Bryant celebra il suo quinto titolo nel 2010 (Foto: ESPN)

Bryant celebra il suo quinto titolo nel 2010 (Foto: ESPN)

Col quinto anello al dito (il secondo consecutivo) e un altro riconoscimento in bacheca di MVP delle Finali NBA con 29.2 punti di media in 23 gare di Playoffs, nell’estate del 2010 un Kobe Bryant trentaduenne e ormai già affermato come uno dei migliori giocatori della storia della pallacanestro si preparava ad affrontare la parte finale della sua scintillante carriera. Con un solo obiettivo in testa: vincere con la sua solita costanza, dedizione, passione e ossessione verso il successo. Tutti si aspettavano tanti altri premi, altri anelli, altre imprese, ma nella vita e nella pallacanestro la sfortuna può bussare alla tua porta quando meno te lo aspetti e il caso del ‘Black Mamba’ ne è la dimostrazione, tormentato da guai fisici troppo pesanti per un atleta della sua età.

Quella del 2011 è stata una stagione di successo per il nativo di Philadelphia, entrato tra i migliori dieci realizzatori di sempre della NBA superando Dominique Wilkins. A febbraio Bryant ha conquistato il premio di MVP dell’All-Star Game per poi chiudere la “Regular Season” con 25.3 punti di media, ma sulla strada dei lanciatissimi Lakers (secondi solo dietro agli Spurs) si sono messi i futuri campioni di Dallas, che hanno spazzato via i gialloviola nelle semifinali della Western Conference. Durante l’annata del “lockout” Kobe riesce a migliorare le sue percentuali e le voci statistiche più importanti rispetto al 2010-2011, ma nonostante l’ennesima nomina nel primo quintetto NBA (27.9 punti) i suoi Lakers vengono eliminati ancora alle “Semifinals”. A questo punto la frustrazione di Kobe è tanta e la sua ossessione per il famigerato sesto titolo porta la dirigenza a chiudere un mercato estivo entusiasmante: a Los Angeles, infatti, arrivano Dwight Howard e Steve Nash e la franchigia sembra di nuovo pronta per il successo. La pallacanestro, purtroppo o per fortuna, non è così semplice, la chimica di squadra non emerge e i Lakers perdono tante, troppe partite rispetto alle previsioni iniziali. Bryant si mantiene comunque su un livello individuale straordinario tra cifre da urlo, “game winners” e le solite giocate da condottiero, ma nell’aprile del 2013 l’MVP del 2008 subisce il primo di una lunga serie di infortuni: rottura del tendine d’Achille allo Staples Center contro Golden State, “Regular Season” finita in anticipo con 27.8 punti ad allacciata di scarpe e addio Playoffs.

Kobe dolorante dopo l'infortunio al tendine d'Achille nell'aprile del 2013 (Foto: losangeles.cbslocal.com)

Kobe dolorante dopo l’infortunio al tendine d’Achille nell’aprile del 2013 (Foto: losangeles.cbslocal.com)

La riabilitazione è lunga, complessa, ma Kobe la affronta da grande professionista, con un impegno quasi disumano e, inaspettatamente, spesso anche col sorriso sulla faccia. ‘Mr. 81 punti’ tornerà sul suo amato parquet nell’inizio di dicembre del 2013 dopo più di 7 mesi ai box, mostrando qualche lampo di classe nonostante l’enorme fatica a trovare nuovamente un soddisfacente ritmo-partita. Ma dopo sei gare da 13.7 punti, il numero 24 gialloviola ha dovuto di nuovo digerire un altro boccone non amaro, di più. A poco meno di 4 minuti dalla sirena finale di un match contro Memphis, Bryant ha avuto uno scontro con Tony Allen che gli ha provocato un’iperestensione al ginocchio sinistro; la risonanza parla chiaro ed evidenzia una frattura del piatto tibiale. Il recupero doveva essere di un paio di mesi massimo, ma i miglioramenti sono pochi, a marzo Kobe non riesce ancora a correre e l’annuncio del dodicesimo giorno del mese è uno shock: stagione finita, di nuovo, dopo solamente sei partite. Un altro infortunio molto grave, che per un giocatore di 35 anni rappresenta un vero monte da scalare per tornare ad alto livello.

Un Bryant pensieroso in borghese (Foto: sportamericano.com)

Un Bryant pensieroso in borghese (Foto: sportamericano.com)

Al suo ritorno, durante l’avvio dell’attuale stagione NBA, Bryant si ritrova all’interno di una squadra disastrosa, probabilmente la peggior versione di sempre dei Lakers. “Se questo è il Titanic, affonderò insieme a lui”, dice comunque Kobe dimostrando il suo invidiabile attaccamento alla maglia nonostante il momento buio della franchigia di Los Angeles. Il 24 mette assieme discrete cifre (22.3 punti, 5.6 assist e 5.7 rimbalzi), è in gran forma, supera anche Michael Jordan nella classifica dei migliori realizzatori della storia, ma tende spesso ad esagerare, a prendere troppi tiri e a fare cose che forse il suo fisico non può reggere. Lo dimostra qualche acciacco che gli farà saltare cinque delle prime dieci gare del primo mese dell’anno, quando il 21 gennaio, durante una trasferta a New Orleans, accade quello che nessun amante della pallacanestro e dello sport avrebbe voluto sentire. Bryant si fa male alla spalla destra, continua a giocare utilizzando quasi esclusivamente la sinistra e alla fine non sembra qualcosa di grave; ma il giorno successivo la guardia ha dovuto comunque sottoporsi ad una risonanza, che ha evidenziato una lesione alla cuffia dei rotatori. Deve operarsi e i Lakers annunciano: “Out for the season”.

A 36 anni è chiaro che un infortunio del genere, tenendo conto anche di quelli precedenti, può compromettere una carriera. “Questo è quello che succede quando la passo troppo”, ironizza Kobe prima dell’operazione (andata a buon fine), che però in più interviste rivelerà di sentirsi col morale a pezzi. Ma Bryant è ancora sotto contratto per l’anno prossimo e ha dichiarato che il suo prossimo obiettivo e quello di arrivare in forma per il “Training Camp” della stagione 2015-2016, che sulla carta, per una lesione alla cuffia dei rotatori della spalla, è più che possibile da centrare. Il dubbio che ci resta è legato alla sua età, ma il ‘Black Mamba’ è un duro, di quelli veri. E non ci libereremo di lui così facilmente.


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