Intanto buon Natale a tutti quanti voi, soprattutto a quelli che riuscirete in qualche modo a passarlo in famiglia con i vostri cari. Sono tempi molto grami, ma forse chissà, come dice il Papa (che per qualche motivo non sembra molto popolare fra quelli di voi che avete fede, anche se a me pare che tutte le cose che dice le dica più che giuste, ma forse sono troppo “comunista”), può anche essere l’occasione per rendersi conto che non c’è rituale santaclausistico consumistico che possa sostituire un momento di intimità e di affetto con le persone che amiamo di più.

Per quanto riguarda me le giornate passano tutte uguali e monotone, per fortuna (?) che c’è molto sport in TV, così almeno per il fine settimana ci si può stravaccare sul divano e fare zapping per seguire un po’ di tutto. Facendo una piccola digressione ricordo che ai tempi della prima serrata scrivevo che l’enormità della situazione faceva passare in secondo piano l’interesse per lo sport e che tutto sommato il fatto che si fosse fermato non disturbava più di tanto. Strano come dopo solo sei mesi, almeno per me, l’atteggiamento sia cambiato e che ora non abbia alcuna remora a sedermi davanti alla TV e magari appassionarmi agli eventi sportivi. Forse perché il desiderio di normalità è tale che lo sport serve un po’ come droga. Ci siamo abituati a vedere gli stadi vuoti, per cui ormai quello che vediamo nelle varie bolle sembra logico e normale e tutto pare, almeno dal punto di vista del coinvolgimento emozionale, uguale come prima. Cosa che mi pare di capire succeda anche a voi, almeno a giudicare dal tono dei vostri commenti.

Ieri la scelta era veramente sontuosa. Gigante maschile in Val Badia, SuperG femminile in Val d’Isere, le mass start di biathlon a Hochfilzen, le staffette sprint di fondo a Dresda, poi piccolo abbiocco fra le tre e le quattro prima dei salti da Engelberg e infine nel tardo pomeriggio Atalanta-Roma di calcio e Milano-Sassari di basket, poi ancora di sera Lazio-Napoli e soprattutto la ciliegina sulla torta che aspettavo con ansia, il derby di basket fra le redente del ’18 Trieste e Trento, nel quale volevo constatare de visu quanto aveva scritto Franz sulla nostra squadra (Trieste, ovvio, ricordate che sono grande patriota alabardato).

Faccio la cronaca dettagliata. Mentre c’è la presentazione delle squadre faccio un po’ di zapping e scopro che su Rai5 c’è in occasione dei 250 anni dalla nascita di Beethoven la ripresa vintage dell’esecuzione della Pastorale da parte dei Berliner Philharmoniker diretti da Claudio Abbado. Ovviamente ubi major minor cessat, per cui seguo la sinfonia, me la godo e poi giro sulla partita. Siamo verso la metà del secondo quarto e vedo con gioia che siamo avanti di 9, 36 a 27. Proprio mentre guardo il risultato c’è un tiro da tre inconsulto del nostro Fernandez, palla a Trento che va in attacco, Forray fa un tiro sbilenco che prende a malapena il ferro, nel deserto dei nostri rimbalzisti (?) arriva un tale Maye che prende la palla e segna. Andiamo in attacco e sempre Fernandez (che comunque, attenzione!, è uno bravo) va in entrata, non prende niente, palla a Maye che si scatena da solo in contropiede, ma arrivato nella nostra area si auto sgambetta in modo esilarante finendo per terra (il replay della prodezza è uno dei lowlights più buffi che abbia mai visto). Andiamo in attacco, non succede niente, sulla successiva azione Trento si incarta, palla che sarebbe nostra se Doyle in palleggio a un dato momento non se la perdesse per strada, recuperano loro, palla fuori al loro centro Williams che tira e un tale Upson che gioca (??) per noi fa su di lui un fallo di un’imbecillità totale. Non tutti i mali vengono però per nuocere, in quanto vedere Williams sulla linea del tiro libero è un’esperienza ineffabile. Dopo una serie di contorsionismi da fuoco di San Antonio riesce in qualche modo a sparare un missile verso il canestro fuori da ogni logica biomeccanica. In modo incredibile uno riesce anche a metterlo dentro. Andiamo in attacco, Fernandez fa un bellissimo assist a Henry che sbaglia clamorosamente l’appoggio da sotto. Vanno in attacco loro, sbagliano, andiamo in attacco noi, il succitato Upson si proietta in entrata e riapre un passaggio illuminante in tribuna che, fosse stata piena, avrebbe causato una strage. Non ne posso più e giro sul calcio con finestre su NCIS Los Angeles su Rai2, serie che mi piaceva tantissimo, ma che ora è scaduta a livelli infimi.

Ovviamente ogni tanto ritorno sulla partita, ma proprio ogni volta che giro e che vedo che siamo sempre avanti succede che indovino un momento nel quale Trento rimonta e allora cambio velocemente di nuovo. Alla fine vedo che comunque abbiamo vinto e scopro che Alviti ha segnato tutto quello che ha tirato, per cui lo intervistano (coach Stefano, visto che eri a Trieste un colpo di telefono mai?) e mi fa una bella impressione. Sembra quasi sincero quando afferma che deve ancora lavorare tantissimo e che già da oggi sarà di nuovo in palestra. Scopro anche con grande piacere che abbiamo preso un argentino che mi aveva molto impressionato ai Mondiali, D’Elia, giocatore certamente non da highlight spettacolare, anzi tutto il contrario, ma capace, uno che conosce il basket, cosa per me fondamentale come ben sapete, e che è tutto fuor che un giocatore con i fronzoli. Cioè uno di quelli che a me piacciono a prescindere. Per me è un eccellente acquisto e dunque c’è almeno qualcosa che mi conforta per il futuro. Sempre ricordando, anche a Franz, che non si può pretendere granché da una squadra che non gioca da quasi due mesi e che in questo preciso momento sta facendo praticamente il precampionato. Ragion di più per prendere la vittoria di ieri come grasso che cola copiosamente.

Per il resto devo dire che non ci capisco niente. La settimana scorsa (o erano due settimane? Come  detto il tempo passa come in una bolla sospesa nel vuoto) avevo visto Milano prendere una solenne legnata da Brindisi che aveva giocato come Dio comanda e mi era sembrata una squadra molto ben assemblata con due guardie che non disdegnano di andare dentro, con un tale Harrison che ha distrutto Milano andando sempre a prendersi falli quando serviva, con un’ala, Willis, giocatore duttile capace un po’ di tutto, con due marcantoni quali Krubally e Perkins sotto canestro che fanno il loro sporco lavoro a rimbalzo senza grilli megalomani di tirare da fuori, con due ragazzi italiani interessanti, anzi Zanelli sarebbe un prospetto da curare con grande attenzione perché secondo me ha proprio tutto per essere veramente bravo, insomma vedendoli giocare mi ero quasi riconciliato con il basket. Poi però li ho visti contro Pesaro ed erano totalmente irriconoscibili. Il suddetto Harrison sembrava il nostro Doyle, il che, come si dice, è tutto dire, l’altra guardia Thompson non si riusciva bene a capire cosa facesse in campo e tutto il bel gioco che avevo visto la volta prima se ne era andato a farsi benedire. A dire il vero Pesaro ha giocato proprio bene e mi sono quasi un tantino ricreduto su Repeša che, nell’ambiente adatto dove non deve per forza pararsi le terga a ogni pie’ sospinto, appare uno che forse, anzi senza forse, non sembra proprio un’aquila regale nella gestione spicciola della partita, ma che comunque sa far rendere i giocatori per quello che sono senza volere da loro cose che non sanno fare. Era veramente da tempo che non vedevo Pesaro schierare in campo una squadra apparentemente logica, con giocatori adatti ad un buon gioco di squadra e che soprattutto, appunto, il più delle volte giocano da squadra. E in più ovviamente c’è a Pesaro la dimostrazione vivente, palese, tangibile e inconfutabile, che il basket odierno è una straordinaria cacca rispetto solo a quello di una ventina di anni fa. Carlos Delfino va verso i 40, ha alle spalle una serie incredibile di infortuni e operazioni, per cui sembra ormai uno che dovrebbe trovare la sua possibile dimensione nei tornei Over qualcosa (fate voi), e invece nel desolante panorama del basket di oggidì fa la figura dell’extraterrestre. Uno, ricordo, che era il settimo uomo della nazionale argentina delle meraviglie di inizio secolo, più che altro un rilievo tattico quando serviva aprire la scatola da fuori (i primi sei? Facile: Sanchez, Sconocchini, Ginobili, Nocioni, Oberto, Scola…cavolo, che struggente nostalgia…) e dunque era tutt’altro che una stella. E invece oggi da nonnetto sciorina, oltre al tiro che ha avuto sempre (butta via…), anche una straordinaria conoscenza tattica, va dove si deve andare, passa la palla benissimo sempre all’uomo giusto che taglia, insomma rispetto alle mezze, se non intere, calzette (eufemismo spinto) che ci sono adesso dimostra chiaramente cosa è veramente il giuoco del basket.

Ieri poi ho visto Milano-Sassari, ma, ahimé, ho anche sentito la telecronaca e la mia serie di commenti a squarciagola davanti allo schermo è stata alquanto pittoresca. Intanto dico come ho visto la partita io. Ho visto prima di tutto che il tanto vituperato (da voi, non certamente da me) Poz ha messo in campo una squadra con una testa e una coda, con un americano tuttofare, Burnell, che ha fatto un po’ di tutto e tutto giusto, ho visto che come guardie ha Spissu, di cui ho parlato l’altra volta e dunque sapete cosa ne penso, e il vecchio dei fratelli Gentile che, più passa il tempo, più dà ragione alla folle ipotesi del sottoscritto di molto tempo fa secondo cui il vero forte dei due fratelli Gentile fosse lui e non Alessandro. Sotto canestro ha un croato che sembra uscito dalla lanterna del professor Alambicchi (chi sia lo sanno solo quelli della mia età), Miro Bilan, uno che va sotto canestro e tira sempre lontano dalle mani degli avversari grazie alla conoscenza del segreto meglio custodito del basket moderno. Detto in breve: gli avversari, per quanto tentacolari siano, non possono coprire con le loro braccia tutti i 180 gradi fra spalla e spalla, per cui c’è sempre un pertugio attraverso cui far passare la palla, soprattutto nelle vicinanze delle spalle stesse, lì dove le mani del difensore per questioni anatomiche non possono arrivare, sotto le ascelle insomma. Bisogna crearselo con le finte opportune e poi sfruttarlo con un classico controtempo che il più delle volte appare come un piazzatino ridicolo lontano anni luce dall’immagine rutilante del basket odierno. Però sempre due punti sono, e ovviamente per me questi tiretti sono la quintessenza di quanto io intendo per basket, gioco da “nadmudrivanje” se ce ne è uno. A proposito di Bilan, per entrare nel commento della telecronaca, a un dato momento, con Sassari in pieno controllo spara una tripla e la mette. A questo punto il commento è: “E’ appena la sesta tripla che tira in campionato e ha 4 su 6. Perché non tira di più?” E io esplodo: “Perché, maledizione, è un giocatore di basket il cui lavoro è quello di stare sotto canestro! E lui lo sa, per cui usa il tiro da tre solamente come arma tattica nei momenti in cui può permetterselo e quando se la sente di farlo perché, come ogni giocatore vero che si rispetti, sa quando tira per fare canestro e non perché deve farlo!

Come detto Sassari, contro una Milano semplicemente inguardabile o comunque guardabile solamente con un’espressione stralunata sulla faccia, perché per 30 minuti non si riesce a capire cosa abbia in mente di fare con giocatori che in campo sembrano muoversi a caso, è in pieno controllo e va all’ultimo riposino avanti. Poi comincia l’ultimo quarto e improvvisamente Roll diventa Rock, intravede tutte le Madonne che esistono e comincia a fare canestro da tutte le parti, mentre dall’altra parte Sassari comincia a spadellare tutto quello che tira. E allora il suddetto Sconocchini che commenta la partita se ne esce con un’agghiacciante frase, quella che non vorrei sentire mai neanche sotto tortura: “La difesa di Milano sta facendo la differenza.” E allora la mia esplosione è totale, completa, roba da 100 megaton. “Ma cosa c…o stai dicendo? Da una parte c’è un invasato che tira sempre dentro, se non bastasse c’è anche Datome che sembra essere ritornato lui e che segna come un disperato pure lui, dall’altra parte c’è gente totalmente sola e indisturbata che si prepara, fiuta il vento, e poi spara a vanvera. Ma come si possono dire cazzate del genere! Il basket è uno sport crudele: quando una squadra segna tiri assurdi e l’altra si trova il coperchio sul canestro, vince per pure ragioni matematiche la squadra che la mette dentro! Ma ditelo una volta per tutte, maledizione! Quando segni tutto vinci! E’ tutto qua!”

E infatti Milano vince largamente. Ma, ripeto, se si parla di basket, Sassari ha giocato molto meglio. Peccato, come detto, che vince sempre quello che fa più punti.

Per finire un piccolo commento che non c’entra con il basket. In Europa League di calcio nel girone del Napoli c’era il Rijeka, la squadra di Fiume. Ripeto, Fiume, città che fino al 1945 è stata italiana e che ancora adesso è il centro culturale, con la casa editrice Edit e il Teatro italiano (diretto per tantissimi anni da Bruno Petrali, italiano di Fiume), della vita della minoranza degli italiani rimasti nell’ex Jugoslavia dopo la diaspora susseguente all’esito della seconda guerra mondiale. E cosa ti sento? I fenomeni dei telecronisti che si passano la linea in Diretta gol su Sky dicono: “A voi, Vienna” che sarebbe Wien in realtà, “A voi Londra” che sarebbe sempre London in realtà, e poi “A voi Rijeka” che invece dovrebbe essere per un italiano sempre e comunque solo Fiume, se non altro per rispetto della sua storia e degli italiani, che ancora tali si sentono, che vi vivono. Vergognatevi, come si usa dire in questi casi.