Danilo Gallinari (foto Pasquale Cotugno)

Visti totalmente respinti, proprio perché viviamo su pianeti diversi e visto che mi convinco sempre di più che chi vive da sempre in uno stato unitario da più di 150 anni e non conosce i problemi degli altri pensa che quelli suoi siano il massimo (mio papà usava in questo caso una locuzione tedesca: “Come il piccolo Pietro vede il mondo”) e dunque parlare con lui è come parlare al muro, i miei tentativi di spiegare cos’era la Jugoslavia politicamente, ma soprattutto culturalmente e socialmente, e visto che sulla sponda Randolph continueremo a essere su due sponde di due oceani diversi (chiaramente come io non ho convinto voi, tanto meno voi avete convinto me), e solo rispondendo in breve a Pado che prima di parlare di Randolph “ex post” ho fatto una premessa facilmente localizzabile, che diceva che durante il campionato ho progressivamente cambiato idea sul suo utilizzo spiegando anche perché, e anche qui innescando un dialogo fra sordi, a questo punto uso un’altra frase di mio papà, questa volta in sloveno, che diceva: “Sergio, pametnejši odneha!”, che cioè il più saggio smette per primo, e dunque rispondo con piacere alla richiesta di Franz (lui è il più saggio di tutti, evidentemente, perché è quello che ha smesso per primo) di parlare dell’Europeo dell’Italia.

 

Per non essere come tutti i commentatori ufficiali e scrivendo su un blog privato posso anche permettermi qualche libertà. Per cui: AVVERTENZA!!! Quanto state per leggere è puro e semplice parto della fantasia del sottoscritto e non ha nessuna attinenza con fatti realmente accaduti, anche se i personaggi che vi compaiono sono reali. Se qualcuno vuole citarmi in giudizio per diffamazione ripeto, RIPETO, che si tratta di un parto della mia fantasia.

Sergio Tavčar

Allora, cominciamo con il mio storytelling che come insegna Baricco nulla ha a che vedere con la realtà fattuale.

Capitolo primo: qualificazioni olimpiche dello scorso anno. Anche per il montare dell’opinione pubblica, nella nostra cerchia ottimamente rappresentata da Franz, Pianigiani viene silurato a furor di popolo e per la più importante campagna del basket italiano viene richiamato da oltre oceano uno dei nomi più sicuri e insindacabili del nostro basket, e cioè Ettore Messina, uno che di suo ha vinto tantissimo e che nessuno può discutere. Lasciamo stare quando ha vinto per l’ultima volta quale primo responsabile della panchina, che però sappia vincere è un dato di fatto acquisito. Lasciamo anche stare che negli ultimi anni è stato nell’NBA a fare da assistant coach in un ambiente perfettamente (una volta si diceva affatto – che fine ha fatto questa bella arcaica parola usata in questo senso?) alieno al basket europeo, lasciamo stare che nel frattempo, per quanto possa aver guardato la TV, ha sicuramente perso il polso di quanto succede in Europa e persino in Italia, la scelta è stata salutata da tutti, noi compresi, quale forse l’unica possibile. Che si debba richiamare uno dagli Stati Uniti in quanto in Italia nessuno riscuote il credito necessario è anche una storia interessante, ma in questo momento non è pertinente.

Il coach arriva e per prima cosa ovviamente, in attesa di avere informazioni di prima mano stando tutto il giorno con i giocatori, mette le mani avanti, tecnicamente si para le terga, convocando esattamente tutti quelli che la stampa specializzata invoca, che poi siano veramente utili alla causa è tutto un altro discorso, e esprimendo alla stampa tutto quello che la stampa voleva sentirsi dire, prima fra tutti la convinta assicurazione che il gruppo è fantastico, unito come non mai e tutte le cose del genere che si dicono e che tutti vogliono vengano dette.

Fatto il lavoro che riteneva necessario con il gruppo dei giocatori convocato dai giornalisti si presenta al Preolimpico e perde in malo modo contro la Croazia con la squadra che va in totale marasma nell’ultimo quarto con conclusioni caotiche a casaccio, con giocatori che dovrebbero fare i gregari che pensano di essere protagonisti e viceversa, con tante presunte stelle che si rivelano essere poco più di un bluff, insomma è una disfatta su tutta la linea.

Capitolo secondo: gli Europei di quest’anno. Dopo una qualificazione all’acqua di rose in un girone molto facile e aver dunque avuto altro tempo per stare con i giocatori, il nostro coach, che tutto può essere meno che incapace, arriva a una conclusione molto semplice. Il famoso gruppo che si dice unito lo è solo a parole, nel senso che magari fuori dal campo i giocatori sono amiconi, ma la cosa non si vede assolutamente dove dovrebbe vedersi, cioè in campo, con la squadra palesemente divisa in due clan, uno formato da quelli che giocano nell’NBA, ritenendosi con ciò automaticamente fenomeni, e loro accoliti, e dall’altra parte tutti gli altri con in testa quelli che giocano in Europa in ruoli veramente fondamentali in squadre importanti e ai quali la prosopopea degli “ammericani” sta un tantino sulle scatole. Il nostro coach arriva alla conclusione che con questo gruppo non può andare da nessuna parte e allora ha un’idea geniale. Visto che il suo ruolo è ad interim pensa: cosa è meglio, che io metta in campo la squadra con i giocatori più forti, quelli che ho usato l’anno scorso, e che so per esperienza che l’unica cosa che può fare è indurre me a fare brutte figure, mentre loro se ne lavano le mani, o mettere in campo una squadra nella quale ho fatto ordine in spogliatoio ripulendolo da egoismi e menefreghismi vari, che so benissimo che è in realtà assolutamente non competitiva per le massime posizioni, mancandomi lunghi e un vero play di ordine, ma che alla fine darà in campo l’anima e io ne uscirò benissimo? Beh, tanto agli Europei qualsiasi cosa io faccia noi lontano è impossibile che andiamo, per cui è molto meglio scegliere la seconda opzione, così almeno io non mi sputtano e potrò tranquillamente continuare la mia carriera in America. E dategli torto! Chiunque avrebbe fatto così. Ripeto: qui si tratta di due scelte che avrebbero portato allo stesso risultato, per cui è solo ovvio scegliere quella più conveniente.

Capitolo terzo: esecuzione del piano e esito. Comincia la preparazione e Gallinari sembra nervoso. Tutti si chiedono perché? E se fosse che si sente un tantino sotto usato e che sente attorno a sé un tantino di terra bruciata e di sfoltita di accoliti? Non lo sapremo mai. Sapremo solo quello che abbiamo visto, e che cioè nella prima amichevole se la prende con un povero batavo che aveva l’unico difetto di essere imbranato e di non sapersi muovere tirandogli un pugno talmente ingiustificato quanto folle facendosi, giustamente secondo una giustizia superiore, male lui. Gli psicologi dicono che uno si infortuna molto più spesso quando non vuole una determinata cosa, per cui potrebbe anche essere che Gallinari, inconsciamente, non volesse giocare gli Europei e abbia cercato, sempre del tutto inconsciamente, un modo per non andarci. Anche questa non la sapremo mai (RIPETO, è una fiction!), fatto sta che Messina rimane senza uno dei giocatori di classe veramente mondiale che aveva. Sotto canestro è il dramma: Cusin è quello che è, per cui Messina pensa di imperniare la squadra su Cervi con in aiuto Melli, Pascolo, Biligha e Burns, tutti semi (molto semi) lunghi che però possono dare energia. Prendere un paracarro quale Crosariol potrebbe essere un’altra opzione, ma Messina non la prende neanche in considerazione per motivi, suppongo, extracestistici, anche se qui più che fiction diventa fantasy. Cusin se ne va a casa, ma evidentemente deve essere successo qualcosa, tipo qualche senatore che fa spogliatoio che sussurra qualche frase all’orecchio di Messina, della serie: “coach, non vorrei immischiarmi nel tuo lavoro, ma Cusin è molto meglio, almeno per noi”, per cui per il bene dello spogliatoio si taglia Cervi, si ripristina Cusin, poi si fa male Pascolo, e insomma si parte per gli Europei con una squadra-pastrocchio.

Tanto più che il reparto lunghi non è il solo problema, per quanto già da sé devastante (facendo 20 a 49 ai rimbalzi è matematicamente impossibile vincere qualsiasi partita). Un altro problema è il reparto dietro, dove sono tutti tiratori e nessuno palleggiatore né passatore, in sostanza. Manca colui che detta i tempi, che fa giocare la squadra (avete presente Dončić? – ecco perché in sostanza la Slovenia è andata tanto più lontano), per cui l’attacco è la vivida replica della vite senza fine, tanto movimento senza mai andare veramente da nessuna parte (“from good to great, to still greater, to the end of 24”). Se poi a rimbalzo non hai nessuno, allora la conclusione che se ne può facilmente trarre è che l’Italia ha raggiunto il supermassimo teorico possibile e infatti io mi sto ancora chiedendo come mai la Finlandia vista a Helsinki abbia potuto perderci facendomi far perculeggiare da Franz. Voi non l’avete vista, ma Finlandia-Slovenia è stata una bellissima partita e la Slovenia ha dovuto giocare al massimo per vincerla negli ultimi secondi.

Perché l’Italia è questa con questi giocatori limitati ed è la squadra dei massimi bassotti che si siano visti agli Europei? Eh, amici, THIS IS THE QUESTION, come diceva un tale. Ho letto tantissime analisi da parte delle menti più sottili che ci siano in Italia. Nessuna di queste mi ha convinto. Secondo me Pittis è quello che si è avvicinato di più ai veri problemi.

Che sono in sostanza due e se qualcuno vuole che li approfondisca per poter poi sviluppare una discussione che presumo interessante che lo dica, per cui ora solo in forma scheletrica:

1) non c’è più interesse a tenere in piedi un settore giovanile che allevi giocatori invece di polli da allevamento che vincono campionati di categoria. Le piccole società, quelle dalle quali sono usciti tutti i grandi campioni del passato, avevano la formidabile motivazione della vendita del cartellino della giovane speranza con la quale potevano tirare avanti negli anni a seguire continuando il loro capillare lavoro sul territorio. Di conseguenza non ci sono più gli istruttori che svolgevano questo lavoro per tutta la carriera nella stessa società guadagnando l’esperienza e le conoscenze necessarie per allevare prima uomini e poi giocatori.

2) nel mondo moderno il basket è visto come un lavoro, per cui i ragazzi vanno all’allenamento come quando si va a lezione di inglese o di violino. Ragion per cui si perdono subito tutte le caratteristiche ludiche che dovrebbero necessariamente accompagnare ogni bambino che si avvicina al basket, perché è ovvio che solo il divertimento attivo stimola la creatività. Dovrebbero innamorarsi del basket, cosa che oggi fanno pervicacemente in modo che non succeda. Non per nulla chi ha apprezzato la finale degli Europei, prima volta che la Jugoslavia vince sia l’oro che l’argento, ha apprezzato il lato ludico e creativo che hanno palesato ambedue le squadre, e proprio per questo in tanti hanno respirato una benefica boccata di ossigeno rivedendo il basket per come dovrebbe essere giocato.