Moneyball o Moreyball?

Moneyball o Moreyball?

Nella pallacanestro moderna cresce la popolarità dei “Big Numbers”, corrente di pensiero nata negli USA ed in crescente diffusione anche in Europa. Ma l’eccessiva fede nei numeri si fonda su assunti irrealistici e porta a una disumanizzazione dello sport. E – soprattutto – non si è ancora dimostrata così determinante da giustificarne l’impiego ossessivo che alcuni auspicano.

Ne “Il mondo nuovo”, Aldous Huxley immaginava un futuro distopico basato su ordine e controllo, un mondo in cui tramite lo sviluppo di tecnologie di riproduzione, controllo mentale ed eugenetica si cercava di creare un nuovo modello di società. Uno sviluppo basato sull’ipercontrollo,  in cui il motto era: “Comunità, Identità, Stabilità”.

Mondo Nuovo

Un tratto comune di molte ucronie scritte in quell’epoca a cavallo delle due guerre, che immaginavano un futuro anteriore caratterizzato dal dominio della tecnologia, dalla necessità di veicolare masse, di tenerle sotto controllo ma che portava ad una disumanizzazione della società, che veniva dipinta come un triste ed appiattito coacervo di ombre di uomini. Un parallelismo riportato in mente dall’avanzata inesorabile che i cosiddetti “Big Numbers”, ovvero le statistiche avanzate, stanno avendo nello sport, ed in particolare in maniera esponenziale nella pallacanestro.

Nel corso degli anni l’utilizzo di strumenti statistici è diventato sempre più estensivo, prima dall’altra parte dell’oceano e successivamente sempre di  più in Europa, anche grazie alla diffusione di Synergy Sports su scala sempre più globale. Nell’ultimo decennio il salto è stato addirittura quasi quantistico, con un’interrelazione sempre più massiva tra i professionisti delle scienze statistiche (Sloan Sports Conference come antesignana), l’evoluzione delle tecnologie di rilevazione (con le telecamere di SportVU nei campi NBA), ed una diffusione tramite i media, in primis con Kirk Goldsberry del defunto Grantland, dei precetti dell’approccio analitico alla pallacanestro.

Probabilmente il punto più “estremo” di tale filosofia è stato raggiunto lo scorso marzo durante la famosa TED (Technology Entertainment Design) conference, con l’intervento del ricercatore Rajiv Maheswaran, che si occupa con il suo team di analizzare e “modellizzare” con strumenti computazionali e statistici avanzati le situazioni di gioco fondamentali nella pallacanestro odierna.

I  sorprendenti risultati in termini di prevedibilità delle situazioni analizzate ed il  vasto utilizzo da parte della maggior parte delle franchigie NBA dimostrano come questo tipo di approccio sia da considerarsi come base della filosofia di gestione sportiva del futuro. Ma quale futuro? Uno dei messaggi più “inquietanti” lanciati da questo intervento è riassunto nella domanda “può una macchina conoscere più di un allenatore?”, che porta poi, in un crescendo rossiniano, alla chiosa finale:

“E’ un dato di fatto che non è necessario essere parte di un team professionistico per mappare i movimenti. Non è necessario essere dei giocatori professionisti per ricevere dei suggerimenti derivanti dalla mappatura dei movimenti. Di fatto non serve nemmeno essere coinvolti nel mondo dello sport per farlo, perchè il movimento è parte della vita di tutti i giorni”.

La direzione verso cui sta procedendo a passi spediti la moderna gestione della pallacanestro sembra quindi aver perso di vista i suoi aspetti fondanti, quelli relativi alla conoscenza delle basi, dei movimenti e dei gesti, e di tutto quando non possa risultare mappato e tracciabile come la conoscenza del gioco o la personalità e l’attitudine dei protagonisti. Un’idea perorata anche dai primi risultati piuttosto deludenti dell’applicazione massiva di tali precetti, vedasi gli Houston Rockets ed il cosiddetto “Moreyball”, che al momento non sembrano prescindere dalle prestazioni del singolo – leggasi James Harden e Dwight Howard – per essere vincenti.

Tutto passa ancora comunque dalle sue mani (Foto: sports.yahoo.com)

Tutto passa ancora comunque dalle sue mani (Foto: sports.yahoo.com)

herbert-a-simon-models-of-bounded-rationality-vol-iGià negli anni ’60  Herbert Simon aveva affrontato, anche se in chiave leggermente diversa, alcuni di questi temi, nelle sue teorie economiche, ed in particolare nel concetto di “razionalità limitata degli invidividui”. Simon – un pioniere nel campo dell’Intelligenza Artificiale – fu il primo a sostenere che gli esseri umani non sono in grado di comportarsi come i soggetti razionali descritti nei modelli teorici di scelta. Ciò che emerse dai suoi studi fu che quando ci si trova davanti ad una questione complessa, raramente si trova la soluzione ragionando in modo chiaro e lineare. Piuttosto, si procede a tentoni, cercando in modo un po’ casuale, fatti e informazioni potenzialmente rilevanti, e normalmente la ricerca finisce una volta che la comprensione del problema ha raggiunto un certo livello.

Di conseguenza, le conclusioni a cui si giunge possono essere incoerenti, o del tutto sbagliate. Ciò nonostante, di solito si ottengono soluzioni, che seppur imperfette, possono funzionare: ci si interessa cioè trovare soluzioni soddisfacenti, non ottime. L’analisi di questa enorme mole di dati è dunque innegabilmente d’ausilio e di supporto per prendere decisioni consapevoli, di natura strategica, tattica e manageriale. Tuttavia non deve sfociare in un’applicazione acritica, come un mantra propinato dagli opinion leader autoproclamati e non. I numeri non mentono, anzi rassicurano nella loro oggettività. Ma la realtà nella sua complessità non può essere totalmente “modellizzata”, in  quanto occorre tener conto di tutti quegli aspetti irrazionali che spesso fanno la differenza tra una vittoria ed una sconfitta. Grazie a Dio.

Inoltre sembra imprescindibile un ritorno forte alle origini, specie in Italia, dove alcune società investono decine di migliaia di euro in scouting e strumenti statistici avanzati – magari affidandosi a volenterosi topi da sala video –  ma che poi finiscono col lasciare in mano le redini decisionali ai soliti noti, agli agenti amici, ai furbetti ed agli azzeccagarbugli di turno – o ai consulenti speciali.

Oltre che affrontare la realtà con strumenti sempre più avanzati, e a volte appunto molto pericolosi, occorrerebbe quindi anche lavorare sulle basi necessarie alla sua comprensione – quella della pallacanestro e dei suoi aspetti fondamentali in questo caso. Altrimenti si rischia di venire travolti dall’enorme mole di dati se non si hanno gli strumenti – in termini di competenze e conoscenza – necessari alla loro interpretazione. Citando lo spot di una nota marca di pneumatici: “La potenza è nulla senza controllo”.

L’intento di questo articolo, un po provocatorio, è quello di attivare un dibattito serio sul futuro della pallacanestro, coinvolgendo quante più voci e punti di vista possibili, perché la ricchezza nasce indiscutibilmente dalla diversità e dal confronto, anche acceso, ma costruttivo.


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