Non occorre assolutamente che vi preoccupiate per le mie condizioni di spirito. Forse dopo aver strappato su rigore a quattro minuti dalla fine un pareggio alla capolista il mio spirito potrebbe essere abbastanza basso, ma per quanto riguarda la Slovenia non dovete assolutamente preoccuparvi. La squadra era scarsa, non per niente ha cominciato gli Europei con cinque giocatori su 12 senza contratto, poteva fare bene solo giocando ispirata in attacco e al 120% in difesa, l’ha fatto a Zagabria, non è riuscita a farlo a Lille contro una squadra più o meno del suo valore che invece la giornata l’ha pescata giusta e ha perso per una volta tanto del tutto meritatamente, senza alcun tipo di recriminazioni. Forse un piccolo rammarico resta, perché se fosse riuscita per miracolo a qualificarsi per il Preolimpico recuperando Goran Dragić (classe ’86), Vidmar (’87), Domen Lorbek (’85) e uno dei due Murić (’90 – tanto per ribattere a un commento acido che avevo letto dopo Italia-Slovenia di Capodistria che diceva che agli sloveni in realtà non mancava nessuno di importante, perché erano comunque tutti bolliti), avrebbe magari potuto covare qualche speranziella, però quel che è stato è stato e, ripeto, era più o meno nell’ordine naturale delle cose.
Mi sono preso una giornata di riposo in questi commenti non a causa della depressione, ma per motivi del tutto contrari. Venerdì sera (11 settembre! – come ricorderà benissimo Serena Williams) c’è stata una grande festa in occasione della celebrazione dei 50 anni del basket della US Bor, la prima società sportiva della minoranza slovena in Italia, e sono stato invitato come uno dei “pionieri” del basket, stavolta come giocatore della prim’ora, of all things. A parte il fatto che non dovevano farlo, perché io mi sono aggregato al gruppo appena due anni dopo (giocando poi per una stagione e mezza seriamente, prima di dedicarmi alla mia missione di istruttore e coach), l’occasione è stata meravigliosa per rivedere dopo un’eternità tutta una serie di compagni di squadra fra i quali anche tanti compagni di classe dalle medie al liceo. Quando arriverete alla mia età potrete apprezzare questi momenti di gioia malinconica quando nelle facce invecchiate di quelli che ricordavate ragazzini vedete voi stessi come non vi vedete quotidianamente, della serie: “Alla faccia! Questo nonnetto andava con me in classe! Vedi un po’ come passa il tempo”, ma nel contempo potete rispolverare bei ricordi di gioventù nonché fare a distanza un bilancio fra quelli che erano i vostri sogni all’epoca e quanto poi avete fatto realmente nella vita. Insomma, per farla breve, abbiamo fatto le ore piccole con annessa copiosa lubrificazione ugole non certamente con acqua minerale o aranciate, per cui sabato mattina ho dormito a lungo e poi sono dovuto andare a Capodistria per fare il turno TG (micidiale fra l’altro, dovendo commentare la sconfitta della Slovenia, l’incredibile derby del tacco d’Italia nella finale di Flushing Meadows e il trionfo di Aru in Spagna, oltre a tante altre cose), per cui semplicemente non ho avuto il tempo di scrivere.
Per dire qualcosa di significativo aspetterei comunque domani, in quanto commentare le vittorie della Grecia, della Spagna e della Francia mi sembra superfluo, essendosi trattato di match fra squadre di enorme differenza di qualità e di livello con il classico sviluppo del match tipico di queste situazioni (ricordate gli USA ai Mondiali lo scorso anno?) con la squadra sfavorita che sputa l’anima, tiene, tiene, poi comincia a subire a subire un parzialino e alla fine sbraca. Vediamoci adesso l’Italia e poi ne parliamo.