni pubblicitarie per la NBA, come ad esempio i remunerativi contratti Nike per le scarpe che diedero alla Lega ulteriore visibilità e introiti. Questi campioni, assieme alle leggende degli anni ’80 Magic Johnson e Larry Bird, porteranno la NBA a vette di popolarità e profitti fino ad allora inimmaginabili.
Sotto la presenza di Stern, la NBA vide passare il numero delle franchigie dalle 10 del 1966 alle 30 del 2004 con un’espansione anche in Canada, inizialmente con due franchigie, Toronto e Vancouver, con quest’ultima poi trasferitasi a Memphis nel 2001 per un calo vertiginoso di pubblico e incassi.
Inoltre la NBA aprì uffici in 11 città al di fuori degli Stati Uniti e, cosa ancor più importante, le partite della Lega vennero trasmesse in 215 nazioni e in 49 lingue diverse. Un successo e una globalizzazione incredibile del marchio NBA, raggiunto anche con training camp e partite di esibizione in giro per il mondo visto l’arrivo nella Lega di giocatori internazionali.
Stern inoltre supervisionò la creazione della WNBA, la lega basket professionistica femminile che vide la sua nascita nel 1997. Sia la WNBA che la NBDL, la lega nazionale di sviluppo, anch’essa creata dal commissioner, operano tutt’ora sotto l’occhio vigile e attento di Stern.
Nel 1995 Stern lanciò NBA.COM, nel 1997 WNBA.COM, siti che oggi contano circa 600 mila visualizzazioni giornaliere, e nel 1999 NBA TV, 24 ore su 24 di approfondimenti, immagini recenti e passate su un canale digitale via cavo: la prima rete tv della storia del mondo sportivo americano di proprietà e gestione di una lega sportiva.
Vista l’importanza e la globalizzazione del suo prodotto, Stern nel 2005 creò il programma NBA Cares, un modo per aiutare la comunità, un servizio pubblico e sociale per favorire l’alfabetizzazione, per contrastare gli abusi sui bambini, per aiutare popolazioni povere e affamate o colpite da devastazioni ambientali, vedi i recenti uragani che hanno colpito le coste sud-orientali degli Stati Uniti.
Nonostante gli ottimi risultati ottenuti, come in ogni storia d’amore non vi sono solo rose e fiori, ma vi sono anche aspetti negativi, momenti di crisi e polemiche.
Per Stern è importante l’immagine che la Lega e i suoi giocatori forniscono al mondo mediatico, ai fans, e quindi ha sempre affrontato con forte piglio le problematiche sorte dentro e fuori il rettangolo da gioco, per esempio con sospensioni a giocatori colpevoli di aver abbandonato la panchina durante una rissa in campo, senza intervenire direttamente nell’alterco, vedi la sfida playoff Spurs-Suns del 2007 (ma anche le “epiche” risse tra Heat e Knicks degli anni ’90).
Le critiche non sono mancate anche per via del “Dress Code”, ossia delle severe regole imposte dal 2005 sull’abbigliamento, che proibiscono ai giocatori di presentarsi in sala stampa o a eventi NBA in t-shirt, pantaloncini, canottiere, cappellini, occhiali da sole, ecc.. Insomma, veto totale su vestiario trasandato per preservare l’immagine del giocatore e, quindi, della Lega stessa. Ma la grana più spinosa scoppiò nel 2007, quando Tim Donaghy, arbitro veterano della NBA, finì sotto indagine da parte dell’FBI per via di scommesse illegali su partite da lui stesso arbitrate. Durante gli interrogatori in aula, Donaghy gettò fango sulla Lega, affermando che vi furono molti altri arbitri colpevoli di aver influenzato il corso non solo di singole partite ma anche di sfide playoff. Dopo il processo l’immagine della NBA, seppur non direttamente incriminata, ne uscì ridimensionata agli occhi del pubblico, mentre Donaghy venne ritenuto unico colpevole e condannato a 15 mesi di reclusione.
Nel corso del suo mandato, Stern ha dovuto affrontare discussioni riguardo il contratto collettivo (CBA) che regolamenta il rapporto di lavoro tra giocatori e franchigie; la mancanza di accordo tra le parti ha impedito la stipulazione di un nuovo contratto nell’estate del 1998 e per questa ragione i proprietari delle franchigie hanno imposto il blocco all’inizio della stagione, il cosiddetto lockout (serrata). L’accordo è stato ratificato soltanto nei mesi successivi e ciò ha comportato la riduzione della stagione regolare a sole 50 partite, a fronte delle 82 storicamente in calendario.
Lo stesso scenario si è ripetuto nel luglio 2011. Tre le ragioni principali che hanno portato al lockout: la durata minima del rapporto contrattuale, la percentuale di distribuzione degli introiti e l’ammontare del salary cap. Nella post-season gli incontri tra le parti sono stati molteplici, le accuse furibonde, l’inizio stagione posticipato continuamente; è anche aleggiato lo spettro della cancellazione totale. Solo a fine novembre (sabato 26, ndr) è stato ufficializzato un accordo di massima, firmato in data 8 dicembre 2011. La stagione è salva, le gare di regular season saranno 66, con data di inizio 25 dicembre, il giorno di Natale, quasi un regalo per gli appassionati.
Un uomo pubblico e sempre sotto i riflettori come lui non adora però parlare né discutere di argomenti riguardanti la sfera privata. Vive a Scarsdale, nella periferia nord di New York, con la compagna di una vita, Dianne Bock, sua moglie da 47 anni e da cui ha avuto due figli, Eric, che lavora alla CNN, e Andrew, avvocato.
Stern è presidente emerito della fondazione della Columbia University e ha svolto ruoli importanti presso il Beth Israel Medical Center, la Rutgers University Foundation, l’Associazione Nazionale per il progresso della gente di colore, il Martin Luther King Jr. Federal Holiday Commission, il Thurgood Marshall College Fund, il Paley Center for Media, Jazz at Lincoln Center e il Global Business Coalition per combattere AIDS, tubercolosi e malaria. Inoltre è stato incredibilmente attivo nel Partito Democratico per decenni, con oltre 1 milione di dollari donati. Pochi individui negli Stati Uniti hanno donato soldi per le campagne politiche quanto lui.
Stern può piacere o meno per il suo carattere forte, quasi militaresco, per la sua indole esigente e perfezionista, ma è senza ombra di dubbio uno dei migliori commissioner nella storia dello sport americano e ha salvato la NBA da un crollo monetario rendendola un “brand” conosciuto in tutto il mondo.